Rembrandt, La lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632

Meglio mi sento.
Qui di solito il paragone migliore è con il banco del pesce, zona ancora da dissalare e ammollare.
Sto parlando del baccalà.
Che è in vendita anche in quei negozi che sembrano la morgue, pieni solo di contenitori gelidi, con all’interno tocchi di roba che, se spostata, emette suoni legnosi, toc toc, di rado connessi con il cibo.
Niente di lusinghiero, insomma, vi ricordo che, durante il loro duello, Peter Pan sconfigge Capitan Uncino obbligandolo a definirsi un «baccalà», cosa nemmeno troppo fuori luogo per un pirata abituato ai sette mari.

Le foto di gruppo, se possibile, sono ancora più difficili da riuscire rispetto alle foto di coppia, là si trattava di sistemare solo due persone, qui c’è una piccola folla, dunque, ci vuole un regista, ci vuole un artista.
In una parola, ci vuole la storia dell’arte.

Peter e Capitan Baccalà

Da quando esiste la fotografia, e siamo alla fine degli anni ’30 del XIX secolo, c’è stato il desiderio di venire fotografati, lasciando un segno di sé nella storia.

Il fatto è che oggi è troppo facile, quindi, si pensa che sia facile anche prendere in mano il telefono e premere il pulsante.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: gruppi disordinati, poco vitali, ripresi sommariamente.
Eppure c’è qualcosa di simile a un codice.
Voi prendete, per esempio, le squadre di calcio, che sono da sempre formate da undici giocatori e da un pallone.

Inter, finale Coppa dei Campioni, maggio 1967

Se voi scorrete la storia delle loro fotografie, troverete una specie di modello, cui tutti si adeguano.
Le variazioni sono pochissime.
Vi mostro una figurina Panini degli anni ’60, i calciatori, alcuni in piedi, altri accovacciati, sono eleganti eppure pronti a gettarsi nella mischia, con le maglie tutte uguali, solo il portiere, che qui è Sarti, è abbigliato diversamente.
Questo già dà un senso di uniformità, laddove ancora oggi gli atleti di questa specialità sono fisicamente uno diverso dall’altro, uno alto, uno basso, uno gigantesco, l’altro mingherlino, solo la potenza delle gambe li accomuna tutti.
Se voi guardate i nuotatori, non si distinguono, nel calcio c’è ancora il gusto di dire questo e quello.

Anche per le foto scolastiche ci sono sempre state delle regole, posizione delle braccia, i più alti dietro, tutti belli dritti e fieri della loro classe.


Fosse stato anche solo per lo spazio di un momento, quella mezz’ora in cui si andava a fare la fotografia era una preparazione all’immagine.
Non ci si fa immortalare mal pettinati o con le spalle curve, la solennità dell’occasione è aiutata da alcuni escamotage, se voi guardate con attenzione l’immagine che vi propongo, noterete che ci sono delle panche, su una di esse sono in piedi gli studenti della seconda fila e appoggiati quelli della prima.
I ragazzini sono quarantadue, li ho contati: quindici in alto; poi quattordici; poi tredici.
Quarantadue diviso tre fa quattordici, dunque, c’è da chiedersi perché il fotografo non li abbia suddivisi nel modo più regolare. Credo che lo abbia fatto per dare un senso ascendente al gruppo, per renderlo più dinamico pur nella posizione impettita degli alunni.
Pensiamo un attimo insieme alla vivacità dei soggetti, a quello che è dovuta costare in termini di fatica e di organizzazione questa fotografia.
Altro che telefono impugnato al volo, le cose che sembrano più spontanee sono le più difficili da realizzare.

Queste operaie di una fabbrica della zona della Loira ci raccontano la dignità del loro lavoro e lo spirito di corpo.


Qui c’è da aggiungere anche qualcosa sulla posizione delle mani, che in tanti non sanno mai dove mettere.
Bene, se non sapete dove mettere le mani, non mettetele in tasca, guardate piuttosto le vecchie fotografie.
Questa immagine è un repertorio di possibilità: quando le mani sono in grembo, sono sovrapposte o intrecciate, tutta la prima fila ha questo postura. Alcune delle operaie hanno le braccia abbandonate lungo il corpo o unite dietro la schiena.
Quelle che mi commuovono sono le due giovani donne in alto a destra, con le dita allacciate, delicatamente. La loro amicizia ha superato i secoli, ha sconfitto la morte ed è arrivata fino a noi in questo capitolo 16 del mio Inventario  estivo.
Credo che questo gesto sia sfuggito al fotografo, che, comunque, anche qui ha agito come un bravo regista, forse ciascuna delle operaie è stata fotografata una sola volta nella vita e quell’unica volta è questa.

Passiamo ora al plat de résistance, ovvero a uno dei massimi ritrattisti di tutti i tempi: Rembrandt Harmenszoon van Rijn, che noi chiamiamo solo per nome, proprio come faceva Vincent, che si firmava così e che, in questo modo, voleva unirsi al grandissimo conterraneo e a quel drappello di artisti che conosciamo come Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano.

Dunque, Rembrandt.
Figlio del mugnaio di Leida, ha avuto anni felici, cui sono seguiti anni terribili, di povertà e di isolamento.
La sua produzione resta però tutta altissima, e anche questa è una bella lezione.

