Hypnos o Sonno, sec. IV a. C.

Era bruna, anzi nera, un nero deciso e naturale. I capelli erano tagliati corti, un po’ più corti  di quelli degli uomini che li portano lunghi, se poi costoro sono uomini, ma un po’ meno corti di quelli degli uomini che li portano normali e che visitano il parrucchiere ogni quindici giorni. Capelli corti da donna, a lui piacevano i capelli lunghi, ma convenne che a lei stavano bene così.

Giorgio Scerbanenco, Venere privata, 1976

Se permettete, stavolta parliamo di uomini.
Per la precisione di uomini visti dalla parte dei loro capelli, di quello che la loro capigliatura suscita in me come considerazioni, curiosità, riflessioni, gioco, sentimento.
Percorso impervio, di solito praticato, dall’altra parte, dagli uomini che, come detto, da sempre danno forma al mondo attraverso il loro immaginario.
E, nel loro immaginario, le donne ci stanno sempre, spesso con il corpo e con i capelli, che del corpo sono l’incarnazione, il simbolo, la metafora.
Donne e capelli sono una cosa sola.
Proviamo a vedere se con gli uomini riusciamo a fare qualcosa di simile.
Seppure con la limitatezza di chi arriva per ultimo, colui che viene quasi sempre messo da parte con un’alzata di spalle e con sufficienza.
E questo qui che vuole.

Se è una donna che parla dei capelli degli uomini, poi.

L’atleta. Decido di guardare una partita, siamo quasi in vista della finale.
La telecamera, prima del calcio di inizio, fruga negli spogliatoi, in fondo è questo il momento che preferisco.
Le squadre sono pronte a scendere in campo, guardo le facce, sembrano quelle di guerrieri poco prima dell’attacco.

Zinedine

Zidane è il vero motivo per cui mi sono messa davanti allo schermo, apprezzo la sua grazia da danzatore unita alla potenza del decatleta.
Lui si passa e si ripassa la mano sui capelli, parte dalla fronte e arriva alla nuca, poi ricomincia, la tensione sta tutta in quel gesto, che ripete più volte, è un tic, è un rituale, è il segno che sta per iniziare la battaglia.
L’unica cosa da aggiungere è che non si capisce il motivo di quel passare e ripassare la mano sui capelli, visto che Zidane, i capelli, non li ha.

La giovinezza. L’uomo con i capelli più belli che ho frequentato è stato Paoletto.
Mio compagno di francese, nel senso che andavamo nello stesso istituto, nei medesimi giorni e nei medesimi orari ma in classi diverse, lo conobbi, anzi, diciamola tutta, mi agganciò lui durante l’intervallo.
Io avevo preso l’abitudine di sistemarmi, in quella circostanza, seduta su un tavolo antico che c’era sul lato corto della stanza comune, postazione da cui potevo guardare tutto, avendo le spalle coperte e controllando bene il lato destro, che mi stava più comodo.
Lui sferrò l’attacco dal lato sinistro.
Sentii una voce chiara, molto confidenziale, un po’ strascicata, che diceva qualcosa, forse era un complimento, forse una considerazione su una cosa che avevo addosso.
Mi giro e faccio: «Ah.».
Proprio così, ah. con il punto fermo, non quello esclamativo o non quello interrogativo, che non c’entravano niente.
Ah. nel senso di  ah., voi sapete quando uno dice punto e basta.
Io in quel periodo stavo lavorando alla mia tesi, lui aveva un paio di anni meno di me, quindi, faccio due rapidi calcoli, stava sui ventidue e mezzo.
Paoletto era carinissimo. Scicchettino, figlio di ottima famiglia, nato del nord est ma senza un filo di accento, con una macchina giovanilistica e modaiola con il tettuccio apribile.
Lui era un castano con gli occhi verdi, bocca incantevole, voce che già abbiamo detto, era coltivato, appassionato di cinema, studente pure lui di Lettere ma con indirizzo Spettacolo, aria cosmopolita, affabulatore,  simpatico.
Uno degli uomini più noiosi che abbia conosciuto in vita mia, lento, sempre in ritardo e, soprattutto, Vergine autentico, di quelli che cercano il pelo nell’uovo e spaccano in quattro il capello.
Ma, a proposito di capelli, come anticipato, i suoi erano bellissimi.
Liscissimi, lunghi, ma non fino alle spalle, molto curati, gli scendevano sempre sugli occhi.
La cosa innescava tutto un sistema di gesti, atti, movimenti, per cui un po’ scuoteva la testa, un po’ si passava la mano da sotto la fronte in su per levarseli di torno, insomma, faceva un po’ quello che avrebbe fatto in seguito Zidane, ma con più senso.
Questa faccenda dei capelli era dominante, nei discorsi in cui si infervorava, poi, i gesti, gli atti, i movimenti si intensificavano.

