Siam tre piccoli porcellin

Senza confini. Allora sei scema.
Un signore affacciato al balconcino del primo piano, colonna accanto alla mia, dunque, numero civico successivo, cerca di attirare la mia attenzione e mi chiede se so chi abita vicino a lui.
Non lo so.
Da un’ora chiama perché la musica a tutto volume gli sta facendo venire il mal di testa.
Dico che la musica è pure brutta.
Dico che ho capito dove stanno, due piani sotto a me, dico che suono e riferisco.
Nemmeno devo suonare perché c’è già il mio vicino di pianerottolo, che è una persona gentile e che gentilmente, alzando un po’ la voce per farsi sentire, dice di abbassare la musica, si stanno lamentando.
Per dare modo al vicino di rientrare senza che io mi sia avvicinata troppo, mi fermo un momento dalla signorina del balconcino.
Sembra quello che è: una studentessa fuori sede.
E come sono le studentesse fuori sede: come lei.
Le dico che un signore la sta chiamando da un’ora.
Lei mi risponde che non ha sentito.
Le spiego che non ha sentito perché ha la musica a volume troppo alto.
Lei mi dice che non pensava che la musica potesse dare fastidio per il volume.
Glielo comunico io, per lei è una grande scoperta e un grande giorno.
Le dico di abbassare lo stereo.
Mi dice che non è uno stereo.
Si vede che sono rimasta indietro, a casa mia solo lo stereo ha quella potenza.
Lei dice che non ha capito perché deve abbassare la musica.
Chiudo dicendole di lasciare la musica a quel volume ma, almeno, di cambiare musica.
Mi guarda senza aver compreso niente di quello che è successo.

Siccome il mio vicino è sicuramente rientrato, posso congedarmi.

Radio Days. Lo scrittore Douglas Kennedy mi sta molto simpatico. Nel mio libro di cocktail c’è una scheda quadripartita con quattro sue ricette.
(Ce l’ho messa io).
Lui dichiara che ha un debole per la cucina messicana.

Douglas

Propone un dessert «molto leggero, ma confortante e irresistibile» che si chiama Flan décadent. Quando sento decadente, mi sveglio.
Dà una ricetta di chili che richiede due ore e venti minuti di cottura. Dunque, che non rientra nel mio repertorio (solo piatti da non più di dieci minuti. Totali), ma che ho letto più di una volta perché la trovo avvincente come un romanzo.
Parla con sapienza del suo The Perfect Manhattan, che definisce un cocktail molto newyorkese che evoca per lui il jazz degli anni ’20, Fitzgerald e la musica di Gershwin.
Quanta cultura in un bicchiere.
Lui serve The Perfect Manhattan la domenica pomeriggio agli amici.

Quando in un’intervista Douglas Kennedy ha presentato le radio che ha a casa, tutte della medesima marca, le ho trovate bellissime e mi sono messa a cercarle.
Ne ho comprate due. Una sta in camera da letto, l’altra, nella stanza da bagno.

La mia radio

Quest’ultima l’ho ricomprata tre volte.
Anzi, quattro.
Le prime due radio si sono rotte perché sono cadute per terra.
Una l’avevo anche fatta riparare, credo che sia caduta di nuovo.
Ma perché cadono.
Perché in bagno è facile che succeda, uno attacca l’asciugacapelli o la piastra alla medesima presa, non è che la dinamica della caduta mi sia chiara, fra l’altro, ormai ci sto attenta, però è successo.

Una volta viene a trovarmi un amico, va a fare un po’ di toletta, esce dalla mia stanza da bagno e mi dice che la mia radio è bellissima.

Non mi ricordo se gli ho raccontato tutta la storia di Douglas Kennedy, comunque ho pensato che aveva buon gusto.
L’ultima radio, anzi, la penultima, l’ho comprata a febbraio e ha un difetto. Emette un suono di base continuo, come un borbottio.
A un certo punto ho pensato di farmela cambiare.
L’avevo presa in internet. Sono entrata in chat con una signorina di nome Elisa, che scriveva un buon italiano.
Mi ha detto di provare a resettarla.
Lo avevo già fatto, l’ho rifatto.
Il borbottio non cessava.
La radio borbotta sempre e comunque, AF, FM, con e senza volume.
Sempre.
E comunque.
Mi sono dichiarata dispiaciuta, in questo momento, con il lavoro che stanno facendo, stare lì con la mia radio che borbotta.
Lei mi ha detto ma no, ma no, ci mancherebbe, ti accredito il denaro che hai speso entro due ore, tu stasera te la ricompri.
La radio.
Poi ti mando il corriere a riprenderla, quella che borbotta.
L’ho ringraziata, le ho detto quello che avevo in cuore, lei ha ringraziato me, ha aggiunto che senza musica lei diventa matta, quindi, capiva l’importanza della radio.
La sera medesima ho ricomprato la quarta radio. Che sarebbe arrivata, però, dopo quindici giorni.
Il corriere mi ha scritto che entro quattro giorni avrebbe ritirato la radio difettata.
Avevo anche la scatola originale, avevo stampato l’etichetta dei resi, la mattina ho fatto il pacchetto.
Lascio perdere il fatto che il corriere è passato fuori orario.
Posso capire.
Però non ha voluto che gli mettessi la radio in ascensore.
Gli ho detto che allora doveva salire.
Lui mi ha detto che dovevo scendere io.
Gli ho detto che io stavo confinata e che non uscivo da casa mia manco se me lo chiedeva il Padre Eterno.
Per andarmi a comprare il pane fresco, pure pure.
Per dare la radio che borbotta in mano al corriere, non ci penso per niente.
È finita che lui se ne è andato senza radio.
Io ho scritto una mail educata ma lievemente urtata per la scortesia del corriere e ho chiesto che cosa dovevo fare. Non mi hanno ancora risposto.
Poco male.
Ho riaperto il pacchetto.
Ho rimesso la radio al suo posto.

