ALCUNE DICHIARAZIONI D’AMORE

Donne, soprattutto e inevitabilmente, servono modelli, certe volte spicci, da consumo rapido, giusto per passare la notte, altre, e sono le volte più importanti, di respiro ampio e vedute larghe, insomma, parliamo di progetti a lungo corso, dunque, prendo spunto dalla Treccani, gente con la patente per comandare navi che fanno lunghi viaggi, tradotto nelle parole dell’esistenza, persone con esperienza e profondità di azione e di campo, che diano una mano nei momenti cruciali, quelli delle decisioni e dei cambiamenti.
Uomini, pochissimi, trovo certamente gli uomini ispiranti, ma per altri versi, difficile guardare alla loro vita pensando anch’io, troppe le differenze, diverso il ritmo, divergente la cultura, non una ma mille volte ho provato la sensazione che qualcuno di loro sarebbe stato ben contento di fornirmi meno una mano e più un inciampo, ma forse ho inteso male io, certe volte non capisco le intenzioni.

Mi ispirano donne diverse fra loro, anche profondamente: diverse per età, dalle ‘lolitas gagnantes’ citate una volta in un’intervista da una mangaka che apprezzo, a vecchie che le hanno viste e fatte tutte, e che sono sopravvissute, soprattutto a se stesse; donne diverse per educazione, mestiere, letteratura, musica, cinema, certe atlete con le quali a prima vista non ho niente da spartire, alcune si occupano di affari, fanno vestiti, montano tutte le sere sulle tavole di un palcoscenico in un teatro, creano profumi e costruiscono destini, scrivono di sé e degli altri, preferiscono esistere e si scocciano di vivere soltanto.
Sempre e solamente donne strutturate intellettualmente, anche da qui non si scappa, e, qualunque sia la loro età, adulte, non sopporto le donne bambina, le civette, le principesse di papà, le gne gne, le sceme col botto.

