A 007 dalla Russia con amore, 1963

È scuro.
Scuro come una sinfonia di note scure: cioccolato nero 75%.
Caffè, forte.
Caramello, vino Bordeaux, anche un Borgogna va bene.
Insomma, qualcosa che passa per la bocca.
Ha una bocca bellissima, probabilmente sta lì tutto il suo fascino, deve baciare benissimo, anche se tutti i baci sono finti, clamorosamente.
È scuro.
È un concentrato di tutti gli uomini scuri che ho conosciuto in vita mia, a cominciare da mio padre, che era fisicamente notevole.
Non ho mai perdonato a mia madre di aver perso la testa per lui.
Anche se forse, se lo avessi incontrato in situazioni diverse, la testa l’avrei persa anch’io.
È elegante. Certo metà dell’eleganza la fa l’altezza, ancora due centimetri e arriva al metro e novanta.
Certo, che le giacche gli calzano a pennello e che i pantaloni cadono con il giusto piombo.
È atletico, ironico, disinvolto, sa sempre che vino ordinare al ristorante, è un intenditore di brandy e di armi, dopo una scazzottata che si sarebbe potuta rivelare letale, si spolvera la giacca e si raddrizza la cravatta.
A giudicare da come le donne gli si appiccicano addosso, in situazioni intime deve essere un’iradiddio che non si dimentica.

È 007.

Non ho mai conosciuto un agente segreto.
Almeno credo.
Perché, figuriamoci, uno che fa l’agente segreto mica te lo viene a dire.
Però, ammettiamo che un agente segreto possa avere alcuni aspetti esistenziali normali. L’eleganza e la sapienza a tavola (anche altrove, che c’entra), mica può nasconderle. E poi probabilmente te ne accorgi, che gestisce una mitraglietta con la disinvoltura con cui un altro si allaccia le scarpe.
Che conosce codici segreti, aeroporti, privé di locali notturni, ballerine.
Il guaio è non solo che sparisce a intermittenza, è che rischi di non vederlo più sul serio perché prima o poi ci rimette le penne.

È scuro. Volendogli fare le pulci, è troppo peloso. Il suo torace si avvicina pericolosamente al vello di un animale, ha peli anche sulla schiena, che ha coperta di efelidi.
Ha gambe potenti, pelose anch’esse.
In un giro di anni tutto sommato breve, uno si accorge di cose che prima non vedeva.
Come è strana, la capacità degli occhi di guardare.
I suoi film sono del tutto improbabili, se dovessi riassumerne la trama, dovrei concentrarmi, leggere una decina di articoli, prendere degli appunti.
Eppure vanno giù come una bibita fresca, dopo i titoli di testa ci stai dentro e, come succede solo col grande cinema, tutto ti sembra normale.
Anche gli inseguimenti, gli ammazzamenti, le armi letali, gli scienziati pazzi e le altre spie che gli fanno da contorno.

Miami Beach, Goldfinger

Siamo negli anni ’60 e i luoghi che frequenta 007 sono da favola: da Miami a Istanbul, con un bel viaggio sull’Orient-Express che è all’altezza di quello raccontato da Agatha Christie.
Se pensiamo che da noi in contemporanea Dino Risi faceva Il sorpasso, ci rendiamo conto dell’abisso nel quale deve essere sprofondato l’immaginario di quegli anni.
Da una  parte il Ferragosto con abbuffate di pastasciutta alla trattoria dei camionisti e contadini che ballano il twist a ogni angolo di strada; dall’altra il dinner alle sei del pomeriggio al wagon-restaurant con «grilled sole. And a bottle of Blanc de Blancs».
Quello dello Champagne è un refrain.
Sempre in Dalla Russia con amore, all’inizio, 007 ha messo in fresco nell’acqua un Taittinger mentre si intrattiene con una donna. Tira su con il piede la corda alla quale è attaccata la bottiglia, controlla la temperatura, la rimette a mollo perché non è fredda abbastanza.
Fa qualcosa di simile Hemingway, quando, dopo aver visto dalla finestra che il tempo era limpido e che non c’erano nuvole sulle montagne, si procura dei vermi come esca, scavando con una specie di piccone.
Siamo nel capitolo XII di The Sun also Rises e il protagonista se ne va a pesca, lui, con Bill, avendo messo due bottiglie di vino nello zaino.
Le bottiglie, sdraiate, finiscono al fresco nell’acqua che scorre da un tubo di ferro da una sorgente.
«Era così fredda che la mia mano e il polso erano intorpiditi. Rimisi sopra la lastra di legno e sperai che nessuno trovasse il vino».
Il nascondiglio funziona, dopo aver pescato le trote, mangiano pollo e uova sode, bevono in due le due bottiglie di vino, prima l’una, poi l’altra.
Il vino è «icy cold».
I due non hanno il problema di 007, che deve rimettere al fresco la bottiglia.

James Bond come un eroe di Hemingway.
Non vedo la differenza.

Tutti bevono, tutti ordinano caffè, al punto che mi viene voglia di ricominciare a prenderlo, non fosse altro che per il colore e l’odore.
Ho smesso di bere caffè quando ho smesso di fumare.

