Wolfgang Tillmans, Love (Hands in Hair), 1989

L’estate passata, quando ancora non avevo il mio blog, produssi un divertissement dedicato al paragone fra gli uomini e alcuni tipi di pasta, poi recuperato qui.
Quest’anno vado oltre e ho dunque pensato di occuparmi di ulteriori tipi di uomo, ciascuno dei quali legato a una vacanza: avrete, dunque, notizie dell’uomo-mare; dell’uomo-bosco; dell’uomo-montagna; dell’uomo-viaggio e dell’uomo-metropoli,  quest’ultimo, ve lo dico subito, il mio prediletto.
Ma una città, direte voi, che vacanza è? Come, non avete ancora sentito parlare di quella cosa che si chiama staycation, che è comparsa sulla copertina della mia fantastica rivista inglese e che significa esattamente quello che significa. Tecnicamente: «a holiday spent in one’s home country rather than abroad, or one spent at home and involving day trips to local attractions».
E voi avrete anche capito che cosa intendo per  «local attractions».
E, in caso di dubbio, attendete il 6° episodio della mia personalissima serie e sarete soddisfatti.

Trovo gli uomini impegnativi. Tutti. Non sto dicendo troppo impegnativi, dico che sono sempre il contrario di quello che dovrebbe essere una vacanza. Infatti non mi sono stupita nemmeno un po’ quando ho visto il contrario di impegnativo: facile, leggero, rilassante, semplice.
E non penso che gli uomini siano una seccatura, per carità, però mi è spuntato un sorriso, in bilico fra l’amaro e il sarcastico, quando ho trovato il contrario di grana, fastidio, grattacapo, rogna, ovvero: «distrazione, divertimento, passatempo, piacere, svago»,  praticamente qualcosa che attiene al concetto francese di loisir e a quello inglese di leisure.
Da quello che si è capito finora, gli uomini, essendo tutti impegnativi, sono esattamente il contrario di una vacanza.

Il mondo si divide fra intelligenti e cretini, e gli uomini non si sottraggono a questa ripartizione. Le due categorie sono permeabili fra loro ma solo in un senso, un po’ come se quella cosa che si chiama ascensore sociale funzionasse solo verso il basso. Mi spiego: in vita mia ho visto tanta gente intelligente diventare cretina ma non ho mai visto un cretino diventare intelligente.
Intelligenti si nasce.
Come si nasce dotati di qualche talento, che so, una bella voce, il disegno, guidare bene la macchina, giocare a pallone, capire la matematica. Trovo questa cosa molto democratica, Fangio credo che non sia mai andato a scuola guida e il papà di Pelé non ha certo mai pensato di iscriverlo alla scuola calcio.
I motivi per cui una persona intelligente diventa cretina credo risiedano nella ferocia e nella durezza dell’esistenza, che non ti risparmia mai niente, ti impone di cogliere al volo le occasioni  e ti presenta continuamente il conto. L’intelligenza devi coltivarla, metterla alla prova, stimolarla.
Del resto la parabola evangelica dei talenti dice proprio questo, è punito il servo che ha sotterrato la sua moneta; sono premiati quelli che le monete le hanno fatte fruttare. «Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».
Insomma, piove sul bagnato. Tutto qui, semplice semplice.

Un uomo intelligente è particolarmente impegnativo. Certo, una bella testa è anche una bellissima avventura, io rimango incantata davanti a certe intelligenze (le intelligenze, fateci caso, sono tutte una diversa dall’altra), in particolare  trovo certi ragionamenti, certi percorsi mentali,  certe riflessioni ammalianti, rimango stregata, mi dico io non ci sarei mai arrivata, mi viene voglia di applaudire, clap clap, certe volte applaudo proprio, mi capita ogni tanto anche quando vedo parcheggi strepitosi, macchine messe a perpendicolo e poi infilate in uno spazio dove io non sarei stata capace di sistemare il carrello del supermercato, mi metto lì, osservo, poi applaudo. L’oggetto della mia ammirazione di solito ci si fa una gran risata, di solito sono uomini, anzi, non ho mai applaudito una donna, forse non ne ho mai vista una capace di una simile prodezza.
O forse non ci ho fatto caso.
Un uomo intelligente, dicevamo. Di solito, per forza di cose e pure perché è giusto, ha anche una professione impegnativa, quindi l’impegno è elevato al quadrato.
Non parlo, perché manco ci penso, di intellettuali, artisti, scrittori, poeti, categorie che frequento solo professionalmente, impegno che mi basta e mi avanza. Come diceva una mia collega, anche lei storico dell’arte, dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, grandissima signora e splendida donna, degli artisti, gli unici frequentabili sono quelli morti.
Parlo, che so, di uomini alle prese con cose giuridiche, scientifiche, economiche, chiamiamoli normali, che si portano il lavoro dappertutto, visto che un uomo è il suo lavoro. Tutti ingombri, impicci, intralci, ostacoli, e continuamente, perché in vacanza quello mica è che smette di pensare ai fatti suoi, e perché dovrebbe, ci vive dentro e questa è una cosa che trovo, fra l’altro, bellissima (e che faccio pure io).
È che per questi uomini ci vuole il riposo del guerriero, sapete quella situazione nell’Iliade,  che ti fanno studiare a memoria in prima liceo, pure con la metrica, con Achille, uno che più guerriero non si può, che si ritira nella tenda per fare una pausa.
Secondo voi è frequentabile? Non credo proprio, figuriamoci quanto è nervoso, quello già ha un caratteraccio.

