CORONA BLUES, 28: TUTTA UN’ALTRA MUSICA

Qui prenderete solo dei buoni libri. La vostra libreria si prende cura di voi

Agilità. Audacia. Qualità. Solidarietà
(Casa editrice Les Arènes, parole d’ordine)

Ouverture. Lunedì sono andata a vedere come era iniziata la Fase 2. Sono scesa alla metropolitana, ma mi sono ben guardata dal passare il tornello. Non passerò un tornello della metropolitana per i prossimi sei mesi, almeno.
Deserto.
Sono andata a Villa Lazzaroni. Fuori, i due punkabbestia sempre più luridi ma con le mascherine.
Dentro, una popolazione strana, bambini bianchissimi, pallidi come se non avessero visto la luce per due mesi. Ma non è possibile, da casa, mettere un bambino al sole? Si fa con il bucato, con i materassi, uno mette in finestra il bambino e gli fa prendere un po’ d’aria.
Molti padri. I padri, a Villa Lazzaroni, con i bambini non ci stanno mai.
Ci voleva la pandemia a proporre l’accoppiata.
Mi piacciono gli uomini con i bambini? Direi di no, tranne eccezioni, di persone e di momenti, per esempio mi divertono quando padre e figlio giocano a pallone e se tu chiedi chi è più bravo, è il padre a rispondere «Io».
Bene così, siano ben chiare gerarchie e precedenze.

Frottola. Dopo la villa sono andata dal fornaio e ho fatto venticinque minuti di fila. E mi sono seccata per il pattume nel quale l’ho fatta, per l’essere dovuta stare venticinque minuti con le scarpe dentro le cicche di sigarette, i pezzi di carta e le molle delle mollette cadute stendendo i panni.
L’ho detto al cassiere, col quale ho un po’ parlato ultimamente.
È giovane, grasso che non entra nella cassa, dice valanghe di sciocchezze e si è fatto confezionare una mascherina nera fashion che, lo dice lui, gli toglie il respiro.
Gli ho chiesto perché non spazzavano.
Mi ha detto che era uno spazio condominiale.
Gli ho detto ma che c’entra, i clienti sono i vostri e li costringete a fare la fila in mezzo alla sporcizia.
Mi ha detto che era una lunga diatriba.
Diatriba, hai capito, che scienza.
Mi ha detto che l’importante era che fosse pulito dentro. E come no, pure sanificato e con alla porta il dispenser di gel disinfettante.
A parte che mi sono stufata di sanificarmi le mani perché i vostri gel comprati al risparmio mi rovinano la pelle e proprio non ci siamo, tu non puoi pensare di sanificare sullo sporco.
Al supermercato, altra fila.
E un cliente con il cane nel carrello e le buste della spesa appoggiate per terra.
E, pure lì, il gel.
Mi sono ricordata di un mio compagno di liceo che non si lavava e si metteva il deodorante, sostenendo che se si chiamava de-odorante, voleva dire che de-odorava.
E i discorsi che ci imbastiva sopra.
Meglio del fornaio, il mio compagno di liceo, almeno, era intelligente.

Duetto. Irina/Irene è una ragazza molto assertiva. Un po’ troppo, per essere del Cancro. Io il Cancro lo conosco, nel Cancro ho la luna, che per le donne è così importante, e ormai ho capito che tutte le mie debolezze vengono da lì.
Lei non è debole per niente, fa dichiarazioni alle quali, si capisce benissimo, è meglio non controbattere.
Stiamo facendo a fondo gli armadi della cucina.
L’altro giorno toccava agli sportelli delle pentole.
Lei toglie tutto, mette sul carrello di servizio, pulisce con spugna, pennello e detersivo, lascia tutto aperto e io a metà pomeriggio rimetto a posto.
L’altro giorno ho sentito un cattivo odore venire da lì dentro.
Le ho detto eppure abbiamo appena pulito, non è che ho messo dentro la pentola della pasta prima che fosse asciutta del tutto.
Lei, che stava prendendo il caffè seduta sul mio sgabello, ha detto no, è la plastica.
I ripiani sono ricoperti da una plastica apposita, robusta, trasparente, che serve a non graffiare il piano di appoggio.
La plastica era stata tirata fuori, passata da tutte le parti e io l’avevo rimessa al suo posto prima di cena.
Ma come fa a essere la plastica, sta lì da un sacco di tempo.
È la plastica.
E, siccome è assertiva, lei si è alzata, ha aperto l’ultimo cassetto del medesimo mobile, ha tirato fuori il rotolo delle buste della spazzatura e mi ha detto «Senti».
Le buste della spazzatura, questo era vero, avevano odore di plastica.
Io, china sullo sportello delle pentole, annusavo qui e là.
L’odore era terribile.
E lei: «Sta arrivando il caldo, ecco perché».
Ma se il caldo arriva tutti gli anni e io quest’odore non l’ho mai sentito.
«Se ti ho detto che è la plastica, è perché è la plastica».
La sera, con la testa infilata negli sportelli delle pentole, ho finalmente trovato la fonte dell’odore: un Tupperware con il coperchio bello calzato, e meno male, con dentro le verze bollite di due giorni prima.
Come sia finito lì, non chiedetemelo.
Sarà la Fase 2, perché, per voi è facile?
Ho provveduto a risanificare tutto e quando venerdì torna Irina/Irene glielo dico.
Non era la plastica.

