Lorenzo Lotto, Triplice ritratto di orefice, 1530

Potessi un giorno
camminare da solo
ma solo solo
non come vado adesso
solo
ma solo solo
senza me stesso

(Antonio Delfini)

«Il termometro adotta una lega di gallio, indio e stagno, assolutamente atossica ed ecologica, che consente di smaltire senza controindicazioni il termometro».
Faccio colazione, prendo il pennarello rosso e segno con un cerchietto il secondo termometro.
Un pronome, no, eh, in due righe ci piazzate una ripetizione. E avete pure fatto disegnare da qualcuno lo scatolino, con la marca e il resto.
Il termometro è ecologico, quindi non si muove da dove sta, a dar retta a lui ho 35,9, dunque sono un cadavere.
E tale mi sento.
Se il termometro funzionasse, avrei la febbre.
Ma poco importa.
Importa che al primo freddo abbia avuto subito problemi di voce, quindi sospendo tutta l’attività professionale da qui a data da destinarsi.

Devo decidermi, cambiare mestiere e andare a fare la cameriera in una pizzeria. Lì, la voce, la usi poco o niente.
Prendi le ordinazioni, sorridi, assegni le pizze, quando c’è, intaschi la mancia.
E hai fatto.

L’aria sospesa del sabato, che fra qualche ora si trasformerà in febbre, sta tutta lì.
Non so perché, mi vengono in mente solo orrori. Veramente ce li ho in mente di continuo.
Quel senso di scollamento e di alienazione quando leggo quello che si fa gli auguri da solo per il suo compleanno: «Auguri a me».
In che senso.
Quando qualcuno chiede a me in che senso, io mi spiego elencando i sensi: la vista, l’udito, il gusto, il tatto e l’olfatto.
Quando chiedo io in che senso, tutto quello che rimedio è di solito una risposta generica.
Tu ti fai gli auguri per il tuo compleanno e fai bene, il compleanno è una faccenda personale importante. Il nodo sta nel fatto che tu gli auguri te li fai in pubblico.
Come se parlassi da solo. Del resto oggi tutti parlano da soli. Non riesco ad abituarmi al fatto che ci sono dispositivi nascosti, microfonini, apparecchietti ficcati nell’orecchio, continuo a vedere solo che uno parla da solo.
E secondo me quell’altro manco ti capisce. Poco male. In The Dark Knight uno dei protagonisti porta una ragazza in discoteca e quella gli domanda urlando ma perché mi hai portata qui, visto che non senti quello che ti dico.
E lui risponde ma non ti viene in mente che ti ci ho portato apposta.
Gli uomini, ci vuole così poco a capirli.

Quelli che si sposano da soli.
La prima volta non afferravo.
Cioè fanno le partecipazioni, diramano gli inviti, organizzano la cerimonia, la festa, il vestito, la lista dei regali e il viaggio di nozze.
La torta.

Matrimonio con sposa single

Da soli.
Dicendo nessuno mi ama quanto mi amo io.

Matrimonio con sposo single

Uno sposo single ha già festeggiato il primo anniversario di matrimonio.
Con i migliori auguri di noi tutti perché viva felice e contento.

(Uno pensa, tu guarda quanto è pleonastica una storia d’amore con un altro).
(Uno pensa, chi era quello ama il prossimo tuo come te stesso).

L’ultra moderna solitudine, c’era anche una canzone.

 È del 1988, ma gli artisti, si sa, stanno sempre avanti.
Eccoci qui, dopo trent’anni ci stiamo dentro fino al collo.

Gli hikikomori, ma anche gli eremiti urbani, i primi mi stanno più simpatici dei secondi, non so, mi sembrano più moderni, l’eremo in città, in mezzo al traffico e senza il riscaldamento in inverno, mi fa strano.

Hikikomori

L’impenetrabilità delle relazioni.

Ognuno per suo conto. Se ne lamentavano l’altro giorno i miei studenti, devo approfondire l’argomento.
L’autoprotezione tipica dei vecchi, che alligna volentieri in gente che ha ancora anni da spendersi.
L’essere al centro del proprio universo e comunicarlo di continuo.
Se dico alla domestica oggi bisogna fare almeno lo sportello della cucina con le scorte, mi dice che lei a casa sua l’ha appena fatto.
Se dico che si sono sporcati i vetri con la pioggia, mi risponde che lei per i vetri suoi ha la tettoia.
Mi chiedo se sia una tecnica di conversazione, che ne so, come va, io bene e tu, poi parliamo di altro, ma la mia sensazione è che sia invece una incapacità di uscire, pure quando stai fuori, dal tuo appartamento.
Del resto glielo ha detto anche il medico della mutua, pensa a te stessa.
Lei lo ha preso alla lettera.

