Marlon Brando in Ultimo tanto a Parigi, 1972

Al terzo tentativo trovo i guanti usa e getta. Sono rimaste poche scatole sullo scaffale, il prezzo è raddoppiato già da qualche tempo.
Quanto a guanti, la differenza sostanziale fra me e Irina è che io li uso per tutto.
Lei non li usa per niente.
Io uso i guanti per pulire le scarpe, sbucciare aglio e cipolla, fare lavori di manutenzione in casa, cambiare l’acqua ai pesci rossi.
Durante il primo confinamento non si trovavano più guanti, quindi facevo tutto a mani nude.
Pure cambiare l’acqua ai pesci rossi.
Perché primo confinamento? Non lo so, faccio come faceva quella collega che definiva l’ex coniuge il suo primo marito. Manco fosse stata Liz Taylor che, se non stava attenta, faceva qualche confusione fra tutti.
Penso forse che ci saranno altri confinamenti? Non penso niente.
Dicevamo, i pesci rossi. Che sono viscidi, grassi, conciano la vasca come una stalla, poi bisogna stare attenti a lavarsi le mani prima di toccarli, per loro protezione, e molto bene dopo, perché uno ha  toccato la loro acqua immonda.
Uso un retino, ma loro sgusciano fuori come anguille.
Segno che sono in buona salute, sani come pesci.
I guanti di gomma hanno poca sensibilità, perfino quelli per i bicchieri di cristallo, che comunque metto in lavastoviglie.
Quindi i guanti per i lavori domestici non vanno bene per i pesci rossi.

Se Irina non vuole proteggersi le mani, smetto di dirglielo: durerà di più, la mia scorta.

Il film è sempre bellissimo.
E da sempre mi chiedo come sia uscito fuori da un registra che poi non ha saputo rifare il colpo.
Ho visto Ultimo tango a Parigi tantissime volte, alcune delle quali all’estero. Nel senso che sono andata a vederlo quando ero fuori Italia, per il semplice motivo che il Italia non era possibile, il film era stato messo al bando per motivi che qui non ci interessano.
Andare al cinema all’estero, se non ci vivi, non è frequente, eppure è altamente consigliabile, al cinema è praticamente impossibile che ci siano turisti.
Inoltre, altrove è normale proiettare i film in versione originale e questo è un caso evidente di come sia mille volte meglio, i protagonisti sono un americano e una francese e si incontrano in un appartamento sfitto di Parigi, alternano il francese all’inglese, a seconda dell’umore e di quello che si dicono.
Ultimo tango è un film intensamente erotico ed è erotico come sempre è l’erotismo: tantissimo in testa.
Racconta che l’unica forma di contatto carnale profondo è fra due persone che non sanno niente l’una dell’altra e che quando stanno insieme dimenticano tutto il resto.
Prova ne sia che la relazione finisce quando i due escono dall’appartamento e rientrano nella vita che c’è fuori.
Trovo lei molto bella, nonostante i seni strabici e troppo grandi per i miei gusti. Ma è una citazione delle donne di Renoir, quindi la guardo in modo differente.
È flessuosa, imbronciata, ridente, mi piace molto come è vestita, si capisce che lui ha suscitato in lei emozioni mai provate prima, si capisce che lei si innamora di esse.

Paul & Jeanne

Lui è quello che è: un idolo virile, alcolista, bisessuale; una star immensa e capricciosa, che passeggiava con Russel, il suo orsetto lavatore, sulla spalla; pretendeva di lasciare il set alle 16:00 perché aveva appuntamento con il suo analista; insonne, solitario, con tendenza all’obesità; vita affettiva caotica; film cattivi accettati per denaro; malinconia; ancora alcol; antidepressivi.
Almeno un paio di figli con qualche problema: Christian, nel biberon del quale la madre metteva del whisky per farlo dormire, tossico dall’età di dodici anni;  Cheyenne che si drogava con l’ectasy e il crack, che finalmente a venticinque anni riesce a suicidarsi, dopo un’overdose, impiccandosi.