Lamento. Di tutti i progetti che stavano in cantiere prima del confinamento, nessuna notizia.
Un po’ come quelle faccende parasentimentali che muoiono sul nascere e di cui non vale la pena parlare.
E chi dice niente.
Ma professionalmente la cosa è un po’ diversa.
Tempo, incontri, posta, ore al telefono a stabilire cose e cosette.
Credo che sia una forma di maleducazione, del resto lo penso anche per le faccende parasentimentali.
Per alcune cose, fosse solo perché ci avevo buttato delle idee, mi secca.
Meno male che le idee non mi mancano.
Del resto, inevitabilmente, dopo un’esperienza come quella del confinamento, è evidente che ci siano cambiamenti nelle relazioni.
Troveremo altre strade. Faremo altri progetti.
Però, il sentimento amaro della maleducazione, quello resta.

Requiem. A proposito di idee, in Italia latitano.
Come sempre.
Vi ho messo in apertura un’affiche (attrapper è il verbo che si usa anche per le malattie) prodotta da un collettivo di grafici e promossa da una piccola casa editrice francese, che ha composto, a sua scala e lo dice chiaramente, un «kit gratuit de reprise», ovvero un pacchetto da fornire gratuitamente alle librerie che ne fanno richiesta per aiutarle «a fare delle misure sanitarie un elemento gioioso e positivo».

Strisce adesive per il distanziamento

Vi faccio vedere le strisce adesive con citazioni di grandi autori da mettere a terra per il distanziamento e il loro utilizzo.

Uso strisce adesive per il distanziamento

Vi ho messo in apertura le parole d’ordine, che ho fatto mie, dell’editore.
Come ho fatto mio uno dei punti del suo programma: «proporre un catalogo di titoli variati, pertinenti, i più belli possibile. Bisogna superare se stessi!».
Da noi, praticamente il nulla.
L’altra sera ho insultato la radio perché il museo romano che si vanta di essere il più aggiornato di tutti, e che è pieno di X nel nome, si è fatto venire un’idea straordinaria: un attore, che di solito fa il guitto ma che l’altra sera il guitto non l’ha fatto, ha letto con la voce impostata una scheda noiosissima di un’opera che sta da loro.
E se non ho capito niente io che conoscevo l’opera, immagino che cosa ha capito un ascoltatore che non ha idea di che cosa il guitto sta dicendo.
Lo ripeto. Per me i musei possono rimanere chiusi ancora per un pezzo e non ne sentirò la mancanza. Perché, se le cose stanno così, i musei sono morti e di questi tempi di morti ce ne sono già abbastanza.
La radio si è presa gli insulti senza fiatare.
Ché pure lei è una specie di requiem perpetuo, pure lei, mai un’idea.

Romanza. A proposito di radio, vi avevo raccontato qui di tutta una vicenda con Amazon per via della mia radio che borbottava.

La mia radio

Vi mostro di nuovo la foto della mia bella Sangean perché ne vado orgogliosa.
È la quarta che acquisto uguale. Due sono cadute per terra, una borbotta, Amazon mi ha fatto un rimborso e mi ha detto di ricomprarla, l’ho ricomprata, borbotta pure questa, Amazon ha mandato per il ritiro del prodotto difettato un corriere che si è rifiutato di prendere il pacco dall’ascensore, io mi sono rifiutata di scendere.
La radio è rimasta a me e ciao Amazon.
La radio n° 3 (lo so che è difficile seguire il filo, ma non ha importanza) è rimasta in giro.
Ieri però mi sono detta la metto nel mio studio, dove, appunto, studio, dove insomma la radio non è che poi serva così tanto, io quelli che studiano con la musica non li capisco, ma come fanno, infatti poi, spesso, si vedono i risultati.
(Ve l’ho detto, no, che nel confinamento sono diventata aggressiva).
Comunque mi capita nel mio studio di fare cose che non richiedono troppa concentrazione e allora mi capita pure di accendere la radio. Ho un transistor, ebbene sì, piccolo e gagliardo, che per anni mi sono portata in viaggio.
Ho detto adesso ci metto la radio che borbotta, almeno è bella.
Ma non volevo usare la presa elettrica per via del filo, temevo cadute, con queste radio non c’è scampo, o cadono per terra o borbottano.
Allora ci ho messo le batterie. Una bella batteria di batterie, le avevo tutte perché sono una donna ben organizzata e amo le scorte.
E: stupore.
E: meraviglia.
E: incanto.
La radio non borbotta.
Sta qui, la accendo dopo aver finito questo articolo (adesso ho bisogno di stare concentrata) e lei non borbotta.
Ma non lo dite a Amazon, ché poi se la prende.