Salvador Dalì sosteneva che la follia era una stanza in cui lui era chiuso ma di cui possedeva la chiave.

Helmut Newton, Gli ultimi giorni di Salvador Dalì, 1989

A vedere gli inquietanti scatti di Helmut Newton, credo che la chiave, a un certo punto, il maestro l’avesse persa.
Poi, però, se te lo prescrive il medico della mutua, di occuparti solo delle cose che stanno nella tua abitazione, pure quando stai nell’abitazione di un altro, avrà i suoi buoni motivi.
Io che ne so, forse vuole proteggerti dal mondo. Che è egoista, pericoloso e cattivo, quindi è meglio che non lo frequenti.

Leone

La condomina di sopra che è stata in Africa e ha visto i leoni. Le ho chiesto che cosa c’era di interessante nei leoni, lei non ha saputo dirmelo, allora mi sono profusa in esclamazioni di meraviglia, oh, i leoni, devono essere fantastici.

E poi stavamo in macchina, mica puoi scendere.
E vorrei vedere.
Comunque ogni tanto succede che un leone si mangia un turista che si è preso troppa confidenza e devo cercare di trattenere il mio moto di soddisfazione davanti alla notizia.
I leoni, quando in vita tua non hai mai visto la Scalinata di piazza di Spagna.

Un gatto, due gatti, tre gatti, quattro gatti, cinque gatti.
Un cane, due cani, tre cani, quattro cani, cinque cani.
Ho chiesto al supermercato come mai di botto avevano ammesso i cani.
Il Direttore mi ha detto che avevano i loro carrelli.
Ho chiesto se avevano predisposto anche casse riservate, visto che i clienti mettono tutta la spesa sul cane e poi la mettono sul rullo.
Che si riempie di cane.
Lui, che è uno simpatico, mi ha detto che mi avrebbe regalato un cane.

Ho chiesto a un tipo che vive a Veroli in una casa piena di cani perché ne aveva tanti.
Mi ha risposto che la colpa era mia perché non gliene adottavo quattro o cinque.
Ho ammirato la limpidezza del ragionamento.
Quattro o cinque cani, tutti nel carrello del supermercato, un carrello monovolume per tutte quelle bestie.

La chihuahua della podologa si annoia, quindi lei l’ha sistemata a casa di una sorella.
Che ha un cane pure lei, ma ho capito che è più grosso.

La podologa mi ha chiesto che faccio a Capodanno.
Essendo il 23 novembre, sono un po’ indietro con i preparativi dei festeggiamenti.

In farmacia hanno il cibo per i cani.
Non per i cani diabetici, il cibo per i cani sani.
Sono andata in farmacia a prendere qualcosa, non per la voce, per quella non c’è niente da fare, ritorna quando vuole, e la dottoressa mi ha detto ma almeno una caramellina.
La cosa più disgustosa nelle mie crisi di afonia sono le caramelline.
Non servono a niente e fanno persona che ha problemi di voce e pensa di risolverli con le caramelline.
La dottoressa in alternativa mi consiglia delle compresse rivestite con film, tre per il giorno e una per la notte, a base di paracetamolo e di altra roba, tutte colorate: praticamente, caramelline.

Quando ho le mie crisi di afonia, valuto la perspicacia del mondo. C’è quello che mi chiede posso chiamarti, certo, ma ti ho appena scritto che non posso parlare.

Sono andata in un supermercato dove non vado mai per non dover avere relazioni.
Ho mostrato la mano con cinque pezzi da dieci centesimi alla cassiera e quella ha capito che volevo una moneta per il carrello.
Brava ragazza, sagace e intelligente.

Il parrucchiere vicino al negozio di animali dove ho comprato le vasche nuove per i pesci rossi si chiama EGO.
Insegna a caratteri cubitali.
Ne sentivamo la mancanza.
Alla Coop il banco dove sta il direttore e si avvicendano un po’ tutti si chiama Punto d’ascolto.
Si capisce che a comunicazione andiamo male, ma che c’è chi ci viene in soccorso.

