Psi, psi, signore maschere;
Psi, psi…
Via rispondete.
Psi, psi…
Cosa chiedete

Mozart / Da Ponte, Don Giovanni

Sul libretto non c’è scritto.
Eppure più di una volta a teatro il cantante lo ha fatto.
Ossia, quando Leporello dice a Don Giovanni, e sono entrambi alla finestra, di guardare le «maschere galanti» che stanno fuori dal palazzo, maschere in bautta, è detto chiaramente e Don Giovanni dice al servo  di farle passare avanti, il servo, ovvero Leporello, fischia.
Ma fischia proprio come un pecoraro, ovvero si mette le dita in bocca ed  emette un fischio vigorosissimo.

Non sono capace di fare un fischio alla pecorara, capisco che per una donna non stia bene e forse per questo ho omesso un passaggio nella mia formazione che adesso mi dispiace aver omesso.
E poi, se lo fa un baritono di razza in scena, dove ha imparato a farlo?
Ci sono dei tutorial.
Quasi quasi ci provo.


Se Don Giovanni prende una clamorosa cantonata e invita al ballo quelle tre maschere galanti che, tutte, non vedono l’ora di fargli la festa, è perché esse, come detto, sono in bautta, quindi, irriconoscibili.

Vi metto il video di questa scena. Quello fu il più bel Don Giovanni della mia vita.
Nel senso che, quella sera, al Comunale di Ferrara, c’ero anch’io.
Dirige Claudio Abbado.
Don Giovanni è magnifico.
Leporello fischia.

Chissà se il «giovane cavaliere estremamente licenzioso» ci sarebbe cascato se avesse avuto un videocitofono.
Hanno il videocitofono i miei due medici più importanti, che sono fratelli e hanno gli studi sul medesimo pianerottolo.
Lì capisco che sia una questione di sicurezza.
Però ha il videocitofono anche la mia podologa, che è una piena di gadget, di roba attaccata alle pareti, di motti, fotografie, proverbi e foto della cihuahua  morta con dedica.
La dedica l’ha scritta lei alla cihuahua, non viceversa.
La povera anima si chiamava come una cantante di Sanremo e non ha resistito a non mi ricordo più quale malattia.
Adesso la podologa ne ha presa un’altra.
Che si chiama come un’altra cantante.

Ma divago.

A casa mia c’è un citofono normale.
Volendo, uno risponde come si faceva col telefono.
Sul citofono cascano tutti gli asini.
Per esempio i postini maleducati, per cui io sto alla mia scrivania, il citofono suona, io mi alzo, dico gentilmente «Sì?» oppure «Prego?» e quello mi risponde solo con una parola: «Posta».
Come sappiamo una frase senza verbo non ha senso, altrimenti il verbo non si chiamerebbe verbo.
Per cui io dico «Buongiorno», nel senso che lui dovrebbe dire buongiorno a me, aggiungendo poi «Per favore, può aprirmi?» ma lui non capisce e pensa che io lo abbia salutato.
Si sbaglia, perché, non solo dovrebbe essere lui a salutare me, visto che mi disturba, ma io mi sono pure seccata perché lui mi ha interrotto in quello che stavo facendo.
E decido di non aprirgli il portoncino d’ingresso.
Così lui deve ricominciare daccapo e farsi aprire da un altro condomino.

Ultimamente, prima del confinamento, c’era una postina deliziosa che diceva tutta la frase: «Buongiorno, signora, è la postina, può per favore aprirmi?».

Così andiamo bene.

Quand’ero ragazzina non c’erano i citofoni e, quando la gente rientrava, fischiava nel cortile per farsi aprire la porta a vetri delle scale.
(Ogni nucleo familiare aveva il suo fischio).
La porta delle scale, però, era sempre aperta.
Altri tempi.

Quel fischio lì lo so fare anch’io.

Non mi piacciono i videocitofoni.
Non mi piacciono le videochiamate.
Ho tolto il saluto a tre persone, che conoscevo poco o niente, che mi hanno fatto una videochiamata.
Non solo non ho risposto, ma ho pensato che fosse il caso di non avere più nessun contatto con loro.
Ho chiesto a un mio amico fanatico di tecnologia: «Ma è normale?», cioè, di botto, non si capisce perché, uno entra lì dove stai tu, e tu puoi stare dove ti pare, e dà un’occhiata a dove stai.
Trovo che questa sia un’intrusione eccessiva.
Il mio amico mi ha detto che oggi è quasi normale.
Apprezzo il fatto di essere quasi.
Non ho una webcam, la sola idea che dal mio computer qualcuno possa vedere il mio studio mi fa stare male.
Non capisco la disinvoltura di Skype.
Forse, in poesia:

«Forse è mentre mi alzo e mi hai chiesto
di spogliarmi – cammino
fino al centro della stanza, la lycra
le calze aderiscono a ogni piega

io che fisso il video mosso sullo schermo, il portatile sul letto.