Tutti fumano, con eleganza, usando accendini e portasigarette.
L’accendino e la sigaretta sono parole d’ordine, oggetti magici, azionati come sono da mani con le dita lunghe (ah, l’altezza), sembrano far parte della panoplia di un mago.

007 ha un fascio di banconote nella tasca interna della giacca.
Il denaro non è mai un problema e lui al denaro non fa caso.
Automobili potenti, suite in alberghi di lusso, locali haut de gamme.
Anche se di fronte a un lingotto d’oro il suo appetito sembra risvegliarsi.
Ma l’oro, si sa, è capace da sempre di fare effetto.

Abbiamo detto, l’eleganza.

Sean Connery e Anthony Sinclair

Per la gioia di tutti coloro che ci tengono, apprendiamo che 007 indossa abiti di Anthony Sinclair e camicie di Turnbull & Asser, tutto rigorosamente inglese.
(E come potrebbe essere altrimenti: gli americani, si sa, sono dei selvaggi).
Nella scena che vi ho messo in apertura, la camicia ha il colletto francese e polsini da cocktail a due bottoni.
La cravatta dark blue grenadine ha un nodo piccolo four in hand.
Nel taschino della giacca ha messo un fazzoletto écru piegato.
I calzini sono navy.

Le scarpe sono delle derby nere con tre occhielli.
(La cosa che più invidio agli uomini sono le scarpe con i lacci).

Non devo far notare che esco di casa, a non troppa distanza da una delle porte storiche di accesso a Roma, e vedo solo maschi, grandi e piccini, che trascinano i piedi in ciabatte che sarebbero vergognose anche indossate nelle quattro mura domestiche, silenziose e private.

Ma guardatevi un film, prima di uscire da casa così conciati.

E poi la voce.
Una voce da attore consumato, morbida, fonda, scura, avvolgente.
E quando te la scordi.

Naturalmente in una cultura in cui due giorni fa ho sentito alla radio una che si presentava come «direttora»; in cui si accusa Bizet di aver fatto morire ammazzata da un uomo Carmen (nel 1874); in cui si chiede di cambiare il testo della Canzone del Piave (1918) perché ce l’ha con lo straniero, in questa cultura perbenino e asfittica, nessuno dà un’occhiata al cinema.
Per cui la passano liscia quelli che dopo quarant’anni, a Ferragosto (di nuovo), si danno appuntamento al Palo della Morte con le buste di calze e le penne biro da portare alle polacche per ottenere in cambio un amplesso (Carlo Verdone, Un sacco bello, 1980) e nessuno nota come sono presentate le donne di 007.
Con i seni altissimi, abbondanti, strizzati dentro balconcini che li tengono gonfi pure quando loro sono sdraiate, come nei peggiori risultati della chirurgia estetica; i sederi sui quali la stoffa delle gonne sta tesa fino a scoppiare; le scarpette con i tacchi a spillo e la punta dove non si capisce dove il piede possa andarsi a sistemare; la messa in piega sempre irreprensibile, con i capelli che ondeggiano nel vento, nell’amore, nella lotta armata, ma che dopo tornano miracolosamente a posto; i denti irregolari e il rossetto di plastica.
Tutte che pendono dalle sue labbra, tutte che non lo vogliono mollare, tutte che perdono di colpo inibizioni e memoria e gli domandano se faranno l’amore sempre sempre sempre.
«Day and night». Risponde lui.

E che deve rispondere.

La lotta delle zingare, Dalla Russia con amore

Assistiamo anche a una lotta per un uomo fra due zingare, che se le danno di santa ragione fra l’eccitazione degli astanti.
Le due erinni si prendono al collo, le cosce che escono coreograficamente dalle gonne, i seni all’aria, i capelli che, almeno questo, avrebbero potuto legare per evitare la facile presa dell’avversaria.
Sì, però poi si sarebbe persa la metà dello spettacolo.
Segue un agguato al campo, tutti che sparano a tutti, si dà fuoco ai carri.
Quando la quiete ritorna, il capo tribù presenta a 007 le due bisbetiche, domate dal fascino di lui, che supera ogni confine e getta nell’oblio ogni amore precedente e gli dice che dovrà assegnare lui la vittoria.
Lui se le scorre con sguardo da intenditore e risponde, laconico: «Ci vorrà del tempo».
Cambio di scena.
Mannaggia.
Ma si tratta di film fondamentalmente casti, pensati per il grande pubblico, del tutto privi di volgarità, in cui tutto quello che attiene al sesso è suggerito, per quanto di continuo, e si sparge intorno in garbo e leggerezza, per non parlare del mistero e dell’assenza dell’azione erotica.
Baci esclusi, ma abbiamo già detto che sono clamorosamente finti.

E così deve essere.

Perché così dovrebbero essere gli uomini: irresistibili ma signorili; apertamente sensuali ma capaci di tenersi un segreto; sempre pronti all’avventura ma business before pleasure, che è la versione inglese di prima il dovere, con quel che segue.

Altrimenti che uomini sarebbero.
Perché gli uomini mettono la professione sopra a tutto (facendo benissimo), anche perché certi mestieri sono davvero difficili e impegnativi.
Quello di spia più degli altri.

Il mestiere di 007.
Quello di Bond: di James Bond.