UNA PASTA D’UOMO

Sono italiana fino all’osso, quindi, insieme a Raffaello e a qualche altro, apprezzo parecchio la pastasciutta.
L’altro giorno stavo in uno dei 10 supermercati di cui sono cliente. (È incredibile come sia impossibile trovare in uno solo tutto quello che ti serve), e stavo per la precisione nel reparto paste.
Allibita di fronte alla varietà che avevo davanti agli occhi, confezioni di tutti i tipi e di tutti i generi, anche e soprattutto strambi, insomma, delle perversioni alimentari di cui mi chiedevo chi volesse ritrovarsele nel piatto.
Mentre allibivo, visto che mi piace rendermi utile, ho pensato a un piccolo vademecum per signore e signorine, per carità, non un manuale di cucina, non mi permetterei mai, ma qualcosa che possa aiutarle in quella complessa e a volte impossibile impresa che è la comprensione del sesso opposto (se si chiama opposto, qualche motivo deve pur esserci).
Insomma, Mesdames et Mesdemoiselles, ora vi spiego gli uomini. Con l’aiuto della pasta.
Dunque, statemi a sentire.

L’Uomo-farfalle: qui la forma corrisponde per una volta alla sostanza. Trattasi di una pasta intrattabile, carina a vedersi, per carità, ludica, simpatica, divertente, con qualche tocco di infanzia dentro, però destinata, in cottura, al fallimento: infatti non c’è modo di farla venire al dente, se è bello duretto il centro, le ali sono molli e scotte. Se date un minuto in meno di cottura, il centro è crudo e vi conviene buttare il piatto al secchio. Messe in tavola, vi marchierebbero a fuoco come cuoca pessima. L’uomo corrispondente alla categoria di questa pasta è tale e quale a essa: leggero, certamente, ma, come tendenza, vanitoso, giocherellone, si porta dietro brandelli di un’età lontana che ancora gli si legge negli occhi.
Ma è maturato in modo asimmetrico, è infantile sempre nel momento sbagliato, in certi casi è un vecchio ipocondriaco e dolente, non regge nessun tipo di relazione, un po’ come le farfalle non reggono la cottura. Quindi, passiamo ad altro.

L’Uomo-bucatini: la madre di un mio compagno di università, furbissima, somministrava al marito solo bucatini. Non voleva che ingrassasse e mi confessava che così teneva sotto controllo il peso del coniuge. Piatto bello pieno, molta forma e poca sostanza. Peccato che i bucatini siano immangiabili: producono rumori indecenti, schizzano, scappano da tutte le parti. A Roma c’è una locuzione magnifica che ben si attaglia all’individuo maschio che metterei volentieri in questa categoria: ‘grosso e frescone’. Questo maschio qui è facilmente imbarazzante, poco dotato di grazia, incapace di muoversi nello spazio. Con lui si rischia parecchio: il soffocamento, la figura inelegante al caffè, lo sgangheramento del sedile dell’auto. Casomai, prima di impegnarvi con lui, vedete se ci sono possibilità di educazione e di miglioramento, anche se la goffaggine, ahimè, è connaturata in lui peggio di un vizio contratto alla nascita.

L’Uomo-paccheri (o schiaffoni): un tipo di pasta inguardabile, grossa, schiacciata, viscida. Qui devo scomodare Flaubert, che quando descrive il dottor Bovary scrive, più o meno, che la sua conversazione era piatta come un marciapiedi. E così tutto il resto: monotono come un’autostrada deserta, mai una sorpresa, un guizzo, una nota squillante, ti credo che Madame a un certo punto non ne può più e si inguaia. Che poi ne sia uscito uno dei più bei romanzi su una donna che si annoia, questo è un altro discorso. Voi pensate ai messaggi che vi manda, ‘Posso chiamarti, se ho il permesso?’, pensate a come si interpreta, posato, riflessivo, attento, pensate a come vi comunica che forse, se voi siete d’accordo, vorrebbe vedervi. Se cercate l’avventura, il brivido, la varietà delle emozioni, e con gli uomini mi sembra il minimo da cercare, l’Uomo-paccheri, o schiaffoni, lasciatelo perdere.

