La duchessa Beatrice Sforza ogni venerdì si schiariva i capelli…La tintura, composta di decotto di grano, radici di noce, bile di bue, guano di rondine e zafferano, era opera di una vecchia vedova Sidonia di lingua lunga come un moderno parrucchiere. «Madonna Filiberta inganna suo marito con un nobile spagnolo di passaggio».
«Non si vergogna?»
«No. Anzi prima era triste e adesso canta come un uccello, perché tra i baci di un marito e quelli di un amante corre gran differenza.»

Elena Canino, La Vera Signora, 1952

Mia madre andava dal parrucchiere a farsi i capelli.
Anche la mia migliore amica all’università andava dal parrucchiere a farsi i capelli.
Questa locuzione mi è sempre sembrata un po’ vieux jeu.
Che ne so, io vado dal parrucchiere a tagliarmi i capelli, a farmi il trattamento, il colore, a sistemarmi la frangia, a mettermi qualche extension, loro scrivono sull’agenda taglio e piega, però questa faccenda della piega, la messa in piega, cioè il farsi i capelli, sembra una di quelle cose di cui si è perso il senso, come dice Primo Levi delle immagini e delle metafore di cui tutti i linguaggi sono pieni, ventre a terra, mordere il freno, con l’equitazione che è decaduta «al rango di sport costoso», queste espressioni sono inintelligibili.
Anche se dal parrucchiere vedo donne che vanno a farsi la messa in piega, con la ragazza, quella femmina, che è bravissima e lavora di phon e di spazzola per venti minuti e fa un lavoro che ti credo che dà soddisfazione immediata.
Poi chissà perché quelle signore non si fanno i capelli da sole e mi domando sempre se prendono un acquazzone o se si sporcano la testa mentre friggono le polpette, come si regolano, si tengono lo sporco sui capelli fino a che non hanno un altro appuntamento.

Quando viaggio, se ancora viaggio, ammesso che il viaggio non sia, proprio come la messa in piega, vieux jeu, nel bagaglio la parte dedicata ai capelli è preminente.
Spazio.
Peso.
Tempo.
Phon, piastre e poi non sai mai quello che trovi in albergo, quindi prolunga, quindi un gioco di prese elettriche, spine, adattatori, e poi shampoo, balsamo, cera, pinze e mollette per tenermi i capelli (per il trucco e lo strucco).
Non è che uno parte e diventa selvaggio.
Non è che uno parte e diventa due minuti e sono pronta, sto scendendo.

Tutto in stiva.

Ma il sacchetto con le spazzole me lo tengo ben stretto con i pennelli da trucco e il trucco nel bagaglio a mano, ci manca solo che si perdono la valigia.
Viaggiare stanca. Forse pure per questo.

Il parrucchiere di mia madre era uno dotato di talento. Marchigiano, con una botteguccia non lontano da casa mia, detestava le donne e diceva sempre che avrebbe preferito fare il pastore perché tosare le pecore era meno faticoso che avere a che fare con il gentil sesso.
Le donne non sono mai soddisfatte del parrucchiere, l’irrequietezza femminile anche in questo senso mi sfinisce, conosco donne che cambiano parrucchiere tutte le volte, finiscono il giro e ricominciano, e poi le amiche e poi mamma e figlia che vanno dallo stesso parrucchiere e chiedono lo stesso taglio.
Andavo anch’io dal parrucchiere di mia madre che a me faceva però tagli nell’aria del tempo, veniva da lui anche una mia compagna di università che abitava sulla Laurentina, quando lei si sposò lui andò a pettinarla, andai con lui la mattina e lui pettinò anche me, mi fece una cosa divertente, con tutti i capelli tirati da una parte e pieni di mollette, mi ricordo che avevo un abitino anni ’40, sul serio, nel senso che lo avevo comprato usato e vecchio, la sera, tornando, stavamo a una stazione perché evidentemente prendemmo un treno urbano per rientrare, mi ricordo che dissi alle persone con cui stavo sembriamo proprio degli attori dopo lo spettacolo, ma non gli attori quelli importanti dei teatri grandi, gli attori quelli che girano con il pulmino scassato con sopra tutti gli attrezzi e si fanno le piazze di provincia.

A me certi matrimoni mi mettono una tristezza.

Regolo la mia agenda su quella del mio parrucchiere. Lui chiude tre settimane in estate e sto attenta a prendere appuntamento l’ultimo giorno e il primo, una volta ho spostato una conferenza in una località di villeggiatura perché gli impegni coincidevano e ho pure dovuto spiegare a un organizzatore che quel giorno dovevo assolutamente essere a Roma e se non capisci, ti devi fidare.
Delle tre settimane l’ultima spesso mi indispone, ogni tanto sono andata a cercare altrove, come sempre i tradimenti sono colpa del tradito, il traditore, poveretto, evidentemente non ha potuto fare diversamente.
Il mio parrucchiere poi chiude dieci giorni a gennaio, ma lì mi regolo e la sua vacanza non mi coinvolge. Laddove, invece, un ponte mi manda per aria tutti i programmi.
Lui, come dice uno dei ragazzi maschi, è un creativo in tutti i sensi, decide di pubblicare un video su Instagram e dopo un po’, visto l’affollarsi delle visualizzazioni, gli chiedono di fare il testimonial per una marca.
Lui prima era più simpatico, ci si poteva parlare e giocare, adesso i discorsi sono molto ridotti, comunque a me interessa che lui sia creativo, mica che giochi o parli.
E prendo grappoli di appuntamenti, così mi organizzo la vita e la professione intorno a quei punti fermi.
I punti fermi nella vita servono, eccome.