Io ero completamente irretita.

Diventammo amici al volo, la sera stessa mi invitò a cena, poi al cinema e cominciammo a parlare.
Parlammo per un anno, continuamente, a cena, al telefono, per strada, durante l’intervallo, in macchina.
Parlavamo fino a notte inoltrata.
Una volta, stavamo sotto casa mia, insomma, casa di mio padre che io speravo dormisse e, a quello scopo, avevo ben oliato la porta di casa, che lui ci teneva producesse un rumore fastidioso, un cigolio che segnalava il rientro dei figli, insomma, diciamola meglio, della figlia femmina, perché il figlio maschio poteva rientrare quando voleva.
Insomma, stavamo sotto casa mia, io speravo che mio padre dormisse e pioveva.
Pioveva in un modo violentissimo, sembrava il diluvio universale, arrivò pure la grandine, che batteva sul tettuccio della macchina e produceva un fracasso tale che a un certo punto non fu più possibile parlare.
Dunque, passammo un pezzo della notte a guardarci negli occhi, occhi che, come detto, lui aveva verdi, con un gran contrasto con i capelli.

Due naufraghi su un’arca, che si erano salvati insieme dalla pioggia che cadeva a dirotto. E che parlavano.

Questo facemmo per un anno: parlammo.
Al cinema andavamo anche a vedere film francesi in versione originale con sottotitoli in lingua, io, che mi ero appassionata, sto parlando del francese, e studiavo tantissimo, gli facevo la traduzione simultanea, visto che lui non ricordo se fosse al primo anno o fosse somaro.
Io mi laureai, lui passò anche in facoltà quella mattina, poi venne alla festicciola che mi aveva organizzato un’amica che aveva una bella terrazza e mi regalò una fantastica spilla di madreperla che ho portato per anni.
Io partii per Londra, a vedere i quadri del mio pittore.
Mi ricordo quel soggiorno come un inferno, avevo pochi soldi e facevo fatica a farmeli bastare, nel tardo pomeriggio facevo un salto alle slot machine sperando di vincere qualcosa per un pasto decente, comunque, facendo dei sacrifici e lunghi percorsi a piedi perché la metropolitana costava uno sproposito, riuscii a comprare per lui una sciarpa da Harrods.
Evidentemente non me l’ero scordato.
La sciarpa gliela consegnai al ritorno.
Evidentemente ci vedemmo ancora.

Poi non ricordo più che cosa accadde, la vita ci divise, lui non si iscrisse più al corso di francese perché aveva combinato poco o niente, io mi gettai in quella che sarebbe stata la mia professione, partendo da un apprendistato che fu galera, fu gavetta, fu preziosissima esperienza, che accumulai volenterosamente e di cui ancora oggi faccio tesoro.
Lui, non l’ho evidentemente mai dimenticato, infatti ne sto parlando, soprattutto per i suoi bellissimi capelli, di cui si prendeva cura un barbiere a via Civinini, di cui mi ero fatta dare l’indirizzo.
Il barbiere era capace di tagliare i capelli senza che si vedesse che li aveva accorciati, infatti una volta ridemmo tutta la sera perché lui era tornato a casa e la madre lo aveva rimesso sulla porta dandogli di nuovo i soldi del barbiere e dicendogli che se lui e quello là pensavano di prenderla in giro, si sbagliavano di grosso.

