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NEWSLETTER #83. Lo spleen messo a nudo. Biglietto n° 26: Albrecht Dürer, Melencolia I, 1514

Albrecht Dürer, Melencolia I, 1514

Non tutti i mali. Ogni volta che incontro la signora Anna, che è la titolare della lavanderia che mi stira la biancheria più impegnativa della casa (lenzuola, tovaglie), e la incontro spesso perché mi capita di passare a salutarla o di portarle il caffè dal bar di Andrea, che conosce i suoi gusti e quelli dei suoi lavoranti, ogni volta, dicevo, che incontro la signora Anna, le chiedo: «Come sta?».
Lei mi risponde ad litteram: la spalla le dà meno fastidio perché ha fatto una terapia, però ha smesso di prendere le medicine perché gli oppiacei la intontiscono.
Il piede le fa sempre male, le secca non trovare un paio di scarpe adatte a lei.
Eccetera.
Tutto elencato nel dettaglio.
Laddove il senso sarebbe più o meno lo scambio all’inglese: «How do you do?». «How do you do?».
Pari e patta.

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NEWSLETTER #82 PARIGI, O CARA. BIGLIETTO N° 25. SINFONIA IN COLOR CARNE E ROSA (RITRATTO DI MRS. FRANCES LEYLAND) DI J. WHISTLER (1874)

J. Whistler, Sinfonia in color carne e rosa (Ritratto di Mrs. Frances Leyland), 1874

Come un film. L’altra settimana, partendo per Parigi, mi sono accorta al check-in di aver perso un guanto.
La mia collega, toscana, dei miei primi anni di Accademia, lei, alla fine, io all’inizio della carriera, qui interverrebbe per cambiare il verbo.
Mi sono accorta di aver smarrito un guanto.
Per la precisione, il sinistro di un paio che avevo appena acquistato da un’azienda storica finlandese, in pelle scamosciata, pronto per la primavera, arrivato da me in una confezione accuratissima, piena di carta velina, scatola, etichette e nastri.

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Belle nuit ô nuit d’amour. Biglietto n° 24: Arianna addormentata, sec. II o III d. C.

Arianna addormentata, sec. II o III d. C.

La porta e il portone. Secondo me, quando qualcuno vi dice che chiusa una porta si apre un portone, avete tutto il diritto di guardarlo in tralice.
Ma tu che ne sai.
A quel punto, è meno ipocrita un su con la vita, generico ma a modo suo consolatorio, almeno non ti senti uno scalognato.
Il modo di dire sembra che derivi da Alexander G. Bell, l’inventore del telefono, che ebbe molto successo dopo parecchi fallimenti.
Ciò che mi colpisce, dopo un rapido controllo, è che il detto in inglese e in francese non parla di un portone, ma solo di porte.
Ma quand’è che noi italiani siamo diventati così spropositati.
In ogni caso, il fatto che oggi vi racconto è uno dei pochi che dimostrano la giustezza dell’asserzione.

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NEWSLETTER #80 Sottovoce. Biglietto n° 23: il gruppo marmoreo di Pan con la capra, sec. I d. C.

Pan e la capra, sec. I d. C., part.

Le intenzioni. Ho lavorato a una versione spigliata, scapricciata e alleggerita, insomma: marzaiola, della Newsletter.
Solo biglietto e notizie.
(Io come zodiaco sono tutta marzaiola, segno e ascendente, quindi so di che parlo).
Ma, come dice la bella introduzione di un bel libro che sto leggendo, «Si è fatto tardi. Andiamo».
Dunque, seguitemi.

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IL BELLO DELLA LAMPADA CON LA LAMPADA

Edi (Little Helper), Walt Disney

Da ragazza, un uomo così non lo avrei degnato di un’occhiata.
Adesso mi piacerebbe conoscerlo.
Che diceva quella canzone, ah, sì: come si cambia.
Se gli togli gli scarponcini con i lacci e il giubbotto di pelle, potrebbe stare bene nella Bibbia, nel ruolo di un profeta o di un apostolo.

Michael

È giovane ma non giovanissimo, essendo un progettista, è nella sua fase d’oro, talento e esperienza.
(Prima o poi dobbiamo parlare dell’età degli uomini, e che solo quella delle donne).
Così mediterraneo, scuro, nato a Cipro, mi chiedo come stia nel grigio di Londra, se ogni tanto sente la mancanza del suo mare e dei suoi colori.
Ha studiato da ingegnere civile al London’s Imperial College of Science Technology and Medicine, poi ha conseguito un masters degree, che è la nostra laurea magistrale, in industrial design al Royal College of Art.
Insomma, è una persona seria.

