Se i miei studenti capirono che cos’era la parafilia, certamente voi capirete che cosa sono i parasentimenti.
In aula ci arrivò una signorina, che si illuminò e disse: «È come la parafarmacia».
Esempio calzante.
Se qui la parafilia poco ci interessa, ci interessano però i parasentimenti.
La paternità (d’accordo, la maternità) della parola non è mia e me ne dolgo. Essa è di un pilota di non mi ricordo quale formula, che così indicava tutti i suoi molteplici affari di cuore.
Almeno, io me li immaginavo numerosi, ma non ho approfondito e non so altro.
Comunque, quando chiesi al pilota dei suggerimenti per parcheggiare meglio, lui si mise a ridere e mi disse che lui non parcheggiava mai.
Avrebbe potuto darmi, quelli sì, consigli per mandare la macchina a 250 km/h.
Cosa che poco mi interessava.
Il dialogo finì lì ma io mi appropriai della parola e del concetto.

Mi capita di acquistare qualcosa per via della parte e non del tutto.
Per esempio, compro regolarmente le schiacciatine di pollo per il rametto di rosmarino che c’è nella confezione. Il rosmarino mi piace e ne ho due vasetti sul balconcino.
Però quello che sta nella confezione è il motivo per cui mangio spesso schiacciatine, cucinandole sempre e solo con il loro rametto.
In questo medesimo umore ho comprato la nuova maschera per il viso, che era proposta in un cofanetto natalizio con un pennello per l’applicazione e una fascia per i capelli.
Mi interessava quest’ultima.
Una volta aperta la scatola e indossata la fascia, mi sono accorta che essa era per me un po’ troppo stretta, l’avevo vista indosso alla modella e non mi era sembrato.
Ci sono rimasta un po’ male, anche se i capelli più o meno la fascia me li tiene, almeno per il tempo di posa della maschera.
Il pennello, invece, mi piace molto, è morbido e si lava sotto l’acqua corrente.
Credo che con le persone sia la medesima cosa, nel bene e nel male.
Per esempio, credo che la cosa migliore che ha Irina sia la risata: argentina, ovvero lucente come l’argento, comunicativa, aperta, libera.
La risata di Irina corrisponde al suo carattere e uno si prende Irina per via della risata.
Poi ci sono degli occhi che mi piacciono molto, che basterebbero da soli a fare la bellezza di una persona, ma credo che dipenda dal fatto che gli occhi sono sempre così espressivi, sono d’accordo sul loro essere lo specchio dell’anima.
Dunque uno si innamora di quello sguardo.
Nell’altro senso, ci sono dettagli che mi infastidiscono, ma siccome mi infastidiscono, non è proprio il caso di parlarne.

Guardo il sito di una mangaka che prediligo.
Lei si chiama Kan Takahama e così, a orecchio, credo di averla conosciuta grazie a un’intervista.

Takahama

Ho letto vari albi suoi e uno ne ho ripreso di recente.

Kan Takahama, Tokyo, amour et libertés, 2017

So che lei aveva sposato un francese e che attraverso lui era entrata a far parte del movimento Nouvelle Manga, che corrisponde più o meno a dei manga con contenuti colti, confessionali e spesso femminili.
Non avevo mai visitato il suo sito.

Nella traduzione inglese trovo scritto: «I wake up in summer and get nap in winter usually. I’ve through a few misery till I got married 2006. Divorced in 2008 cause of mutual alcoholic».
E io che pensavo che l’alcol mutuo unisse.
Ieri sera, per esempio, mi sono presa una fantastica ubriacatura via WhatsApp, fra l’altro con la persona giusta, un sommelier, ciascuno con un vino diverso, d’accordo, ma questa è epoca di parasentimenti, mica darete per scontato che si beva in calici identici.
In ogni modo è già qualcosa.
E poi, volendo, basta organizzarsi e darsi un appuntamento sull’etichetta.

Non c’è amore, ci sono solo prove d’amore. Citazione trovata oggi sulla mia rivista francese.
È di Pierre Reverdy, poeta.
Andiamo bene.

Tutte queste faccende del Natale e di San Silvestro semi confinati cominciano a innervosirmi.
Nessuno si ricorda più di quanto possa essere orrendo il Natale in famiglia, lo suggerisce solo Valeria Parrella, nel suo bel romanzo.

«…e mi mancano persino quelle cesse delle mie cognate».