Paoletto usciva con delle attricette, che erano e sono rimaste tali, lo dico a distanza di anni, autentiche mezze calze che non hanno fatto nemmeno uno straccio di carriera, però all’epoca queste signorine mi facevano diventare matta di gelosia, mi ero convinta che se noi parlavamo e basta era perché lui usciva con loro e pensavo ma chissà che lagna di conversazione fa con queste.
Una, poverina, si prese pure dopo poco tempo, lo lessi su un giornale, non so più quale malattia esantematica. Fuori tempo massimo, per cui, se da bambino le conseguenze sono inesistenti, lei invece si ritrovò malmessa per tutte le cicatrici che le rimasero addosso. Un po’ come accadde alla marchesa de Merteuil delle Relazioni pericolose.
Ma a ciascuno il suo. Quest’ultima, un’autentica libertina,  cattiva e sfrenata, si ammala di vaiolo ed esce di scena. L’attricetta, che sulla scena non era mai entrata, per colpa di un morbillo o di una varicella, si dovette cercare qualche lavoretto alternativo e tirare a campare in campi diversi da quelli della settima arte.

Detto ciò, confessato il mio sentimento, ammetto che capelli belli come quelli di Paoletto non ne ho più visti.
Anche se ho dato l’indirizzo del barbiere di via Civinini a un paio di uomini, senza ottenere il medesimo risultato.
Evidentemente, per un simile exploit, il barbiere non basta, ci vuole una seria materia prima di fondo.

Il patto col diavolo.  Non mi ricordo quando Mick Jagger è entrato nella mia vita, probabilmente c’è da sempre.

Myck, 1

In assoluta nonchalance e in una morbidezza ed elasticità del corpo che non hanno uguali, ha attraversato la storia del rock & roll, lui sta lì e forse è immortale.
Uno come lui, campione di tutti gli eccessi, se pure, come sento dire continuamente, si fosse cambiato il sangue, e chissà che cosa significa veramente e poi perché non possiamo farlo pure noi, insomma, a vederlo ancora oggi, lui è rimasto fedele a se stesso, compresi i capelli.

Myck, 2

Appassionato di calcio, appassionato di arte, va in tournée e riempie gli stadi, ancora e sempre.
Lui è la dimostrazione vivente di come il tempo che passa non sempre distrugge, di come col tempo si possa scendere a patti, lui continua a essere quello che è sempre stato: un artista.
Puro ritmo, ribellione, alternativa, esistenza consumata senza che l’esistenza stessa ti metta con le spalle al muro e ti presenti il conto.

Mi raccomando, quando e se li vedete, salutatemi i Beatles.

Che la forza sia con te. Vado a memoria e penso per iscritto. Sansone è una delle figure più pittoresche dell’Antico Testamento. È uno dei giudici di Israele, dotato di grande forza fisica e sensibile alle lusinghe femminili. Che cosa volete di più da un uomo.
Inoltre non si è mai tagliato i capelli dalla nascita.
Adesso vi dico meglio.
Proprio come Ercole, pure lui uccide un leone a mani nude e nell’iconografia compare mentre spalanca le fauci dell’animale.
Faceva così pure il veterinario della mia ultima gatta, le spalancava le fauci e poi cercava di infilarci la testa dentro.

Guido Reni, Sansone, 1608

Quando si dice, uno capace di far ridere le proprietarie dei gatti.

Sansone poi stermina pure i filistei con una mascella d’asino.
Spiego. I filistei sono i nemici giurati del popolo ebreo e lui ne fa fuori mille con quest’arma singolare.
Dio allora lo disseta facendo sgorgare da essa dell’acqua. È probabile che tutta la storia derivi da un’errata traduzione, secondo la quale lui dovette bere davvero da una sorgente che si chiamava mascella.

Caravaggio, Sette opere di misericordia, 1609, part. con Sansone

Vi mostro un particolare delle Sette opere di misericordia di Caravaggio, quello che corrisponde a Dar da bere agli assetati.
Così ci vediamo Caravaggio. E ci vediamo pure Sansone.