Rembrandt, Autoritratto, 1639

Qui lui si incammina sulla strada del successo, ha venticinque anni, lo diciamo ai più giovani, quelli che a questa medesima età hanno combinato poco o niente?
L’Olanda si è liberata dai cattolici spagnoli e si riorganizza, c’è comunque tolleranza religiosa, le opportunità per l’individuo sono grandi.
E gli olandesi sono diversi da tutti gli altri europei, sono calvinisti, pratici senza essere spartani, sono diventati ricchi con le colonie e il commercio, hanno spezie, piante esotiche, magnifici tessuti, lusso.
Questa fase della loro storia la conosciamo come Golden Age.
Il paese è piccolo, c’è una middle class che monta e che ha fame di arte.
In questa cultura non c’è spazio per le immagini religiose o mitologiche e arrivano le nature morte, i paesaggi, i ritratti.
Ecco, i ritratti.
Quello che vi mostro e che vi propongo come ispirazione per le vostre foto di gruppo è un’opera nuovissima.
È grande, dunque, si vede da lontano e i personaggi sono life-size. Sono vestiti con abiti simili, di colore scuro, l’ideologia del calvinismo incoraggia l’uguaglianza, la solidarietà, la comodità.
Diciamo anche che il dipinto era appeso nell’aula riunioni della gilda dei chirurghi, dove si tenevano convegni, esami, letture anatomiche.
Rembrandt usa le luci in modo magistrale, fa uscire fuori le figure da un fondo indistinto, risaltano le gorgiere, bianche come neve, che denotano la ricchezza dei presenti, risaltano i volti.
L’unico rigido, e che ha il diritto di essere tale, qui è il cadavere. Sappiamo che esso è di un criminale giustiziato e siamo al corrente che una lezione di anatomia all’epoca aveva una valenza spettacolare, un po’ come le esecuzioni.
Il dottor Tulp sta sezionando un avambraccio, tiene le pinze con la mano destra e con la sinistra illustra il movimento che compiono le dita grazie al gioco combinato dei muscoli e dei tendini.
E c’è poi una terza mano, che non vediamo, ma che è la più importante di tutte: la mano dell’artista.
Spettacolo insuperabile del corpo umano. Chiedetene conferma, se avete dei dubbi, a un medico innamorato del suo lavoro.
Il dottor Tulp è l’unico a indossare il cappello, quindi lì in mezzo è la persona più importante. 

Vi dico anche che il suo nome più olandese di così non potrebbe essere. Tutti gli olandesi da sempre vanno matti per i bulbi di tulipano.

E veniamo al punto che ci sta a cuore maggiormente.
Questo dipinto è un ritratto di gruppo, dunque, è l’equivalente di una foto. Le persone, però, non stanno ferme in posa, come i nostri calciatori, i ragazzini e le operaie.
Si muovono. Perché sono impegnate in un’attività, premono una contro l’altra, si sporgono, si girano, i due sullo sfondo ci guardano, dunque, ci coinvolgono, una delle essenze del Barocco.
La disposizione è a piramide, ma è una piramide tutta sbilanciata perché lo spazio di destra è riservato al dottor Tulp. Inoltre, proprio questo essere fuori equilibrio fa sì che nessun volto sia nascosto da un altro.
Geniale.
Vi dico pure che, in una foto di gruppo, se qualcuno non vede il fotografo, in foto viene nascosto.
Me l’ha detto un fotografo e, per la buona riuscita della vostra foto, cercate di ricordarvene.

Rembrandt, che è uno immenso, introduce sentimenti di narrazione e di condivisione del momento. Anche noi avvertiamo l’emozione che tiene insieme i personaggi.

Occupiamoci ancora un poco del cadavere, l’unico che può essere rigido.
Se percorriamo la storia dell’arte occidentale, ci rendiamo conto che di solito questo ruolo è ricoperto dal Cristo morto.

Andrea Mantegna, Cristo morto, 1475

Guardate quello, famosissimo, di Mantegna, ritratto in scorcio, oggetto di dolore e di pianto.
Nell’Olanda del Seicento è evidente che la scienza ha rimpiazzato la spiritualità. Questi sono uomini moderni, attivi, curiosi, coltivati, ce lo conferma anche il libro aperto, che occupa tutto il lato in basso a destra della composizione.
Qui c’è tutta una profondità intellettuale che viene espressa, esattamente quello che chiunque, nella situazione dei committenti, avrebbe richiesto a un artista.

Come è noto, l’opus magnum di Rembrandt è La ronda di notte.

Rembrandt, La Ronda di notte, 1642

Di essa vi mostro anche un paio di dettagli, il ferro in scorcio della lancia in primo piano e l’autoritratto dell’artista, che si scorge in alto, quasi al centro.

Rembrandt, La Ronda di notte, 1642, part.

A modo suo, anche questo è un ritratto di gruppo.
E allora, mi chiederete, perché non vi ho proposto questo invece dell’altro?
Perché è troppo, perché ci sovrasta tutti, per grandezza, fisica (m 3,63 x m 4,37) e morale.

Rembrandt, La Ronda di notte, part. con l’autoritratto dell’artista

Perché è un modello inavvicinabile.
E se siamo in tanti in un gruppo e desideriamo ispirarci a queste persone della Guardia civica che hanno chiesto il loro ritratto, come da tradizione, come da normalità quotidiana, allora abbiamo bisogno del più grande regista che ci sia sulla faccia della terra solo per prendere posizione.

Dunque, rimandiamo il piacere di parlare di questo capolavoro, lo faremo un’altra volta.
Però voglio chiudere ricordando un fatto.
Un pittore contemporaneo di Rembrandt, Samuel van Hoogstraten, dopo aver visto la Ronda in mezzo agli altri dipinti di soggetto analogo accanto ai quali era appesa, scrisse che, in confronto, quelli facevano tutti la figura delle carte da gioco.

E se voi prendete il vostro mazzo di carte e osservate criticamente le figurine, vedrete che, proprio come erano tutti nelle vostre fotografie prima di questo illuminante incontro, sono anch’esse rigide, impalate, prive di naturalezza e movimento, insomma, dei veri e autentici e nemmeno commestibili pezzi di baccalà.