Michael Anastassiades è entrato nella mia vita il 2/02/2022 perché mi sono comprata una sua creazione: la nuova lampada per il mio salotto.

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SUL MARE LUCCICA: QUATTRO ANNI DI BLOG

Sul mare luccica la  nostra barca
Tesa nel vento il suo nome è sentimento
Stella d’argento sono contento
Tu m’hai portato nella mano in cima al mondo
Stiamo a vedere quando uscirà
Con gli occhi cosa ci domanderà

Piccola Orchestra Avion Travel, Sentimento, 2000

Quattro anni di blog, tempo di bilanci.
Invece no, solo il piacere di avere un luogo che è un confessionale, che è sempre accogliente qualunque cosa accada fuori, che è frequentato oltre che da me da persone evidentemente affini.
È l’ultimo anniversario che festeggio, l’età ormai è adulta, l’esperienza è fatta, anche se l’esperienza non basta mai, il gusto della scrittura è intatto, spero che il mondo continui a ricordarsi di noi.

Grazie a tutti.

FIAT LUX

Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909-11

A questo punto io feci osservare che tutti i linguaggi sono pieni di immagini e di metafore la cui origine si va perdendo, insieme con l’arte cui sono state attinte…scomparsi i mulini a pietre sovrapposte, dette anche palmenti, in cui per secoli si era macinato il grano…ha perso ogni riferimento la frase “macinare” o “mangiare a quattro palmenti”, che tuttavia viene ancora meccanicamente ripetuta…

Primo Levi, Cromo, Il sistema periodico, 1975

Aveva ragione quell’amico mio, fotografo e artista, che una volta mi disse tu mi mandi una mail e io mi aspetto una lettera, con la busta e il francobollo, altrimenti si dovrebbe trovare un nome nuovo per questa cosa diversa.
Lo stesso per il film, che se diventa digitale, come fa a chiamarsi ancora così, chiedetelo alla gente del cinema, che cambiamenti ci sono stati, dall’impossibilità per la troupe di rivedere la sera tutti insieme il girato, che in inglese e in francese si chiama rushes, visto che il girato si rivede individualmente sul proprio computer, al fatto che prima la pellicola costava, quindi si stava attenti, e adesso si gira senza farci più caso.
Del resto stamattina, io, che evidentemente non è che sia del tutto sveglia, a un semaforo ho impiegato almeno dieci secondi a capire che cosa fosse quella specie di alfabeto Morse che si illuminava su una macchina che stava davanti a me.
Che doveva, evidentemente, girare a sinistra, e quella era una delle tante forme che ha assunto il lampeggiatore, che io mi ostino, come tanti, a chiamare freccia perché lampeggiatore mi fa strano.
E mi fa strano anche freccia, visto che qualunque lampeggiatore, tanto meno l’alfabeto Morse di stamattina, sembra tale.
Però:  «(freccia indica anche) il dispositivo (propriam. fdi direzione) che negli autoveicoli si alzava manualmente a destra o a sinistra per segnalare il cambio di direzione di marcia, ora sostituito da apparati luminosi lampeggiatori».
Insomma, nelle prime automobili, la freccia c’era davvero.
Aggiungo che, in tutto questo lampeggiare, al semaforo successivo, dove avevo una macchina davanti a me che era come la mia, mi sono intenerita sull’indicatore di direzione: limpido, chiaro, funzionale.

Sembrava proprio quello che era.

Ma è giunto il momento di parlare di qualcosa che non è più.
Ovvero della lampada che è scomparsa dalla lampada.

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QUEL CHE RESTA DI MATRIX

Trinity & Neo, Matrix, 1999

Ieri mi è andata di traverso la prima parte della giornata.
(E non vi sto a dire della seconda).
Prima parte. Appuntamento delle 13:00 saltato, ma saltato lì sul posto, non mezz’ora prima, dunque, un viaggio attraverso Roma senza scopo.
Da là, in centro per tre servizi, ovvero, commissioni.
Due andate in porto, della terza dovremo parlare perché sto cercando una lampada da terra per il mio salotto e da Flos a via del Babuino ho capito che ormai le lampade sono quasi tutte a LED integrati.
Ossia, se prima ti si fulminava la lampadina e tu la sostituivi, adesso la lampadina non esiste più, c’è una fonte di luce che non si capisce dove sta e se essa si rompe, tu la lampada, tutta, la devi rimandare in azienda.