L’Uomo-tagliatelle: rigorosamente fatta in casa, detta anche fettuccine a seconda della regione e dotata di diverse grandezze, questa pasta diventa sempre più difficile da trovare, quindi, ci interessa e ci sta a cuore. Non può essere sostituita con niente, ovvero non pensate di trovarla al supermercato di produzione industriale, trattasi di una cosa diversa che diversamente dovrebbe chiamarsi. L’uomo afferente è generalmente di Valmontone, seppure veleggia verso la quarantina abita con i genitori perché al paese si usa così e, visto che al paese ci si annoia, frequenta coscientemente la palestra. Traducendo: ha un po’ di denaro in tasca, quindi una bella macchina, cosa che non guasta, e pure un fisico atletico. Tutte cose, ammettiamolo, interessanti. Si definisce genuino, voi direste ruspante, non si droga e non beve (peccato), è anche pronto nelle risposte, se gli date del bifolco, lui vi risponde ‘Io Tarzan, tu Jane’; se lo identificate con uno zappatore, ribatte che lui non ha mai zappato in vita sua e che ha pure un diploma di ragioniere, e conclude il confronto con un siderante ‘Facciamo la Bella e la Bestia’. Vi manda messaggi più o meno così ‘Resta confermato che fare conoscenza con me non è per giocare a tennis’, se non fosse per l’accento, che lo rende non esportabile, sarebbe pure divertente. Oddio, preso in dosi omeopatiche, come pausa rispetto agli intellettuali intorcinati, casomai qualche volta, la domenica, proprio come e quando un bel piatto di fettuccine con sopra una montagna di sugo fa tanto casa, paese, accoglienza, rifugio, ritorno alle origini, conforto.

L’Uomo-penne: qui devo dare retta alla mia amica e collega Lucia che, secondo me con intenti non del tutto angelici, suggeriva che di uomini-penne ce ne erano parecchi lì dove lavoriamo noi, anzi, alcuni afferivano più adeguatamente alla categoria delle mezze penne. Praticamente siamo alle prese con l’opposto (ma non il complementare) dell’uomo-tagliatelle. L’uomo-penne, talvolta mezze, è un intellettuale che ci tiene che si sappia, nel senso che se è intellettuale lui, è probabile che una donna lo sia, regolarmente, un pochino meno. Lui è quello intelligente, lui è brillante, lui è bravo. Con lui bisogna andare con i piedi di piombo, ruberà sempre la vedette nella coppia, sarà lui quello che governerà la conversazione, che farà la figura di quello cui vengono le idee, in una parola, di colui che pensa. Pure per gli altri. L’unica possibilità per una donna di avere uno straccio di relazione con uno così è di dargli sempre ragione. Mia madre diceva ‘tu digli di sì, poi fa’ come ti pare’, consiglio saggio e utilissimo, all’applicazione del quale si deve il buon funzionamento del mondo, durato fino a qualche decade fa. Poi è successo che le donne sono uscite di senno, hanno voluto dire la loro, smetterla di dominare rimanendo in ombra le vicende private e pure quelle pubbliche. Insomma, l’ambizione femminile è uscita allo scoperto. Brutta faccenda. Il risultato è quello che si vede in giro: uomini-penne che si accompagnano, tutti contenti di non essere contraddetti, a donne con pochi o niente argomenti, se non proprio analfabete. Una volta chiesi a un noto e raffinato intellettuale che frequentava una ragazzetta come andava la conversazione. E lui, senza fare una piega, mi rispose, vi assicuro, testuali parole: ‘Benissimo. Parlo solo io’. Al di là della solitudine di colui che non riceve risposta, dell’isolamento, non sempre eroico, di chi sta in una posizione di avanguardia, ammesso che sia questo il caso, resta la tristezza dello scambio interrotto, del discorrere da soli come i matti, del ritrovarsi la sera prima di addormentarsi o la mattina facendosi la barba e chiedersi se per caso non ci sia qualcosa che gira storto. L’uomo-penne, ditemi voi se vale la pena di frequentarlo.

L’Uomo-cazzetti. Sono una donna astratta ed elegante. Quindi passo alla pasta e all’uomo successivi.

L’Uomo-radiatori. Li ho visti stamattina al supermercato, al reparto della pasta, quindi: esistono. Di forma eloquente, sono abbinati a uomini monomaniaci, appassionati di motori e di Formula 1. È interessante verificare (fatelo) che spesso chi si occupa di ruote, in certi casi, solo di due, non apprezza il calcio, sport virile per antonomasia. E già questo è un segno. Come tutti i fissati che hanno un solo argomento, l’uomo-radiatori è un nichilista, quindi è infrequentabile, pensa che guidare una macchina potente sia più eccitante che fare l’amore con una donna, uno se lo immagina bollente e invece, tale e quale al radiatore dell’auto, il suo ruolo nell’incontro è quello di produrre raffreddamento. Voi vi surriscaldate, e quello vi rimanda alla casella di partenza, la testa occupata da altro. Se proprio volete fare l’esperienza dell’appassionato di motori, prendetevi un bel meccanico: gagliardo, atletico, pragmatico, galante, sempre pronto a darvi una mano in caso di bisogno (il mio meccanico è generosissimo, tale e quale al mio carrozziere), la sera basterà dargli una ripulita e lo avrete, nel modo giusto, tutto per voi. E, a pensarci bene, tutti gli uomini la sera sono igienicamente incerti, anche gli avvocati, i medici, gli esperti di comunicazione e i commercianti. A questo punto conviene fare il salto e prendersi uno che lo sporco lo conosce a fondo perché nel grasso (del motore) ci affonda le mani, che è un po’ come affondare il cuore nel vortice caotico e vitale dell’esistenza.