Dal parrucchiere mi porto sempre da leggere cose mie, un libro, una rivista, nemmeno tocco i giornali che stanno lì da lui,  una volta un tipo, che avevo appena conosciuto e al quale non avevo risposto al telefono dicendogli via messaggio che stavo dal parrucchiere, nel pomeriggio mi cerca e mi fa: «Che hai letto?».
Quando si dice: saper far ridere una donna.

Quando quelli che si occupano di psicologia, che non ho mai capito bene che cosa fanno perché gratta gratta dicono cose che hanno già detto i grandi romanzi, sostengono che uno passa la vita a imparare ad accettarsi, credo che intendano che uno passa la vita a imparare ad accettare i propri capelli.
Di cui quasi nessuno è contento, perché la coabitazione spesso si rivela una burrasca, quelli fanno come vogliono e più tu cerchi di domarli, più loro si ribellano.

Le donne con i capelli sono capaci di fare cose da pazzi, proprio come con le scarpe.
Mai dimenticherò, io ero proprio bambina, un’amica di una mia zia in Piemonte che mi raccontò che lei il sabato sera andava a ballare, però quel giorno non poteva andare dal parrucchiere perché lavorava, dunque da lui ci andava a metà settimana, poi, per non guastarsi la pettinatura, dormiva due notti con la testa fuori dal cuscino, penzoloni dal letto.
E mi fece pure vedere.
Io più volte ho avuto delle extensions, la prima fu una cosa non semplice, il parrucchiere mi aveva attaccato tutta una serie di ciocche che mi scendevano sulla nuca, quindi i capelli nel giro di un’ora si erano allungati in code di quindici centimetri: l’effetto mi parve spettacolare.

Extensions, autentici strumenti di tortura

Finché non rientrai a casa e non decisi di farmi una dormitina sul divano. E lì mi accorsi che non potevo appoggiare la testa perché le extensions si attaccano ai capelli con dei tiranti di colla e metallo e tutti i tiranti me li sentivo che mi entravano dentro il cranio, un po’ come deve sentirsi un fachiro su un letto di chiodi, anzi lui, no, altrimenti che fachiro sarebbe.

Provai tutte le posizioni.
Mi chiesi pure se non dovevo dormire bocconi, come fanno le ballerine del Crazy Horse per non sgualcirsi il didietro, proprio così, l’ho letto una volta in un’intervista e pure lì c’è da chiedersi se il gioco valga la candela.
Oddio, forse per stare su un palco con le penne infilate in testa.

Ho digitato Crazy Horse sulla barra di ricerca Google e questo è il risultato

Ma per avere la testa con le penne che ti si infilano dentro, è da vedere.
La tortura durò una settimana buona. Con un po’ di crescita, i tiranti si allentano e tirano meno.
Meglio la treccia, che si attacca da una parte e che ho portato sia blu che del mio colore. Ma la treccia è in realtà composta di ciocche in multiplo di tre, che si sciolgono e si rifanno e si sciolgono quando ti lavi i capelli e io mi lavavo i capelli tutti i giorni, e già impiegavo un sacco di tempo.
Al quale si era aggiunto il tempo della treccia, sciogli, lava, mettici il balsamo, asciugala e rifalla la mattina dopo, la treccia era molto divertente, ma dopo due volte, basta.

Comunque, ciò che mi ha più colpito nelle extensions, nel mio ritornare da loro più di una volta, in una volta delle quali le ciocche blu applicate  nel giro di poco cambiarono colore, diventando turchesi, poi azzurro cielo e l’ultima settimana prima di toglierle (si tolgono con le pinze apposite) fu lievemente imbarazzante perché tutti mi dicevano che ti sei messa in testa, dicevo che ciò che più mi ha colpito nelle extensions è il loro paradosso.
Così come piove sempre sul bagnato e, come dicono i francesi, si presta solo ai ricchi, così pure quelle ciocche di soccorso, che farebbero tanto comodo a gente che ha bisogno di un po’ di capelli, le puoi applicare solo su teste che di capelli ne hanno tanti.
Altrimenti, dove le attacchi.

Questo pure è vero e questo tanto per cominciare.
Del resto la relazione fra una donna e il suo parrucchiere è talmente articolata, complessa e profonda, che qui bisognerà tornare a parlarne.