Comunque a noi, di lui, interessa altro e per la precisione, visto che ci piacciono le storie d’amore, la sua vicenda con Dalila.
Che era filistea e che i filistei corrompono (con lei che si fa corrompere, vatti a fidare delle donne) per vendicarsi.
Lei deve riuscire a sapere da dove lui trae tutta quella sua forza.
E come ci riesce?

Sir Peter Paul Rubens, Sansone e Dalila, 1609

Indovinate un po’. Come ci riescono le donne: seducendolo.
Lui le dà tre risposte fuorvianti, ma la quarta è quella giusta: la sua forza deriva dai capelli.
Lei, già che ci stava, lo aveva pure fatto ubriacare e lui, allora, si addormenta.
Arriva il filisteo di turno e zac, gli taglia i capelli.
Vi mostro la scena nell’interpretazione di Rubens, carnale come al solito.
Lui si sveglia e si ritrova inerme e nelle mani dei nemici.
Vi dico pure che la credenza secondo la quale la forza dell’uomo stava nei capelli era molto diffusa presso i popoli primitivi e Sansone la rappresenta molto bene.
Lui finirà male, ormai è stato catturato, gli cavano anche gli occhi e lo gettano in prigione.
Ma intanto i capelli ricrescono.

Marmaduke per noi è Sansone

Durante una festa i filistei lo tirano fuori di prigione per divertirsi. Lui è accompagnato da un ragazzo che lo guida, cui chiede di accompagnarlo alle colonne che sostengono il tetto.
E, con le forze nuovamente affluite, lui si attacca a esse e le fa crollare.
Lui urla «Muoia Sansone e tutti i filistei».
Ogni volta che a lezione racconto questo fatto, aggiungo una cosetta deliziosa. Stefano Bartezzaghi, nello sciocchezzaio che mette insieme con le persone che sente o che gli scrivono, una volta ha raccontato che una signora, volendo alludere al racconto biblico, metafora di un sacrificio di sé che però comporta lo sterminio del nemico, ha detto: «Muoia Sansone e tutti i figli isterici».
Risate assicurate, pure, spero, da parte vostra.

Coprimi grandemente / scioglimi / e in me restaSe riesco, mi piace dormire. Sono capace di dormire anche dieci ore di seguito. Ricordo con orrore un periodo della mia vita in cui mi si era spezzato il ritmo del sonno, se cominci a dormire male, continui a dormire male.
E dopo un po’ campi malissimo.
Mi ricordo pure la volta che mi accorsi che avevo dormito tutta la notte, stavo anche fuori per lavoro, in un bell’albergo veneziano, mi svegliai la mattina e non mi sembrò vero.
Da quella volta ho la massima cura del mio sonno, faccio come la Kathe di  Jules e Jim, che, quando dorme lei, pretende che anche la vita si sospenda.
Insomma, più o meno.
E non mi stupisce che i greci antichi del Sonno abbiano fatto un dio.
Eccovelo qui, in questa bella immagine che vi ho messo in apertura della sua statua che sta al British Museum, fotografata nei primi anni del ‘900.
Ho scelto questa riproduzione perché la trovo molto suggestiva.
Suggestiva tanto quanto è suggestivo il sonno.
Il busto monco, dunque moderno, noi siamo moderni e romantici e amiamo il frammento, si sporge verso di noi.
E, soprattutto, incede verso di noi la testa, un po’ china, come se volesse affrontarci.
Ed è una testa bellissima: i capelli lunghi, tenuti dalla tenia, che è il nastro che decora i vincitori delle gare, e poi quelle ali, è come se le orecchie si fossero trasformate, diventando orecchie da asino per re Mida, da angelo per Hypnos.

Che meraviglia.

E il Sonno ha i capelli lunghi. Proprio come parecchi degli uomini di questa nostra prima seduta nella bottega del barbiere.
E che il Sonno copra e sciolga e resti in noi, mi pare bellissimo.
Chiudo con la poesia completa che ho cominciato a citare.
È di Patrizia Cavalli, è compresa nella raccolta L’io singolare proprio mio e mi risuona e mi ritorna in mente dalla prima volta che l’ho letta:

Coprimi grandemente
scioglimi
e in me resta

E poi fammi restare
lenta chiusa
dentro la tua festa.