Praticamente,  un incubo.
Una mattina mi alzo e trovo uno dei miei pesci rossi con la pinna dorsale divorata. Dal compagno, evidentemente, visto che non ce ne era traccia nella vasca e che lui se ne stava spezzato in due sul fondo.
Li separo.
Aspetto che muoia in giornata e non muore. Anzi, dopo una settimana è diventato grigiastro, sembra un gamberetto di fiume, però viene ancora a galla a chiedere il cibo.
Faticosamente.
Mi informo, prendo la vasca, la metto in macchina e alla velocità di cinque chilometri all’ora, stando bene attenta alle curve, lo porto da un veterinario per gli animali singolari.
Entro e mi siedo nella sala d’aspetto, la vasca tra le gambe, il mio pesciolino spezzato dentro.
Intorno a me, è ancora più incubo.
C’è un ragazzo con un boa.
Ci parlo e lui mi racconta quello che mangia. Topi surgelati che lui riscalda nel microonde, del resto se la preda (la preda) non è calda, il boa non si muove.
C’è una ragazza che sembra Jack Sparrow, ha un pappagallo sulla spalla, lui le ha mangiato un orecchino, gli hanno dato una purga e aspettano che lo restituisca.
Ce ne è un’altra abbracciata a un furetto.
Davanti a quest’ultima comincio a provare, con il mio pesciolino spezzato in vasca e la vasca messa a terra fra le gambe, un senso violento di scollamento.
Non avrei dovuto dirlo, ma l’ho detto.
«Ma perché, se ti piace il pelo, non ti fai un fidanzato, sai uno di quegli uomini-lupo, ce ne sono tanti. Ci dormi abbracciata ed eviti di girare con attaccata al collo questa bestia puzzolente».

Antonio Cifariello è, per dirla con Mozart, anzi, con Da Ponte, un brunettino.

Antonio Cifariello

Splendido, occhi di brace, gran bella bocca.
E nel film ha ventitré anni.
Interpreta la parte di un giornalista che conduce un’inchiesta sulle agenzie matrimoniali.
Siamo nel 1953, Roma sembra un po’ diversa da come è oggi e un poco più che trentenne Federico Fellini firma la regia di un episodio di un film collettivo dal titolo L’Amore in città.
Gli altri registi hanno tutti nomi che sarebbero passati alla storia, Lizzani, Antonioni, Risi, Maselli, Zavattini, Lattuada.
Fellini è già felliniano.
E ci mancherebbe.
In un palazzo decrepito e labirintico che trasuda bambinetti pezzenti da tutte le parti, è sistemata un’agenzia matrimoniale, gestita con qualche furbizia da una coppia, perfettamente inserita nel suo tempo.
La guerra è finita da relativamente poco, la città sembra vivacissima e loro si danno da fare per sistemare uomini e donne, queste ultime, spesso con dei figli, che non si sa mai da dove spuntino.
Il giornalista inventa una storia per tastare il polso del tempo: ha un amico, ricchissimo, costretto a vivere in campagna, continuamente sorvegliato da infermieri perché soffre di una brutta malattia, che si palesa durante la luna piena.
È un lupo mannaro.
I medici hanno suggerito alla famiglia di trovargli una moglie.
La grazia di Rossana, che è nata a Olevano, in una famiglia di nove figli con il padre che è un contadino che non lavora mai e che muore di fame, incanta.
Lei va a fare un giro in macchina con Antonio, è ben vestita, disorientata, tenera, chiede se l’amico, almeno, è buono, dice che lei è una che si affeziona, dice che non ha importanza se non viaggeranno, tanto la tenuta è grande e possono muoversi al suo interno.
Lasciamo al loro destino i personaggi e parliamo dell’invenzione dell’uomo da sposare.
Lui è un uomo-lupo solo una volta al mese, non come quegli uomini che lo sono sempre, con i peli che escono dal collo della camicia, il dorso delle mani nero, le orecchie invase, praticamente l’illustrazione di ciò che dicono i libri di scienze: nel mammifero le uniche parti del corpo senza peli sono i palmi delle mani e le piante dei piedi.