Io, al momento, ho una sola cognata, che abita a più di seicento chilometri da dove abito io. E che è squisita.
Però per anni ho pensato quello che pensa Elisabetta Maiorano e il Natale era facile che andasse di traverso.
Per non parlare del pranzo di Capodanno, soprattutto quando eravamo ragazzi e facevamo tardi la sera prima, quella tortura del ritrovarsi a tavola dall’altra parte di Roma di nuovo vestiti eleganti e di nuovo a mangiare non più tardi dell’una e trenta.
Per non parlare di quelli che hanno l’abitudine a San Silvestro di mettersi in testa un cappellino di cartone con l’elastico che non entrerebbe nemmeno sul loro dito medio e di fare il trenino a mezzanotte.
Quanto farebbe bene a loro ragionare su quello che fanno da sempre, casomai capirebbero quanto il veglione può essere il luogo deputato del ridicolo.
E il ridicolo è un brutto, brutto sentimento, che secondo me andrebbe tenuto lontano dalla propria persona e dalla propria esistenza.

E per non dire davvero della scuola e di tutti gli studenti somari che alleva da un pezzo, pochissimi con la voglia di studiare, quasi tutti scocciati, annoiati, protervi davanti alla certezza di passarla liscia, perché come fai, gli studenti sono clienti e, dunque, hanno sempre ragione.
E la fanno franca.

E per lasciare cadere il discorso delle librerie.
Ancora sulla mia rivista francese, viene rivolta questa domanda al Ministro della cultura (il loro): «Comprendete l’indignazione di quelli che non vedono in che cosa una bottiglia di vino sarebbe più essenziale di un libro?».
(In Francia le librerie sono chiuse e le enoteche, aperte).

Roselyne

Lei, il Ministro, che è una donna, fra l’altro di destra che, secondo qualcuno, vorrebbe essere di sinistra, risponde: «Un libro non è un pacco di pasta o uno yogurt. Una libreria non è un commercio, è un luogo culturale dove si discute, dove si sfogliano dei libri, altrimenti, a che serve?».
Vorrei che la pensassero allo stesso modo quelli della libreria vicino a me, facente parte della catena più grossa d’Italia, dove i gadget superano in presenza i libri e a Pasqua i conigli della Lindt stavano tutti belli in mostra, senza che nessuno si fosse preso la briga di allestire, che ne so, un corner, come lo chiamano loro, con  un’idea, per esempio quella che abbiamo in testa tutti, Follow the White Rabbit, io voglio sapere che ci vuole.

Matrix

Oppure la narrativa sul cioccolato.
O quella sui giorni di festa.
No, loro non ci arrivano.
Loro vendono solo conigli di cioccolato, proprio come il supermercato dall’altra parte dell’Appia.

Io i libri me li compro su Amazon e lo faccio senza nessuno scrupolo morale.
Se dispiacere deve starci per le librerie in difficoltà, certo non mi dispiaccio per quella vicino a casa mia.

Ho passato più di un Natale e di un Capodanno a Parigi.
Com’era.
Bello.
Faceva freddo,  spesso pioveva e una volta cenai alle sei del pomeriggio del 31 dicembre in un bistrot, con steak et frites, bistecca e patatine fritte.
E un superbo Bordeaux.
Però con il trionfo dello Champagne in camera quando arrivò l’ora.
Sempre mostre magnifiche.
E la città, il giorno dopo suonata come un pugile e come non l’avevo mai vista.
Le (poche) città che amo, così come le persone, amo vederle sotto tutte le luci e in tutte le forme.
Oggi la mia rivista, decisamente molto remunerativa, tale e quale a una scarpinata in montagna, che ti ripaga della fatica con un bel panorama, mi presenta un nuovo albergo nella Ville Lumière.
A mezza strada fra due stazioni, la gare de l’Est e la gare du Nord, è raccontato come un luogo per respirare fra due viaggi.
Ve lo mostro e aggiungo che la foto numero due mi piace soprattutto per via della coppa, anche se io ne ho di più belle.

Troppo colorato per i miei gusti, ve lo dico subito, ma comunque in grado di farmi venire voglia di dormirci una notte, al momento mi sembra un progetto e una promessa.
Nel senso che forse c’è qualcosa oltre il confinamento.

Per non parlare di quanti sentimenti è probabile che ci siano oltre i parasentimenti.

Basta, nell’uno caso e nell’altro, avere in sé la capacità e il coraggio di stare al gioco e ai suoi paradossi.

E di vedere come il gioco si gioca e come il gioco va a finire.