Quella nuova, la quarta, arriverà fra tre giorni.
Sono qui che l’aspetto con impazienza.

Speriamo che non borbotti.

Le perle ai porci (Matteo, 7, 6. 12-14). Prego.
Prego che non mi si rompa il computer.
Prego che non mi si rompa la lavatrice.
Che non si rompa lo scaldabagno.
Prego che la mia corda vocale zoppa, la sinistra, non mi lasci per strada.
Ho fatto un trattamento di logopedia che è durato sette settimane, che mi ha annoiata come niente altro al mondo e che secondo me non è servito a niente. Prima o poi ve lo racconto.
(La logopedista, l’avrei strozzata).
Ho cominciato a fare lezioni on line. Ci sto prendendo gusto.
Mi chiedo perché ci sto prendendo gusto.
Perché è un sistema agile, moderno, arrivo dappertutto, si collegano persone che stanno, letteralmente, in capo al mondo.
Mi sta bene il tempo che ho a disposizione nella versione base della piattaforma, da un pezzo penso che le lezioni debbano diventare più brevi, avere più scatto, da un pezzo penso che ci sono cose che nella mia professione non vanno.
Gli studenti, in primo luogo. Volentieri in ritardo, spesso disattenti, con l’arte non hanno nessun rapporto, non vanno mai a vedere una mostra, parlano solo di crediti, stanno seduti come invertebrati, in tanti non hanno a casa nemmeno un manuale di storia dell’arte.
In un collegamento Skype una signorina ha detto che avrebbe pure seguito le lezioni perché tanto non aveva niente di meglio da fare.
Un altro si è rollato una canna in diretta.
Ma fatemi il piacere.
Uno si chiede perché si siano iscritti all’Accademia.
Che si chiama di Belle Arti e che, quindi, dichiara la sua vocazione.
E che è stata per anni, e non solo per me, un luogo con dei problemi ma con tanta energia dentro, con infinite possibilità di incontro, con stimoli diversi e importanti.
Insegno anche agli adulti. Che, in certi casi, diventano sempre più smaniosi, per cui la temperatura dell’aula suscita conflitti, il filo del proiettore, questa è stata bellissima, dà fastidio perché si deve evitare di inciamparci.
Eccetera.
Mi sono detta è colpa mia. Ho perso smalto e grinta, l’ho già scritto da qualche parte.
Io non mi riascolto mai.
Non si riascolta Pollini. L’ho sentito alla radio che lo diceva e poi si metteva a ridere, ogni tanto sentiva un pezzo di pianoforte alla radio e si chiedeva chi è questo che suona.
Se non si riascolta Pollini, non vedo perché dovrei riascoltarmi io.
Non so Pollini con la sua interpretazione, ma io lo so, come va una lezione. Perché vado a orecchio e a istinto, perché me lo dicono, perché ci sono tante persone che hanno una reazione.
E io non ho perso proprio niente, anzi.
È quasi matematico, il tempo, se lo prendi per il verso giusto, è dalla tua parte e ti aiuta, ti dà esperienza e ti aggiunge sapore.
Detto questo, l’on line ha risolto tutto.
Di botto.
Si collegano quelli che lo desiderano, io sento il mio pubblico tale e quale a quando ce l’ho davanti, posso dedicare tutto il tempo che serve alla preparazione delle mie lezioni.
Ho in ascolto i giovanissimi e anche una signora entusiasta di novant’anni.
Finita quella che chiamo la sindrome 0-12: insieme tutte le taglie uguali.
Ragazzi con ragazzi.
Adulti con adulti.
Signore con signore.
Uno degli orrori della nostra epoca.
Manco per niente.
Un pubblico finalmente composito, variegato, colorato, fatto di persone diverse.
Ma chi l’ha detto, che l’arte non è universale .
Andiamo su, se non è universale l’arte.
Inoltre, il computer con le immagini fa miracoli, non devo convertirle, badare a quella che è troppo leggera e a quell’altra che è pesante, troppo.

E non ho nemmeno il problema del filo del proiettore.

PIGS. Umberto Eco lo diceva a proposito della tesi di laurea, mi ricordo che, quando ci lavoravo, me l’ero scritto col dymo e che avevo attaccato la striscia sulla mia scrivania.
La tesi è come il maiale: non se ne butta via niente.
Vi ho messo i tre porcellini in apertura per vari motivi.
1. Perché mi stanno simpatici, uno con la salopette e la coda a ricciolo di fuori. Gli altri due solo con cappellino e magliettina con fiocco. Sederino di fuori, ça va sans dire. E di fuori tutto il resto
2. Perché all’inizio avevo pensato di chiamare questo articolo come poi ho chiamato solo un paragrafo
3. Perché non ricordavo che i porcellini avessero appeso a fianco del pianoforte il ritratto del loro papà, che si chiama, giustamente, FATHER e che compare sotto forma di collana di salsicce. E questa cosa, feroce e visibile solo a una seconda occhiata, mi è sembrata degna di interesse
4. Perché il mio squisito condomino, chef, mi ha mandato da assaggiare la porchetta che ha cucinato per Pasqua

Dunque, oggi è un po’ la giornata del maiale.
E dell’esperienza metaforica che ci suggerisce attraverso lui il grande semiologo.

Umberto

Che, se fosse stato qui con noi, certo ci avrebbe dato un’interpretazione tutta sua del confinamento, aprendoci orizzonti nuovi, dicendoci che pure di esso non si butta via niente, che tutto ci tornerà utile se solo sapremo approfittare.
Della situazione.

Facendone tesoro.