Mai fidarsi.
L’altro giorno ho sbagliato Episodio.
Me ne sono accorta quando sono andata a vedere il numero 8 e ho capito che lo avevo già visto.
Da lì ho dedotto che avevo saltato il 7.
La colpa è del lettore, che fino alla serie precedente, quella dei becchini di Los Angeles, che ho rivisto a metà, sapeva da che parte cominciare e si ricordava dove ero arrivata.
Siccome la cosa funzionava, avevo smesso di mettere un Post-it sulla copertina del cofanetto con un appunto.
Sono una persona ben organizzata e poi conosco il senso del dove eravamo rimasti.
E uso molti segnalibri.
Ma come ho fatto a non accorgermene.
E che ne so. La trama è talmente intricata che non è che riesca a seguire tutto, anzi, dopo ogni episodio vado a leggermi qualcosa per capire quello che ho visto.
Perché, voi capite tutto della vita?
Io, no.
Spesso, per quanti sforzi faccia per decifrare i fatti e i sentimenti, la mia confusione è totale.
Quindi, figuriamoci una serie.
Che è come la vita, ma in meglio.

Ho chiesto a un uomo che cosa voleva da una donna.
Lui ha detto che era una domanda difficile.

Le bureau des légendes, Stagione 1

Io ho insistito.
Lui si è messo a pensarci e mi ha risposto: «Stimoli».
Ho chiesto a Irina che cosa voleva da un uomo.
Lei stava prendendo il caffè sul tavolo di marmo della mia cucina, seduta sul mio sgabello prediletto.
È saltata giù, si è messa a ridere e mentre rideva ha strillato: «Tutto».

Le bureau des légendes, Stagione 1

Mi è venuto in mente che forse è per questo che uomini e donne non sempre si capiscono: gli uomini hanno pretese astratte ed enigmatiche.
Le donne di pretese ne hanno troppe.

La mia sveglia storica aveva smesso di funzionare. Cioè, continuava a camminare, ma non aveva più la suoneria.
Sarà perché è cascata in terra mille volte, o perché è arrivata la sua ora.
Quando ne ho comprata una nuova, dopo la prima notte quella appena arrivata l’ho dovuta mettere nella stanza da bagno.
Emetteva un rumore infernale a ogni secondo. E poi una sveglia in bagno serve sempre.
Dunque, in camera da letto ho tenuto la sveglia vecchia, ammaccata, ma discreta. Io ho il sonno leggerissimo, quindi mi ci manca che la sveglia lo disturbi camminando.
Ma l’altro giorno, erano le sette, ho sentito solo un tic. Niente suoneria.
L’ho capito con dieci minuti di ritardo e meno male che non avevo un treno da prendere.
Comunque mi sono svegliata lo stesso, perché per me il tic è come una cannonata.
Ieri sera ho messo la sveglia del telefono. Non sto nemmeno a raccontare quanti giorni ho impiegato a capire che uno smartphone, così intelligente, suona solo se è acceso, laddove tutti i vecchi Nokia erano capaci di mettersi a dormire e di svegliarsi da soli quando era venuto il tempo.
Allora stamattina mi sono svegliata col telefono, la suoneria e pure la voce.
Non vi sto a dire il mio stupore quando, facendo colazione, ho sentito una suoneria che veniva dalla camera da letto.
La vecchia sveglia si era rianimata. Oppure, siccome l’avevo puntata a caso su un altro orario, mi ha comunicato che a lei svegliarsi alle sette non piace e che si mette a suonare solo se io la metto più tardi.
Poi non venitemi a dire che gli oggetti non hanno un’anima.