Alcune città, ma pochissime, ovvero quelle che frequento, sono fra coloro che si sono stufati di viaggiare, che non vogliono più andare da nessuna parte, che si infastidiscono per i controlli in aeroporto e per i faretti fulminati in albergo, per non parlare della fatica di fare il bagaglio.
Vivo a Roma, dove sono nata, e continuo ad amarla nonostante i tempi non aiutino, mi strugge la vista dei Fori, mi commuovono alcuni tramonti, certe volte me ne vado in giro e penso Roma mia, quanto sei bella e quanto è bello essere storico dell’arte, riconoscere l’età dei monumenti, sapere che tesori custodiscono le chiese, dove stanno le opere importanti, andare a dare un’occhiata mentre tutti fanno altro.
Mi piace fino allo strazio Napoli, io, lì, insegno, ovvero a Napoli c’è un pezzo importante e fondante della mia professione.
Napoli è la città al mondo che più mi dà allegria, sul treno, a metà percorso, mi invade il buon umore, metto piede a terra in uno stato d’animo di gioia, sono accolta con una gentilezza che ogni volta mi stupisce; al rientro, medesimo percorso, ma al contrario, a metà strada tornano a invadermi ubbie e paturnie, scendo dal treno e mi intristisco, l’indifferenza della gente della Capitale riprende a ferirmi. Napoli come terapia, durante le vacanze ho nostalgia, certe volte mi capita di prendere un Frecciarossa con una scusa per guardare il mondo da un altro punto di vista.
Amo profondamente Parigi, è la mia città di elezione, ci vado appena posso, ho i miei alberghi, i miei negozi, i miei itinerari, ci sono stata anche in giorni sensibili, Natale, Ferragosto, lì è come se la vita fluisse di continuo, mica è come da noi, dove tutto si blocca. Nemmeno cito i musei, le case degli artisti, i ristoranti e il vino, quella che loro chiamano art de vivre e che significa, in una parola, la capacità di stare al mondo. Secondo me, stare male o morire a Parigi ha un’altra valenza rispetto a come è stare male o morire da noi, più ampio il cielo, più numerose le cose da fare, più dinamico il lavoro, più opportunità nella professione, più aperta la gente al nuovo e ai cambiamenti. Monter à Paris, come dicono loro, salire a Parigi, anche se scendi, o vai a sinistra, oppure se procedi verso destra, è per me sempre un sentimento di avventura e di festa.
Ho amato molto anche Londra, la sua durezza, l’eccentricità che per me tiene sempre il ruolo di esotico, le prese elettriche, la guida a sinistra, i vagoni della metropolitana, la cura dei fiori, le favole e il regime monarchico, non ci vado da quando hanno fatto scempio del mio albergo storico di Kensington, il primo in città ad avere l’ascensore, con il parquet a terra sotto la moquette e i rubinetti divisi, hot e cold water, i vetri piombati, lo scalone della hall, le stanze da bagno piastrellate di bianco, le lampadine a incandescenza. Hanno buttato giù tutto, installato faretti, fatto scempio della loro storia e quando mi sono lamentata, una pur deliziosa ragazza mi ha detto che altri clienti si lamentavano pure loro, ma altrimenti, il parquet scricchiolava ed era ora di mettere il miscelatore per la doccia. I clienti, si sa, sono dei selvaggi. La sola idea di trovarmi un’altra sistemazione da viaggio mi fa passare la voglia di Londra ogni volta che mi viene, quella era la mia base perfetta, prendevo pure la Piccadilly Line da Heathrow e in 40 minuti stavo in camera, welcome back, mi dicevano, il cielo era grigio piombo, il fioraio mi aveva già confezionato un unico fiore da mettere nella mezza bottiglia di acqua minerale, sotto l’Arcade il supermercato mi ha fornito per anni spunti vivacissimi sulla vita metropolitana, confezioni di asparagi da 10 pezzi, carote pulite e sistemate in vaschetta solo da mettere sulla tavola da uno rientrando, sushi ottimo con consegne giornaliere, monoporzioni di tutto, niente famiglie numerose da quelle parti, ho fatto più di una cena con il loro pollo al limone, il vino australiano ghiacciato, un cheddar stagionato e il budino di riso. Sbirciare nella vita dei londinesi era come stare al cinema in modo perenne, ma tu guarda come vivono questi.

Mi ispirano alcuni personaggi dell’Opera: Mimì, una specie di grisette, quella che vive sola soletta nella sua ‘cameretta che guarda i tetti e il cielo’ e ha una rosa sul davanzale; Butterfly, irremovibile nel credere che quel fil di fumo le riporterà l’amore andato a male; Tancredi, la fierezza fattasi guerriero (‘Trema’, ‘Tremar Tancredi?’), ruolo en travesti, lo ricordo, quindi siamo alle prese con un’altra donna; Charlotte, che ha infiammato Werther ed è stata costretta dagli eventi a non dirlo neanche a se stessa e che, nel momento finale, finalmente pure lei si infiamma: ‘Que ton âme en mon âme éperdument se fonde!’; la Marguerite di Faust, che sarà pure vittima di un filtro stregato, ma che ah, quanto esprime bene quella cosa che si chiama passione: ‘Ô caresses de flamme!’