Jasper Morrison, Superloon, 2015

E qui voglio capire come fai, per esempio, la Superloon di Jasper Morrison, che è uno che mi sta pure simpatico, è alta cm 1,97,  ha il disco diffusore con un diametro di cm 75 e pesa al netto kg 12.
E nemmeno mi piace.
E poi non mi voglio mettere in casa un oggetto suscettibile di creare una crisi istituzionale, voglio una lampada da terra, non una minaccia perenne.

Rientro, intercetto il corriere che aveva già provato a consegnarmi il vino, gli dico che se sta ancora dalle mie parti, me lo porto su da sola.
Finalmente ci vediamo dopo mesi di contatti.
È esattamente come me l’ero immaginato dalla voce, un ragazzetto con una dolce disponibilità nei confronti del mondo.
Casa.
Mi lavo le mani con l’acqua bollente.
Alle ore 16:00, a parte il vino, ho quasi buttato la giornata.
Quasi, perché con un po’ di organizzazione, riesco a recuperarla.
Decido che ho tutto il tempo per un film, che avevo messo in calendario.

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ANTOLOGIA

Objet trouvé

J’ai tant rêvé de toi que tu perds ta réalité…

(Ho sognato talmente di te che tu perdi la tua realtà)

Robert Desnos, Corps et Biens, 1922-1930

(Il  caso del ginnasta intellettuale). Non so se sia più brutta Villa Lazzaroni o Villa Lais.
Nell’altra casa avevo vicino Villa Torlonia, tutta un’altra musica.
Anche se a me francamente di andare a passeggiare in villa.
Mi capita di attraversare le prime due perché ci passo in mezzo quando ho una destinazione.
Passo da Villa Lais in bicicletta, quando vado al Mandrione.
Passo da Villa Lazzaroni quando vado dal mio parrucchiere, che sta esattamente dall’altra parte. Prima aveva il negozio nella mia medesima strada, adesso è un po’ più lontano.
Inutile dire che lo raggiungerei in capo al mondo.
Nella villa c’è una pista di pattinaggio, dove capita di vedere una lezione di ginnastica all’aperto in cui l’istruttore insegna agli istruendi a toccare con la punta delle dita della mano la punta del piede.
Che, se non ci riesci, conviene che cambi istruttore.
Stamattina c’era una signora anziana con il carrello della spesa che stava fuori dalla pista e che poi se ne è andata, passandomi accanto.
E borbottando: «Redivivo ci sarai tu».
A me è venuto da ridere, perché evidentemente lui l’aveva apostrofata in questo modo e lei si era offesa, anche se secondo me redivivo è meglio di zombi, che poi ha il medesimo senso.
Allora ho detto alla signora: «Casomai non sa che significa», ma lei ha continuato a borbottare e ha detto che come non sapeva che significava: «Lui è uno molto colto».
Per la prima volta in vita mia avevo intravisto un istruttore di palestra che era pure un intellettuale.

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IL DÌ DI FESTA

Pamela Pascale, Rosellina alla rapa rossa ripiena di burrata affumicata

Uno, non lo guarderei nemmeno se facessimo naufragio noi due soli sull’isola delle barzellette con la palmetta.
Non oggi, ma da sempre.
Nel film indossa pure un abito non ho capito se in fustagno, giallino, ma non giallo come l’impermeabile di Dick Tracy, che è color zabaione, quel giallo là è fatto con le uova di una gallina anemica.

Dick

Dell’altro, un piripicchio che nel film ha pure i capelli lunghi, non ho mai capito del tutto il senso, un amico una volta mi maltrattò e mi disse ma come, non capisci, lui recita anche con le mani.
A parte che pure tutti gli italiani sono bravi in questo, il tipo parlava di un attore che aveva visto al cinema solo doppiato, per cui diceva castronerie, cioè parlava di uno che parlava con la voce di un altro.
Laddove noi tutti siamo la nostra voce.
Se ve lo dico io, che ho il dente che duole, potete crederci.
Figuriamoci se un attore non è la voce sua.
Tutti gli uomini del presidente è un brutto film, meglio, è un film inguardabile.

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