Marlon Brando muore a ottant’anni nel 2004, costretto alla sedia a rotelle perché era troppo grasso per camminare.
Radioamatore con la sigla FO5GJ, trasmetteva dalla sua isola privata.
Ho controllato e tutto torna.

In Ultimo tango Marlon Brando è irresistibile.
Maledetto, annientato dal suicidio della  moglie, miserabile in senso alto.
Naso e bocca da leggenda.

Ed è irresistibile la città, ritratta in modo amoroso, con la ricerca dei luoghi della Nouvelle Vague, cui il regista si lega apertamente scegliendo l’attore fetiche di Truffaut per interpretare il fidanzato di lei.

Non aver visto Ultimo tango significa non sapere niente di Eros, non aver mai nemmeno sfiorato l’abisso di una relazione carnale profonda.

Non sapere niente dell’essenza più intima di Parigi.

I musei italiani hanno siti fatti malissimo.
Meglio sarebbe non averli.
Un sito professionale ha costi alti o altissimi, però per un museo è indispensabile: catalogo delle opere, comunicazione delle attività, presenza nella storia e sul territorio.
Non dico di guardare il sito del Louvre, che è irraggiungibile per completezza, serietà e suggestioni diverse.
Ma almeno quello di un piccolo museo di una città di provincia francese.
Così, per farsi un’idea e capire che cosa significa museo, visitatori, modernità, ricerca.

Leggo un’intervista a Sofia Coppola a proposito del suo ultimo film.
L’ho incontrata una volta a Parigi, dietro il Musée d’Orsay.
Pioveva e io me ne andavo a spasso.

Sofia

Lei scese da una grossa limousine con i vetri scuri che si era fermata davanti a un negozio di abbigliamento per bambini.
L’autista era in livrea. Le aprì lo sportello (posteriore destro) e la riparò con un ombrello nero.
Lei si infilò dentro il negozio.
Lui attese fuori.
Lei uscì dopo pochi minuti con alcune buste, che lui si affrettò a prendere.
Lei entrò nella macchina.
Era vestita molto semplicemente e semplicemente è stata la donna più elegante che ho incontrato in vita mia.
Nell’intervista le si fa notare che il suo film è una «lettera d’amore alla New York dei quartieri eleganti, con i suoi ristoranti e i suoi bar incredibili».
Lei risponde: «Sono sensibile all’energia della città, la amo e la conosco bene. Abbiamo finito le riprese una settimana prima del confinamento. Penso che i newyorkesi  siano ansiosi di una cosa sola: che la loro città ridiventi quello che era prima del Covid».

Vorrei poter parlare nei medesimi termini della città mia.
Ma non è che ne abbia tutta questa voglia.

Una volta ho vinto un concorso radiofonico. Erano tempi diversi e la radio era bella. Adesso non parteciperei mai a un concorso bandito da gente che manda solo repliche o trasmissioni noiose e inascoltabili.
La mia vittoria fu di tipo solo morale. Nel senso che ebbi la soddisfazione di vedere scelta la mia proposta per un farmaco tutto di fantasia.
Io mi ero inventata il Solvispleen: uno spray che faceva passare la malinconia.
Avevo dato la composizione chimica, fatta di fiducia nella vita, incontri, incoraggiamenti; la posologia, al bisogno, cioè molto spesso; gli effetti collaterali, euforia immotivata  e stati confusionali; le indicazioni: ricordi dolenti, amori andati a male, fallimenti esistenziali generici.

Mi presi i complimenti dei due conduttori, uno scrittore e un enigmista, mi ci divertii, mi ricordo che pensai per un attimo che mi sarei dovuta occupare di chimica e di farmacologia.

Ma già stavo facendo quello che faccio adesso e non avevo, né allora, né oggi, alcuna voglia di cambiare.