L’Uomo-cavatappi. Pasta intorcinata per definizione, detta pure cellentani, amori, spirali, tortiglioni, o fusilli rigati. Ora, sugli ‘amori’ avrei qualche dubbio. Elicoidale, quindi capace di attirare ogni sugo vogliate attribuirle. Ma, come tutte le cose fatte a vortice, capace anche di ingoiarvi e di portarvi chissà dove, lo dice il nome medesimo. Un avvertimento. L’uomo afferente, a un certo punto, decide di occuparsi di vino. Già era bravino, nel senso che sapeva maneggiare una bottiglia e che vi portava in omaggio etichette allusive a cose vostre. Poi, però. Poi, però, esagera, entra troppo nella parte, va in una sola e assoluta direzione; l’unica cosa che vi chiede via sdutto messaggio su telefonino è che cosa avete bevuto stasera; si compra una cantinetta refrigerata che mette nella cucina; si inalbera se, invece di ‘calice’, qualcuno dice ‘bicchiere’; si definisce ‘enofighetto’, ignaro della Treccani, che vorrebbe una sana ‘c’ al posto della milanesissima ‘g’; va in vacanza in cantina; affoga in un vocabolario in cui trovano patria solo termini come Armonico, Corpo (mai quello vostro), Corto, Persistente, Rotondo; parla di un vino ‘concavo’ e di uno ‘convesso’; oppure ‘coriaceo’, ‘corroborante’, ‘corto’ e ‘cotto’; vive di assaggio, ovvero di ‘tasting’; un vino ‘femminile’ (cioè un ‘vino lieve, poco ricco in estratti, delicato, pulito, etereo’) a un certo punto, inevitabilmente, è più interessante di una donna. Insomma, ecco un altro monomaniaco, cioè un altro nichilista. Che da enologo passa a essere enomane, e poi, senza manco accorgersene, enopate; il passo è brevissimo. Con la morte nel cuore, cercando di allontanare il ricordo delle belle e ignare bevute che vi siete fatte con lui, fategli ciao ciao con la mano e, brindando alla sua salute, passate oltre.

L’Uomo-pastina in brodo: i nomi sono bellissimi, stelline, quadratini, grattini, tempestine, anellini, quadrucci, conchigliette, lumachine, ditalini, farfalline (pure qui!), capelli d’angelo. D’accordo, questa pasta fa un po’ malato, con due linee di febbre, sera d’inverno con un tocco di stracchino da sciogliere nel piatto. Ma sta proprio qui, il fascino. L’uomo afferente è giovanissimo. E non venitemi a dire che non si fa e che non si può. Lolita nel romanzo ha 12 anni e conosco almeno un milione e mezzo di uomini che si metterebbero volentieri al posto di Humbert Humbert, le donne, no, sempre ad autoflagellarsi e a blaterare sul lessico invece di cercare parità alternative. Voi guardate solo il vespaio che ha suscitato la vita privata di Monsieur le Président e ciò semplicemente perché da ragazzo si è innamorato della sua professoressa, come se questa cosa fosse stramba e non accadesse, invece, di continuo. Ma non bisogna parlarne, anzi, sono state soprattutto le donne a insorgere, potrebbe essere suo figlio. Mai che il sospetto dell’incesto passasse per l’anticamera del cervello di un maschio. Dunque, do a queste gentili interlocutrici che poco frequentano, e sto parlando di cinema, i deliziosi adolescenti di Gus van Sant e di Larry Clark, un po’ di compiti per il doposcuola: rileggete Chéri di Colette e fatevi due conti. Questo ragazzo ‘coi capelli dai riflessi blu come le penne dei merli’, insomma, qualcosa di simile ai capelli d’angelo, ha 17 anni. Ed è protervo e irresistibile, e il tempo passa in fretta e ormai la maggiore età è fissata a 18 anni, nemmeno bisogna lasciare passare i 4 anni che avrebbero portato Chéri nel 1920, anno di pubblicazione del romanzo, all’età adulta. E poi un ‘en cas’, soprattutto di questo genere, è sempre simpaticamente bene avercelo da parte.