Achille

Ora vi faccio vedere Achille, pure con le treccette, a me gli uomini con le treccette stanno molto simpatici, chissà come è una vacanza con un eroe di portata omerica, casomai quello, sfinito dalla guerra, se ne sta tutto il giorno con la coppa di vino in mano a vedere la televisione, una donna immagina chissà quale fuoco e chissà quali fiamme e quello dorme e sogna di rimettersi in testa l’elmo.
Oppure fa come fanno i calciatori in ritiro, una volta ho chiesto a uno di che cosa parlavano, solo di calcio, mi ha risposto, dunque e casomai, il guerriero che si riposa parla solo di guerra.
Pensa tu che strazio.
E poi, per fare il riposo del guerriero, una donna deve esserci portata, mica è che si improvvisa.
E poi, diciamocelo, dipende dal guerriero.

Con l’uomo cretino l’impegno è di segno radicalmente diverso. Non è che sia di meno, è proprio tutt’altro.
Per capire qual è la relazione che si intrattiene con un cretino, bisogna chiedere agli uomini, che sono storicamente degli esperti, visto che frequentano donne stupide disinvoltamente da sempre: se uno domanda che ci trovi, quello ti risponde che c’è parecchio gusto a sentirsi intelligenti.
Ora, siccome questo è un blog che, almeno nelle intenzioni, vola alto, io non faccio cenno a gente che conosco, l’amico, il collega, il conoscente, no, vado sul letterario e prendo una delle coppie peggio assortite di ogni tempo: il Principe di Salina e sua moglie.
Che forse, però e lo ammetto, sono una coppia assortita meravigliosamente, lui, «immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava (nelle case abitate dai comuni mortali) il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita potevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio».

Luchino Visconti, Il Gattopardo, 1963

Lei, lasciamo perdere.
Oppure no, perché fra don Fabrizio e Maria Stella c’è una logica, una connivenza, lei probabilmente apprezza le dita di lui, che « sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel carezzare e maneggiare».
Perbacco.
Come si sarà capito, sto rileggendo Il Gattopardo, il romanzo perfetto con questo caldo, pieno di colori, di sudore, di odori, così intensamente meridionale da valere una vacanza da quelle parti.
Buon per me, che sono un’adepta della staycation.
Ma torniamo all’uomo cretino.
Che è un’opportunità fantastica per fare un’esperienza intensamente sociologica senza frequentare per niente la sociologia.
Per esempio, di botto e facilmente, uno viene a sapere quali sono le cose che contano nella vita.
Nell’ordine: un televisore con schermo gigante; la macchina grossa; l’aria condizionata in camera da letto.
Rendiamoci conto, per una come me, che non guarda la televisione e che teme l’aria condizionata per via delle corde vocali e della pancia, un’apertura senza possibilità di paragoni sul mondo.
Ammetto però che la macchina grossa mi piace moltissimo, è un retaggio della mia prima giovinezza, quando dicevo fra me e me voglio provare tutte le macchine. Che faccio, devo scusarmi?
Non ci penso per niente.
L’uomo cretino è, dunque, un’opportunità irrinunciabile.
Ha il culto del weekend e della vacanza, se non esce la sera, si sente male, ti chiede di continuo che cosa hai fatto ieri quando hai finito di lavorare, è devoto alla spa e pratica la fede del riposo coatto.
Insomma, è lo spettacolo perfetto per il mio progetto dell’uomo-vacanza.
Infatti, appena ne ho parlato in giro, si è formato un piccolo drappello che vuole rivaleggiare, senza sapere, diciamocelo, a che cosa va incontro, con i miei miti e con gli uomini con i quali mi faccio dei film: Corto Maltese; l’Amante di Lady Chatterley; lo yeti di Reinhold Messner.
E poi chissà.
Se avrete la bontà di leggermi, incontrerete questi uomini e, ammesso che lo sappia io, lo saprete anche voi.

Corto Maltese, presto su queste pagine