*Se c’è Ornithology, ci può pure stare Sorbetthology.
L’unico mio dubbio è sull’h.
Ornithology viene dal fatto che Charlie Parker era chiamato «Bird».
Penso che la freschezza dell’improvvisazione jazz possa ogni tanto fare da bella colonna sonora alla storia dell’arte.
Per non parlare di quanto la freschezza faccia bene ai Sorbetti.

 

Autoradio. Ieri in macchina, imprecando. Uno dei sedicenti storici dell’arte della radio aveva attaccato un bottone su un monastero fiorentino, farcendolo di nomi e date. In più, lui toscano, con un accento ostentato. Quando andavo a scuola mi dicevano sempre lingua toscana in bocca romana, non lingua toscana in bocca toscana, si vede che a lui non l’hanno mai detto. Mentre pensavo a come cucinare le melanzane e le zucchine che avevo preso a piazza Vittorio, mi facevo due conti sulle famiglie numerose: una bistecca, euro 7,50; due bistecche, euro 15,00; tre bistecche, euro 22,50; quattro bistecche, euro 30,00.
Oltre non sono andata perché più di quattro persone in famiglia secondo me sono un’abiezione esistenziale, e abbiano pazienza quelli che apprezzano la stanza da bagno sempre occupata da qualcun altro.
Facevo pensieri di verdure spadellate e di portafogli e quello citava Ruskin a proposito di Perugino.
Ma fammi il piacere.
È ora di pranzo e poi, se non ti sopporto io, che pure dovrei essere interessata, figurati come ti sopportano gli altri.
Ma inventati un’altra storia dell’arte.
Se ne sei capace.

In gamba. Mi è ricominciato il dolore al ginocchio.
Devo andare a farmi quella famosa lastra.
Ieri sera, addormentandomi, e avevo bevuto un fantastico Saint-Amour, la cui etichetta, da sola, era tutto un programma, pensavo che a Manet avevano amputato una settimana prima della morte la gamba sinistra.
Avevano amputato una gamba anche a Rimbaud, sempre poco prima della morte.
Ho incontrato Rimbaud quando io avevo quindici anni e lui trentasette.
Poi le nostre età si sono rincorse.
Succede, è colpa della vita ed è colpa della morte.
Ieri sera ricordavo che lui era morto nel 1891, un anno dopo Vincent, che era nato un anno prima di lui.

Arthur

Quasi perfettamente coetanei.
Ricordavo pure, mentre cercavo di prendere sonno, che Manet era morto nel 1883, quindi otto anni prima di Rimbaud. E che era anche nato prima di lui, un po’ più di vent’anni.
Ma non ricordavo quale gamba avessero amputato al poeta.
Mi ero messa una pomata antidolorifica e mi ero avvolta il ginocchio (il mio è il sinistro) in un asciugamano che teneva ferma la borsa dell’acqua calda.
E mi tornavano alla mente mille cose, il dormiveglia è sempre un momento fitto di pensieri, il Saint-Amour e il resto.
Ma perché non mi ricordo quale gamba, mi ricordo pure, ce l’ho come stampato in mente, il pezzo della biografia, è una pagina sulla destra, dove c’è scritto che muore invocando Allah.
Ho allungato una mano, preso il telefono, digitato Rimbaud jambe amputée.
Era la destra.
Poco male, ho pensato, in questo periodo sono più Manet che Rimbaud.
Me ne farò una ragione, tanto li amo entrambi di uguale passione.

Sentimenti. Il mio parrucchiere è uno gelido. Si è rifiutato di tagliarmi la frangia. Aspettiamo, mi ha detto. Ma se mi ceca, ho provato a obiettare. È che te l’hanno toccata.
Vero, ma ce l’avevo a metà faccia.
Sì, però ti hanno tagliato la punta centrale che io lascio sempre.
Vero pure questo.
Mercoledì torno da lui, vedo se riesco a convincerlo a sfilzarla, mi pare che ce ne sia, da sfilzare.
Mi dà fastidio, quando lavoro me la devo tenere con la pinza.
Colpa mia, non pensavo che fosse geloso.
E invece, guarda tu, pure lui ha dei sentimenti.
Il fastidio della frangia troppo lunga è ampiamente compensato da questa inattesa scoperta.

Marketing. Comunque la maggiore esperta di marketing e comunicazione che conosco è la signora Anna della lavanderia qui sotto, quella dove porto a stirare le lenzuola e a gonfiare il piumino, quello leggero, dopo che l’ho lavato in lavatrice.
L’altro, quello pesante, lo porto dal signor Michele.
La signora Anna è figlia di un rappresentante di prodotti cosmetici che aveva aperto ben tre profumerie, mettendoci la moglie e, appena possibile, qualcuno dei sette figli.