Mi ispirano alcuni mestieri che non sono miei, soprattutto quelli manuali e di poco concetto, credo che sia bellissimo fare il falegname, costruire oggetti con le proprie mani e disporre di un’attrezzatura al cui tatto e al cui suono si capisce che la giornata inizia.
Mi piacerebbe per un mese fare la cassiera al supermercato, una cosa alla Rohmer, dire buongiorno, contare i soldi, ascoltare le stupidaggini dei clienti, ogni cassiera ha il suo parco adoratori, anch’io ne faccio parte, presto scriverò un Elogio della cassiera, protagoniste: Stefania della via Appia, con una voce tutta morbida, alla quale propongo di continuo di aprire una hot line, invece di scandire ‘quattordici euro e venti centesimi’, sussurrare qualcosa di più invogliante, lei ci ride e una volta mi ha detto e se telefona il mio compagno, niente paura, lo passa a me e ci penso io; Vincenza, alla Stazione Termini, che abita ad Anzio, viaggia come me, anche se diversamente, ed è stata preoccupata per mesi per via di un’otite; la bionda ucraina a via Nocera Umbra, svelta da fare paura, deve aver fatto prima di arrivare qui una vita terribile e adesso guarda avanti; e poi Alessia, Antonia, Silvia, e via aprendo e chiudendo il cassetto con i soldi, sono cliente di almeno dieci supermercati e in tutti ho i miei punti di riferimento.
Vorrei avere il talento per fare il cuoco, proprio lo chef con la casacca immacolata e la toque in testa, e stare al comando di una brigata che ubbidirebbe come un plotoncino di soldati, del resto la cucina è organizzata militarmente, rilasciare interviste, schizzare con disinvoltura la salsa sul piatto come tocco finale, casomai avere anche il coltello appeso alla cintura e mettere fine alla mia carriera terrena a causa di un ritardo nella fornitura del pesce, come fece François Vatel il 23 aprile del 1671, lui sì, che aveva il senso dell’onore e che sapeva creare, cercando la bellezza nell’incontro fra l’armonia e il contrasto, ditemi voi se non era nel giusto.
Credo che sia bello dirigere un’orchestra, guarire i malati, coltivare o vendere fiori, disegnare abiti per gli attori di un film, andare a cercare piatti e bicchieri vintage e affittarli per cene in tête-à-tête, per matrimoni o per incontri d’affari (attività che ho scoperto di recente e che mi è sembrata geniale).
Quando rinasco e posso scegliere, voglio occuparmi di cinema o di vino, insomma, ho già progetti ben chiari in testa.

E poi mi ispira la mia professione, mai due giorni di seguito uguali, prima il contatto con gli artisti, poi la narrazione di loro a chi mi sta davanti, lo studio, la sensazione fissa di stare a guardare dentro un pozzo di cui non vedo il fondo che per anni mi ha inquietata e che ora sembra invadermi di ricchezza, il cercare di capire ciò che per definizione è incomprensibile, il ricominciare sempre daccapo come se sempre fosse il primo approccio, la soddisfazione della lezione venuta bene e la mortificazione di quella uscita storta, succede pure questo, l’impressione fisica di volare con due ali, una me la dà quello che ho preparato, l’altra coloro che mi stanno davanti.
E a un certo punto si fondono le intenzioni e il gusto di stare lì insieme e ci si innalza, si vola alto, lasciando a terra, come inutile zavorra, tutto quello che ci appesantisce, preoccupazioni, dolori, fallimenti, delusioni, malattie, lutti, abbandoni, perdite.

Quando lavoro mi dimentico di tutto il resto, quando esercito la mia professione è come se non esistesse altro, quando faccio il mio mestiere sfioro, anzi, a volte proprio tocco, quel sentimento che sempre mi sfugge e che, ottusa, ricerco e che credo abbia parecchio a che fare con l’amore per la vita e il piacere di stare al mondo.

6 Comments

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  1. Geniale

    • Sabina, sei squisita e gentilissima. Nel nostro vederci solo da lontano e a tratti mi è rimasta la voglia di frequentarti un po’ di più, spero di averne presto l’occasione, per ora grazie

  2. Tu cassiera per un attimo, me lo immagino.
    Di botto silenzio, bocche aperte, occhi sgranati……………tra Nutelle e detersivi, comincia la magia!
    E chi esce più.

    • Credo che fare la cassiera possa essere interessante anche se mi piaceva di più quando il cassetto dei soldi li aveva dentro in orizzontale e poi vuoi mettere, Marina cara, il gusto di scrutare nella vita delle persone attraverso la spesa che fanno…

  3. Piacevole come sempre leggerti o ascoltarti parlare di arte e di tutto: da sempre mi affascini e sarà sempre così .a lunedì

    • Grazie, Mariacristina, ancora una volta mi onori della tua attenzione e della tua presenza nella mia vita, a lunedì, con il piacere di ritrovarci

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