L’Uomo-spaghetti: finalmente ci siamo. La pasta perfetta, ma deve essere quella, non una cugina che si chiama spaghettini, spaghettoni o spaghetti scanalati (a chi, a chi è venuto in mente di produrre in una nota maison che fu insigne ma che sospetto sia stata acquistata e condotta, quindi, alla depravazione, una cosa del genere?). Gli spaghetti sono solo quelli, autentici, gestibili, buoni anche tutti i giorni, reggono magnificamente la cottura, che, come mi hanno insegnato a Napoli, io accorcio di due minuti con lo scopo di averli che ballano nel piatto, apparentemente semplici, come le cose più belle, ricordiamoci qui che la semplicità sta sempre alla fine e mai all’inizio di un processo di trasformazione, italiani a tutto tondo e super partes, insomma, non come la pasta regionale, pici, orecchiette, bigoli, cavatelli, pizzoccheri, trofie, ma per carità, penso sempre di non essere capace a cucinarli correttamente, casomai possono essere sfiziosi e appetibili lì sul posto, nel corso di una vacanza estiva in odore di leggerezza, dove è bene gustare tutti i prodotti locali per farsi un’idea più precisa del posto. Gli spaghetti, non la lasagna, quella cosa stratificata e pesante, ogni porzione ha 3.000 calorie, non si riconoscono più gli ingredienti, dentro chissà che cosa ci hanno messo. Gli spaghetti tout court, e portati alla morte loro o, meglio, alla loro gloria, con pomodoro e basilico e siano allontanati dalla tavola e proscritti tutti coloro che osano spargerci sopra il parmigiano. E l’Uomo-spaghetti viene di conseguenza: concreto, adulto nel senso più autentico, ovvero esperto e responsabile, indossa solo colori virili e si procura la sua fornitura di calzini in posti seri e di tradizione; non vive attaccato al telefono e guarda l’orologio solo per sapere l’ora e non per controllare le mail; sa prendere e anche lasciare le donne; è ambizioso ma non paranoico; ha cura di sé senza narcisismo; gli piace il calcio e parcheggia bene la macchina; ‘…non si scamicia in campagna, non impazza sulle spiagge, balla ma non alla perfezione e mai la samba’ (cito da un manuale che è per me una specie di bibbia, anche per quanto riguarda questo argomento); sa maneggiare una bottiglia; ha una sua osteria di fiducia dove gli riservano il tavolo migliore, quello vicino alla cucina; se ha altre relazioni, non le racconta e, soprattutto, non le frequenta mentalmente nelle ore che trascorre con voi; quando lui entra nella vostra vita, non solo lo riconoscete al volo, ma siete obbligate a  e capaci di togliervi dai piedi tutti gli altri.

Proprio come gli spaghetti, consumati a casa o ordinati al ristorante, l’uomo che afferisce a questo tipo di pasta non ha confronti, non vi rimane sullo stomaco perché, per sua natura, è facilmente digeribile, richiede attenzione nella cottura ma in modo lineare e senza diverticoli mentali che vi obbligano a controllare mille volte che cosa bolle in pentola, non annoia mai, perché è noioso ciò che è stravagante, strampalato, balzano, eccentrico, proprio come certi tipi di pasta.
Non lui.

E chiudo qui il mio piccolo e minimale vademecum, data la variegazione dell’argomento, forzatamente incompleto, ma, mi auguro, gradevole e nutriente, e anche utile, perché no, mangiamo tutti e tutti abbiamo bisogno di qualche suggerimento per trovare una strada nel ginepraio del menu e in quello dei sentimenti.

4 Comments

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  1. Caterina Lorenti

    4 febbraio 2018 — 21:37

    Esilarante e geniale.
    Letto una volta non si può più fare a meno di abbinare uomini conosciuti e pasta.
    Aspettiamo con ansia il seguito!

    • Capisco, sono quasi imbarazzata anch’io, oggi mi ha mandato un messaggio il modello dell’Uomo-cavatappi, non sembrava offeso ma mi sono sentita stanata e scoperta, direi di comportarci come nostro solito: astratte, eleganti, facciamo come se cadessimo un po’ dalle nuvole, pensando nella nostra mente a tutto il resto che offre il supermercato, ieri l’altro ho visto i ‘lumaconi’ e i ‘conchiglioni’ e, credimi, Caterina carissima, non trovo il coraggio nemmeno per pensarli. Grazie e un saluto dei nostri, affettuosissimo

  2. Caterina Lorenti

    4 febbraio 2018 — 22:27

    Hai ragione ma non mi preoccuperei troppo. Sono convinta che leggendoti tutti gli uomini, anche cavatappi, lumaconi e conchiglioni si credano spaghetti! Beati loro.
    A prestissimo e grazie, mi fai sempre tornare il buonumore

    • Ahahahah, non riesco, al momento, a identificare un lumacone ma ora mi concentro e figurati se non esce fuori, grazie ancora, Caterina carissima e alla prossima

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