Brillantina

Era un gran lavoratore.
Vendeva la brillantina a peso. La brillantina è un po’ il gel, o la cera, che uso io oggi, serviva per tenere a posto i capelli, solo che non sapevo che fosse venduta nella bottiglietta che si portava da casa il cliente e pesata su una bilancina che la signora Anna ha conservato.
Lei mi fa racconti bellissimi, fra l’altro è una gran narratrice, le dico sempre organizziamo un corso di una decina di lezioni, servirebbe a tutti quelli che hanno un commercio.
Lei, che si alza tutte le mattine alle cinque e si prende cura della suocera, che ha 104 anni e che abita nel suo palazzo, è una persona che non conosce né spocchia né vanagloria. Dice di sé di gestire «una piccola attività», d’accordo, la sua è una piccola lavanderia, però con quattro stiratrici, anzi, stiratori, visto che uno, il più bravo, Glenn il Filippino, è maschio.
A me non dà alcun fastidio se mi mettono fra gli ascoltatori della radio e mi infastidisco quando qualcuno dice «studenti e studentesse», «pediatri e pediatre», «professori e professoresse».
Ma fatemi il piacere, fossero questi i problemi e non quelli che riguardano l’atavica concezione della donna, che è e rimane soprattutto un pezzo di carne e come tale viene sempre valutata, pure se ha vinto il Nobel per la Fisica.
Ma andiamo avanti.
La signora Anna racconta di quando il fratello grande, aizzato dal padre, si nascondeva dietro la tenda per vedere lei come trattava i clienti e se commetteva qualche errore.
La signora Anna dice che non bisogna dire guarda chi si rivede a quello che non si era più visto, ma festeggiarlo manifestando solo il piacere di ritrovarlo.
La signora Anna dice «sono subito da lei» quando io faccio un po’ di marciapiede perché dentro c’è già un altro cliente.
La signora Anna non rimprovera mai i suoi dipendenti davanti a estranei, certo che il problema è che quando lei si intrattiene con qualcuno, finisce che Marisa ha già finito di stirare quel capo e lei non ha potuto darle le istruzioni giuste.
La signora Anna è sempre gentilissima, mi fa un milione e mezzo di favori, è di una disponibilità che incanta, a settantasei anni fa una vita che stenderebbe un soldato di venti.
Adesso, quando arriva il 26 luglio, le faccio un regalo.
E la ringrazio di stare al mondo.

Meraviglia. L’altro giorno una mail mi ha riempita di gioia. Una persona che degusta i miei Sorbetti mi ha scritto chiedendomi di inviarle tutte le registrazioni, passate, presenti e future, perché vuole tenerle nel suo computer e riascoltarle quando ne ha voglia «con grande soddisfazione».
Non stavo nella pelle.
Una sorbettoteca, alla quale attingere quel gusto oppure l’altro.
Voglio fare la sorbettologa, sfidare il mondo, vedere se riesco nella titanica impresa di invertire la rotta, Italia, paese con pochi talenti, scarsissimo interesse per la cultura, storia dell’arte intrisa di noia, quattro mesi, da giugno a settembre, in cui praticamente non si lavora, più tutte le feste comandate, i ponti e le ferie.
Italia senza più romanzi ma solo narrativa.
Italia degli studenti che si scocciano a studiare.
Italia della scuola che va a carte quarantotto a vista d’occhio.


Fatemi vedere una bella pubblicità e vi incorono re per una sera.
Perché è vero che siamo passati da quella cosa geniale della liscia, gassata o Ferrarelle al plin plin, che ripetono come cretine tutte quelle dei forum al femminile quando ragliano di analisi per i reni o per la gravidanza.

Voglio invertire la rotta, animare, stavolta sì, il mese di agosto con Sorbetti monogusto al gusto forte, incollare le persone al pc, fare in modo che aspettino il giovedì come si aspetta Natale, che abbiano tutta la settimana voglia di Sorbetto.
Cerco di frequentare pochi artisti viventi perché li trovo faticosi.
Ma ne frequento tanti di passati, vado a vedere come se la cavano rispetto ai progetti, al fallimento e all’ambizione.

Benvenuto Cellini, Perseo, 1554, part.

L’altro giorno dicevo a un tipo che uno dei miei più grandi difetti è che sono un’esaltata.
Ovviamente, il fatto di essere capace di esaltazione è anche uno dei miei più grandi pregi, basta girarlo dall’altra parte.
Dicevo che frequento tanti artisti e Cellini è fra i miei prediletti, soprattutto quando si emoziona e si trova davanti alla commissione per il suo Perseo, già destinato a stare esposto nella prima arcata della Loggia dei Lanzi a Firenze, quindi agli sguardi (e alla critiche) di tutti.
Lui lo racconta nella sua autobiografia, che si chiama, semplicemente, Vita.
E come volete che si chiami il racconto di un’esistenza.
Insomma, vengo al punto.
Nella sua Vita, Cellini descrive per filo e per segno le fasi del lavoro (e di tale descrizione ha ampiamente approfittato Berlioz per la sua opera intitolata all’artista) e a un certo punto, diciamolo, si esalta:
«…innanzi che io muoia lascerò di me un tal saggio al mondo, che più d’uno ne resterà maravigliato».
Questo si chiama buon esempio.
E come dico sempre, se devi sceglierti un modello, sceglitelo bello grande, ché è meglio.
A scegliersi un modello piccoletto, sono capaci tutti.