Preludio. Dove ti invita un uomo che vuole vederti nella Fase 2.
Voglio dire, escludiamo casa tua, casa mia, ho delle ottime birre artigianali, la birra al posto della collezione di farfalle, vedi che significa avere una fama alcolica, casa tua, casa mia, stiamo già un pezzo avanti.
No.
Vediamo un attimo.
Andiamo a prendere un caffè.
A parte che il caffè non lo prendo, ho smesso di bere caffè quando ho smesso di fumare e non ho, al momento, alcuna intenzione di riprendere, con l’uno e con l’altro, nei bar ti servono il caffè in bicchierini di plastica che ti buttano su un tavolinetto che sta in bilico fra il locale e la strada e che si sono dimenticati di pulire con una vigorosa passata di spugna.
No, grazie.
Ti offro un gelato.
Il gelato mi fa orrore, mi gela la pancia e non lo sopporto, andiamo, su, il gelato servito sul tavolinetto, ma dove vuoi andare a parare.
Niente ristorante.
Quasi meglio. A Roma si mangia talmente male, che un uomo che ti invita a cena fuori rischia l’autogol, dritto dritto.
Niente enoteca. Questo un po’ mi dispiace, ma, insomma, pure lì, devi avere doti da rabdomante.
(E qualcuno ce l’ha. Ma è raro).

Non resta che la panchina.

Memorial Bench In Commemoration Of Theo Knowles – London, England, 2016

Quanti anni sono che non mi siedo su una panchina con un uomo?
E che ne so, io non ho il senso del tempo.
È successo ieri l’altro alla Mole Adriana, oppure era Holland Park a Londra.
In certe città trovi pure la Memorial Bench, che è una cosa che mi è sembrata sempre un po’ macabra, qualcuno paga perché venga inciso un nome o un ricordo, peggio che in chiesa.
Comunque, una panchina in un parco, in un giardino, in una villa è una bella prova per un uomo.
In tempi normali, quello che ti invita a fare una passeggiata e poi a sederti con lui su una panchina, lo puoi pure guardare come un pitocco.
In Fase 2,  no.
Il fatto è che non può invitarti in enoteca o al ristorante.
E poi, insomma, andiamo, su, dipende, come sempre, dagli argomenti.

Réjouissance. Sto facendo telelezioni bellissime.
Ma che faccio, me lo dico da sola.

Georg Friedrich Händel, Musica per i Reali Fuochi d’Artificio, 1749

Sì.
E come lo so.
Perché me ne accorgo.
A parte che, bontà loro, me lo dicono, me ne accorgo dal dispendio emotivo.
E che cos’è il dispendio emotivo.
È che hai impiegato quattro giorni (e alcune decine di anni di carriera) a mettere su una lezione di quaranta minuti e che dopo che l’hai fatta, stai a pezzi.
Ma stai a pezzi piacevolmente.
Stai a pezzi non come stai a pezzi dopo un fallimento, quando vorresti che qualcuno ti buttasse al secchio, stai a pezzi perché hai dato tutto quello che potevi dare e, i pezzi, li devi raccogliere per ricominciare.
E puoi ricominciare.
A me piace molto parlare in pubblico. E questa è la prima condizione per fare il mio mestiere e per parlare bene.
Se non ti piace parlare in pubblico, è meglio che fai altro.
E mi sono accorta, anche se già lo sapevo, che mi piace molto pure parlare al microfono, sento il mio pubblico, anche se l’ho silenziato, lo sento perché c’è e mi ascolta, lo sento mica lo so perché, lo sento punto e basta.
Dunque, faccio belle lezioni e ho un sacco di idee.
Dunque, ho l’impressione di fare cose utili e belle, di dare una mano nella Fase 2, di dire eccomi, ci sono, se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi.
Ho un sacco di argomenti da proporvi, ho temi, artisti, ho una quantità tale di arte da darvi che, se non la divido con voi, mi scoppia dentro.
E vorrei evitare.
Perché dare arte è bello, sempre, nel confinamento e nella Fase 2.
Per non parlare di quanto sarà bello dare arte anche dopo, quando saremo arrivati non so dove.

Ma avremo modo di parlarne.
Come detto, sai quanta musica abbiamo ancora da sentire.
E, insieme, anche la musica è più bella.
Da ascoltare e da fare.

2 Comments

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  1. ‘Frottola’ suona bene.

    Andrea

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