A me l’uomo-lupo non piace, ma, semplicemente, me ne tengo distante.
Fra l’altro, come detto, è facilmente individuabile.
Però non mi piace nemmeno l’uomo glabro, che, invece, è difficile da riconoscere, insomma, per capire, devi vedere di persona e, quando hai visto, è troppo tardi.

Un anno feci fare ai miei studenti un autoritratto sotto forma di medicinale. Dovevano creare una confezione con dentro qualcosa e, soprattutto, un bugiardino con la descrizione, la posologia, gli effetti collaterali.
La mia idea è che sarebbe meglio sapere con chi hai a che fare.
Buongiorno, sono una persona perbene.
Sono un maniaco, un rubagalline, un bugiardo, uno in buona fede.
E si potrebbe aggiungere sul bugiardino anche lo stato dei peli: mi limito a farmi la barba; mi rado le gambe; mi faccio la ceretta sul petto; ho la schiena liscia come il sederino di un bambino di tre anni pure se sono scuro come l’inferno; vado dall’estetista perché mi ripulisca a fondo i gioielli di famiglia da ogni ingombro.

Ho fatto discussioni infinite con un mio dermatologo, precedente al medico estetico di adesso, perché praticava l’elettrocoagulazione sui maschi in maniera selvaggia.
E se questo fra un paio di anni ha cambiato idea e capisce che i peli sulle gambe a un uomo stanno benissimo?
E se comincia a pensare che fra un maschio e una femmina, nel senso della toletta, qualche differenza possa esserci?
Ho fatto discussioni infinite con i miei studenti, tu ti depili le sopracciglia e ti viene la faccia da pupazza, dimmi se è questo il risultato che vai cercando.
Fra l’altro, a qualunque uomo normalmente dotato i peli escono fuori altrove, per cui si vedevano queste sopracciglia disegnatissime, fatte dalla cugina di paese estetista, che si stagliavano su una faccia dove poi la barba cresceva in ordine sparso.
E le discussioni sulle gambe. Io già vorrei vedere un uomo in mutande solo in una situazione sportiva, di mare o privata, certo, non per la strada in città. E nemmeno in montagna, dove è meglio che ti ripari, dai graffi, dalle cadute e dai serpenti.
Figuriamoci di fronte allo studente in calzoncini e gambe rasate.
Se uno chiede perché, quello non sa rispondere.
Però ha vent’anni, età in cui tutto è possibile, quindi si può sperare che rinsavisca col tempo.

È vero che Jules e Jim si depilano la schiena per avere meno complessi quando sono in palestra. La richiesta di Jules a Jim di un consiglio in proposito segna l’inizio della loro amicizia.
Però ci andrei cauta con altre parti del corpo.

Adesso vi faccio vedere un video molto pudico, in cui non si vede niente, niente di ciò che uno (una) vorrebbe vedere.

Però, il solo fatto che ci sia un tutorial che spiega a un uomo come trasformarsi in un bambolotto di gomma, suscita in me perplessità e interrogativi diversi.
Può essere bello giocare col corpo.
Mi sembra sacrosanto sentirsi puliti.
Ma che l’igiene abbia a che fare con una rasatura, è il caso di dirlo, radicale, lo trovo difficile.

I peli sono un po’ come i tatuaggi e i piercing: danno dipendenza. Nel senso che diventa difficile fermarsi. Te lo dicono giovani donne con la faccia e la pancia bucate da tutte le parti, no, i fori non si richiudono, almeno non del tutto, cioè tu per tutta la vita ti ricordi di quando andavi in giro con decine di anellini infilzati nel corpo.
Vorrei predicare (sì, predicare) moderazione.
Per esempio, trovo i peli del pube molto belli.
Lady Chatterley intreccia fiori in essi.
Lei è un’aristocratica, sposata con un uomo che è rimasto paralizzato in guerra ma che mangia la minestra dal cucchiaio nel modo giusto, dal lato e non dalla punta; lui un guardiacaccia, selvaggio quanto basta.

