Danzatrici del Bolshoi

Succede.
E, quando succede, io dico a me stessa quello che direi e dico a un collega e a chiunque altro faccia il mio medesimo mestiere.
Lascia perdere, il momento sacro del nostro lavoro, anche se si tratta della punta dell’iceberg perché di lavoro, sotto, ce ne è tanto altro, è quando ci chiudiamo la porta dell’aula alle nostre spalle e lasciamo il mondo fuori.
Davanti a noi, i nostri studenti.
Fuori dalla porta, tutto il resto. E, talvolta, pure la gelosia professionale.

Brutta bestia, anche se comprensibile.
Sentimento molto umano di insufficienza, che si traduce in piccoli atti immondi, dispetti, chiacchiere fuori posto, un accerchiamento di cui si può pure sentire il fiato sul collo.
Niente, comunque, lo dico a me stessa e lo dico al collega con cui parlo, rispetto a quello che subiscono le danzatrici del Bolshoi o le atlete del pattinaggio artistico, talvolta, ma non raramente, azzoppate dalle rivali attraverso l’intervento di un mandatario che, semplicemente, rompe loro un ginocchio mediante un corpo contundente. Un atto grave, che, nel caso di un’atleta, diventa gravissimo, visto che le stronca la carriera.
Noi, almeno, non abbiamo mai subito aggressioni del genere.
Almeno, dico, finora.
Chiamiamolo un eccesso di zelo.

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