Collegati, e ora dimmi
cosa hai fatto bevuto e chi hai
guardato chi ti ha guardata stasera…».

È brava, Claudia Crocco, fa poesia con dispositivi moderni, quando non è FB, qui è Skype night.

Sto facendo lezioni on line condividendo lo schermo del mio computer.
Solo quello.
E già è tanto.
Con tutto quello che c’è in un computer.

(Gusto infinito della condivisione dello schermo del mio computer con chi, la condivisione, l’apprezza).

Però ormai ho imparato, chiudo tutto e lascio solo la cartella delle immagini che mi sono preparata e il collegamento con la piattaforma.

Ma torniamo al fischio.
In esso, mi stupisce l’ambivalenza.

Fringuello

Nel senso che, per esempio, fischia il fringuello, che è un esserino tenero e grazioso, con il suo piumaggio autunnale che sta così bene con la giornata piovosa di oggi.

Ma fischia pure la biscia, che non è né tenera né graziosa e tantomeno è un esserino.
Facile, confonderla con una vipera.

Biscia

Come tutti i rettili, la biscia mi incute timore e soggezione.
Certe volte fischiano i cavalli durante il galoppo. Ed è un brutto segno, perché vuol dire che l’animale ha difficoltà di respirazione e che quindi, in gara, non potrà competere su grandi distanze.

Se fischia il torace di un essere umano, è brutto segno ugualmente perché il paziente potrebbe avere una bronchite asmatica.
Fischia il vento, lo dice pure la canzone.
(E infuria la bufera).
Ma fischiano pure le pallottole.
Poi fischiano l’arbitro e il vigile urbano: ancora brutto segno.

Ma fischia il treno, ed è un fischio bellissimo, che ha una sua suggestione, una sua letteratura e una sua storia.
Tutto il segnalamento ferroviario è un codice noto alla gente che vive sui binari.

Treno

E anche i fischi sono dei segnali, hanno un significato ben preciso, per la durata, il numero, l’intensità.
Una volta un capotreno mi ha invitata ad andare nella cabina di guida di un Eurostar.
A parte la visione, che è a 180° ed è qualcosa di inimmaginabile se uno pensa alla porzione di mondo ridotta che si ha dal finestrino, i due macchinisti si misero a fare i galanti e mi fecero vedere un sacco di cose e poi, per stupirmi, mollarono un fischio così forte che uno così forte non lo avevo mai sentito in vita mia.

E fischiano le navi durante la navigazione, pure loro è come se avessero una voce.

Nave

Spesso fischiano nella nebbia, così tu non le vedi ma senti che ci stanno.

Il fischio del treno e quello della nave nella notte sono capaci di inventare, da soli, un paesaggio sonoro stracolmo di sentimenti: nostalgia, desiderio di un altrove, dispiacere per la lontananza.

Eccetera.

Da noi, a teatro, i fischi non sono un modo gentile di salutare un cantante o un attore, infatti si prende o si caccia a fischi qualcuno che non è gradito, cui il non gradimento viene dimostrato clamorosamente.
Sono andata a vedere perché si dice bordate di fischi.
La bordata, nel tiro delle artiglierie di una nave, è «il fuoco simultaneo di tutti i pezzi dello stesso fianco».
Essa diventa una raffica e una sequela quando si lega agli insulti.
E ai fischi.

A parte che io a teatro certo non mi metto a fischiare.
Inoltre una volta, in un palco del San Carlo, dove andai a vedere un Wagner, ritornando poi a Roma con un treno notturno che fischiava tantissimo, un signore argentino, vedendomi delusa, mi spiegò che in scena c’erano degli artisti, forse mediocri, lui era d’accordo con me, ma pur sempre artisti.
Quindi bisognava sempre manifestar loro qualche apprezzamento.

Poi arrivano gli americani che stavolta, e non è la prima volta, fanno tutto al contrario e che, quando fischiano a teatro, è per manifestare il loro entusiasmo.

Ve l’ho detto, no, che il fischio è ambivalente.

Per cui in italiano, per esempio, si può dire «un sughetto squisito, di quelli col fischio» oppure «bene un fischio!», quando si vuole intendere bene per niente.
Questa è la Treccani, che sa sempre che cosa dice.

E ora decidete voi.
Fra queste due locuzioni, qual è che indica il mio pensiero autentico e sincero?
A e B.
A: Alberto Angela è uno storico dell’arte col fischio
B: Col fischio, che Alberto Angela è uno storico dell’arte