Pascale Ferran, Lady Chatterley, 2006

Non è che lei lo vede e dice oddio, un maschio.
Mi sembra che lei lo guardi, al contrario, con stupore e meraviglia.
Oltre al romanzo, censurato e, mi ricordo, proibitissimo alle fanciulle, c’è più di un film che ci racconta la vicenda di Connie Chatterley.
Quello di Pascale Ferran, e vi ricordo che Pascale è una donna, è bellissimo, intriso di un potente sentimento di natura e di Eros.
In esso c’è la narrazione dei sentimenti di una donna che va alla scoperta del corpo maschile.

Ho letto per la prima volta Il riposo del guerriero a quindici anni. Avevo trovato il romanzo in una libreria di una casa al mare.
L’ho riletto da adulta, anche in francese appena ne sono stata in grado.
La vicenda, pubblicata nel 1958, è quella dell’alcolista Renaud, venuto dal nulla, di cui si innamora senza possibilità di uscita una giovane donna perbene, un po’ maestrina e un po’ boy scout.
Lei lo salva casualmente da un tentativo di suicidio.
E comincia così una discesa all’inferno, o, se preferite, una salita in paradiso, in cui lei viene travolta da una passione che è tutta legata al corpo e che lei, come fanno quasi sempre le donne, trasforma in sentimento.
La descrizione della progressiva scoperta di sé, di una persona che lei non pensava nemmeno lontanamente di essere, è fatta nei dettagli.
Al centro, c’è lui, che vive nel letto, fuma, beve, scandalizza.
«- Oh! Renaud!
-Oh! Renaud! mi fa il verso lui. Ipocrita! Piuttosto, avvicinati, ça ne choque que de loin».
E il ça è qualcosa di intimamente virile, che sciocca solo da lontano.
Peli compresi, ça va sans dire.
Il riposo del guerriero è scritto da una donna.

Uomini, fidatevi, sono donne, che parlano.

La statuaria virile, e non solo quella classica, mostra corpi idealizzati e perfetti. Che hanno il pube ornato da peli.

I Bronzi di Riace, V sec. a. C., part.

Metto insieme una piccola galleria.

Uno dice: ma sei una maniaca. No, sono uno storico dell’arte e guardo i dettagli.
Anche se ammetto che con il David di Bernini, che già è alto lui e che sta pure su un piedistallo, mi sono arrampicata sulle punte dei piedi fin dove ho potuto perché volevo vedere se sotto il drappo così barocco si scorgeva qualcosa da quelle parti.
Ebbene, si scorgeva.
Per dirvi di più, dovrei fare come Antonio Banti, che si fece chiudere nella Galleria Borghese per passare la notte con Paolina.
Pare che lui si sedesse sull’agrippina sulla quale lei è sdraiata dicendole «Fatti più in là».
La luce della luna entrava dai vetri e l’intimità fra i due fu saldata da quell’atto di coraggio.
Potrei eludere la sorveglianza, nascondermi in un angolo e, a cose fatte e antifurto innescato, approfittare del mantello della notte per accostarmi al David e dirgli «Tira giù quel drappo e fammi vedere che c’è sotto».
Di questo progetto temerario, darò notizie.

Uomini, ebbene sì, vi sto dando un consiglio.
Vi ho proposto alcuni degli esempi più alti di maschi che mai si siano visti al mondo e, a parte la differenza fra voi e loro, che, casomai, è minima, fate in modo che essa non stia proprio nella rasatura totale e senza criterio del vostro pube.
Tecnicamente, i peli sono «dei meravigliosi sensori che trasportano le nostre secrezioni ricche di feromoni (ormoni che giocano un ruolo di attrazione sessuale)».
Per questo «tirarli, accarezzarli, soffiarci sopra, c’est ultra excitant».
Inoltre, «sradicare il pelo, è sradicare l’erotismo e tutto quello che può suggerire il mistero».

Poi, voi fate come vi pare. Però dopo non venitevi a lamentare che una donna vi ha detto che, così ripuliti, assomigliate alla coscia di pollo nella vaschetta del supermercato: giacente nel polistirolo, avvolta nella plastica, con il prezzo incollato sopra, pronta per la cottura. Come i polli qualche tempo fa non erano, perché anche loro, esposti alla vendita, mostravano qualche memoria di quando sfoggiavano un piumaggio degno di un maschio, che li faceva sentire belli, diciamo così, virili, e, purtroppo per loro, anche molto, molto appetibili.