Sulla mia rivista francese ho letto un’inchiesta dettagliata sulla PMA, che è la procreazione medicalmente assistita, completa di interviste a tre donne che hanno fatto un figlio da sole.
Una dice che si è recata in Belgio perché lì la legge consente un donatore «aperto», nel senso che alla maggiore età il figlio può conoscerne l’identità.
La donna dice che ha scelto il padre su una piattaforma internet e che ha un dossier relativo a quest’uomo: i suoi gusti, il suo carattere, la sua storia medica.
(Anche cose che, casomai, quando frequenti una persona, non vieni mai a sapere).
Una volta, in un bel ferragosto con amici, a cena mi sono trovata con due delle donne che stavano a tavola che mi hanno detto che avevano tanto desiderio di un figlio e che pensavano di andare in Danimarca a farsi inseminare.
Per me la cosa non presenta nessun problema di carattere etico e capisco che una donna voglia un figlio, mi sembra normale.
Ma mi dava tristezza il loro piano tattico.
Ho detto loro perché non ve ne andate una quindicina di giorni in vacanza a Capri, stiamo a Napoli e c’è davvero solo da attraversare un pezzetto di mare.
Lì è pieno di pescatori vigorosi e nelle macellerie ci sono i garzoni.
Per non dire, volendo mantenere in piedi il progetto paese di Amleto, di quanto siano attraenti certi danesi. Belli, nordici, alti e biondi, sai che rimescolanza con due mediterranee come voi.
Sono mediterranea anch’io e posso testimoniare che questo tipo di donna da quelle parti ha il suo appeal.
Ti sto dicendo fatti una vacanza senza passare dalla clinica.
Forse l’avventura della maternità è ancora più avventurosa.
Per non parlare del congelamento degli ovociti: quelli mi fanno pensare a quella busta di supplì che ho in freezer da mesi in caso di e che non mi decido mai ad aprire.

Nella mente di una delle intervistate era anche passato il pensiero che quello di un figlio fosse un desiderio egoista.
Ma che stai dicendo.
Comunque, quello che mi ha soffocato in questa inchiesta, così ben fatta, è stata l’ossessione, che traspariva da tutto.
In internet si trova ciò che cerchi. Accanto all’elenco dei donatori di sperma, anche quello del festival per la gente più alta di un metro e novanta, o per quelli rossi di capelli.
Praticamente l’incubo: tutti giganti; tutti di pelo fulvo; tutti disposti a dare via il proprio seme.

Corsi di degustazione di vino.
Corsi di degustazione di olio.
Faccio anch’io corsi di degustazione, nel mio caso di storia dell’arte.
E la storia dell’arte è inebriante anche più del vino e più nutriente dell’olio, quindi non è che non capisca i seguaci.
Spesso in festa perpetua, quando si degusta si sta sempre in compagnia, loro sì, che sono già pronti per Capodanno.
Oh, quanto vi invidio.
Quanto mi piacerebbe saper stare sempre fuori casa come fate voi, a degustare e a festeggiare.
Prove generali per il Capodanno, dappertutto dove c’è festa, teatri, locali, enoteche, luoghi di incontro.
Tutte le sere fuori.

Certo che ce ne vuole, di coraggio.

L’altro giorno parlavo della monocultura. Però, se il quartiere a luci rosse di Amsterdam, che contiene solo sesso e pure in vendita, è pornografico, allora è pornografica anche Las Vegas: monocultura del gioco d’azzardo; sono pornografiche Firenze e Venezia: monocultura del turismo; è pornografica L’Aquila: monocultura degli studenti.
Roma è grande, quindi il suo lato pornografico, comunque evidentissimo, è più diffuso, dunque, più morbido.

Pornografia del centro commerciale, del Black Friday che si è trasformato in Settimana Nera, dei mercati rionali in centro che vendono la pasta tricolore a forma di fallo, delle edicole che hanno esposti solo gadget e non più giornali e riviste.

E in questo mondo, ognun per sé.
Mi sono messa a contare quante persone mi hanno chiesto come mi trovavo a Roma dopo ventun anni di Napoli: tre.
Due delle quali a me più o meno estranee, la ragazza del mio parrucchiere e la mia igienista.
Fra una cosa e l’altra vedo un paio di centinaia di persone a settimana e praticamente nessuno si è preoccupato di chiedermi come stavo.
Tranne, appunto, persone estranee, che avevano intuito al volo che nel cambiamento c’era qualcosa di notevole.
Nessun problema, sono io la prima a dire a quelli che si lamentano perché nessuno si preoccupa della loro salute che il motivo sta tutto nel fatto che si vede benissimo che loro sono forti e che non hanno bisogno di niente.
E poi ho visto Giulia non esce la sera e ho imparato che la famiglia dello scrittore non legge i suoi libri, con i quali lui comunque la mantiene.
Meglio così, così lui può dire peste e corna di tutti i suoi congiunti.

Volete mettere, la libertà della creazione.

Comunque è sabato sera e per via del termometro ecologico non riesco a capire se ho la febbre.