Per strada sono fioriti i gazebo per il test rapido.
Il primo, sotto i miei occhi.
Ho chiesto a chi lo stava montando che faceva e lui mi ha risposto che non lo sapeva.
Come si possa lavorare senza capire che cosa stai facendo, per me rimane un mistero.
Manco una macchina. Le macchine, lo sappiamo tutti, hanno un cuore.
Il primo gazebo è stato piantato all’angolo fra via Enea e via Eurialo.
Come ho già detto, abito nel quartiere dell’Eneide.
A me non piace quasi niente di quello che sta fuori.
C’è una lunga poesia di Patrizia Cavalli che se la prende, e giustamente, con le piazze che sono state invase da
I tavoli, gli ombrelli, le sediole,
le stufe a gas letali, i cellulari
Vicino a casa mia e sulla strada della lavanderia della signora Anna, dove porto a stirare le lenzuola e dove mi capita di passare a fare due chiacchiere (lei è una che ha storie fantastiche da raccontare), c’è un pub, che ha riaperto a mezzo servizio.
Hanno messo i tavoli sul marciapiede.
I tavoli sul marciapiede ci stavano pure prima che arrivasse il consiglio di mandare tutti all’aria.
Dunque, i tavoli sul marciapiede sono una cultura.
Il tutto in una larghezza limitata, con le macchine, spesso quelle degli avventori, parcheggiate in seconda fila, vasetti di fiori sdutti e una pulizia sospetta della pavimentazione.
Mai mi siederei a un tavolo di quel pub a bere una birra.
Figuriamoci se entrerei mai in un gazebo.
Sì, perché i gazebo stanno invadendo la città per il test rapido e ogni gazebo dipende da una farmacia.
Lo spazio fra i cassonetti di via Enea e via Eurialo è dunque quello della farmacia all’esterno della quale c’è sempre una fila lunghissima.
Ma comunque rapida.
La farmacia da un pezzo vende  il cibo per i cani, per cani sani, non con il diabete.
E lo scorso Natale aveva vicino alle casse dei grandi cesti con le palle dell’albero, palle e basta, senza nemmeno un pretesto medicinale.
L’altro giorno mi hanno dato il calendario 2021: non erano segnati i santi, non erano segnate la fasi della luna, non era segnato il cambio della stagione.
Ma su ogni pagina c’erano pubblicità diverse, in modo che se vuoi sapere oggi di chi è l’onomastico, non lo trovi scritto ma puoi alleviare il dispiacere con una di quelle pillole per il mal di testa che certe volte ti fanno passare pure il resto.
Il gazebo, così, all’angolo della strada, è stata la cosa più indecente che abbia visto negli ultimi anni. E dire che la mia città, di bellezza inenarrabile e irraggiungibile, di momenti contro la decenza ne annovera tanti.
A completare il mio disagio, c’era il figlio del farmacista, che ha tutte le sue macchine sportive nel garage dove anch’io ho la mia auto e la mia bicicletta, con un vassoio di pasticcini secchi in mano.
Una visione vieta e ammuffita, pure con la ciliegina rossa al centro di ogni pezzo.
Ho pensato che il vassoio fosse per intrattenere quelli che fanno la fila, un po’ come fa Maurizio Marinella a Napoli, fuori dal suo leggendario negozio di cravatte. Ma con sfogliate appena sfornate e cioccolato caldo.
No, il vassoio con ciliegina era per l’inaugurazione del nuovo spazio.
Ho pensato che non ci avrei mai messo piede, capisco tutto, l’urgenza, il dubbio, la paranoia, però se vai in farmacia a misurarti la pressione, di solito c’è uno sgabuzzino un po’ in disparte. Se vuoi sapere se sei contagiato, trovo che venirlo a sapere in mezzo alla strada non sia conveniente.
Ieri ho visto un altro gazebo, quello pure più grosso, montato sulla pista ciclabile di via Nocera Umbra.
Era una bella giornata di sole, quindi la visione era limpidissima.
Una signorina stava seduta a un tavolinetto da campo che Napoleone, che pure era un soldato, avrebbe sdegnato.
A terra, un paio di buste della spazzatura piene.
Non si erano preoccupati di dare una pulita.
Ma si capisce, l’urgenza. E poi ci deve pensare il Comune.
Il gazebo faceva riferimento a una farmacia distante almeno cento metri, che affaccia sulla Tuscolana, in un punto in cui non c’è uno straccio di slargo.
Ho un po’ chiacchierato con un ragazzo che stava lì a dirigere il traffico: non sapeva quante persone si erano fatte testare il giorno prima; sì, il test lo fa un operatore sanitario; no, il risultato non arriva subito bensì via mail nel pomeriggio.
Per il prezzo, è stato fatto un cartello.

Le bureau des légendes, Stagione 1

Degli orari, poco me ne importa. Anche se mi veniva in mente che si potrebbero fare i test nottetempo, più protetti nella nostra intimità di potenziali contagiati, un po’ come fa Don Giovanni che se ne va a spasso per cimiteri cantando «Che bella notte! / È più chiara del giorno; sembra fatta / Per gire a zonzo a caccia di ragazze».
Vuoi mettere.
Ma no, non è possibile.
C’è il coprifuoco e la sera non si esce.