L’Air du Temps (page 1 of 15)

L’Air du Temps è un profumo storico ancora esistente. Esso è frutto di una Maison senza la quale la moda, e nemmeno il mondo, sarebbero gli stessi. Il nome, tradotto, significa «L’aria del tempo». E intendo inserire qui gli articoli che dell’aria del tempo si occupano: tecnologia; amori con i diverticoli, ovvero intestinali, sensibili e dolenti; oppure amori asmatici, ovvero che procedono per attacchi e a intermittenza. E poi tutto il resto.

POZZANGHERE, 2. SCHIZZI

Musée de la vie romantique, Parigi, febbraio 2024, pioggia

€ 7,20.
Con sette euro e venti centesimi ci compri una vaschetta di salumi Rosa dell’Angelo, ma mica di quelle pregiate, per il culatello devi spendere di più e ancora di più devi mettere in conto per mettere in tavola un tagliere di formato ridotto nel quale ci siano anche i formaggi.
Con sette euro e venti ci compri però un bellissimo romanzo con delle aggiunte, testo integrale, dossier comprendente Analisi del movimento letterario; Genere e registro; Lo scrittore al suo tavolo di lavoro; Gruppi di testi; Cronologia; Piste per riferire sulla tua lettura.

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POZZANGHERE, 1

Roma, Foto di Camilla Areddia

Pozzanghera, 1. Alla prima aria della Regina della Notte mi sono scese le lacrime.
Ero preparata a piangere alla seconda aria, evidentemente c’è voluto davvero poco, altrimenti avrei resistito.
Solo a sentire quella voce mi sono intristita.
Ormai le voci a quel livello mi fanno tutte questo effetto, né mi serve ricordare  che «la Regina è quello che i tedeschi chiamano un “Holoratur-Soprano” cioè un soprano leggero d’agilità, capace di scoccare note acutissime, di tre o quattro toni più alte del massimo a cui arriva un normale soprano lirico o drammatico».
Questo è Massimo Mila, nella sua bellissima Lettura del Flauto Magico.

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NEWSLETTER #173 CORIANDOLI

James Abbott McNeill Whistler, Notturno in Nero e Oro, il Razzo che cade, 1875

Biglietto n° 155: Notturno in Nero e Oro, il Razzo che cade di James Abbott McNeill Whistler, 1875

È una delle cose più moderne che abbia letto negli ultimi tempi.
Meglio, per ritrovare la medesima impressione di modernità che mi dà La chiave di Berlino di Vincenzo Latronico devo ritornare alla stagione, perché fu proprio una stagione, in cui mi dedicai a 1Q84 di Murakami Haruki.

Vincenzo Latronico

 

Murakami Haruki

Due parole sui titoli.
Quello giapponese gioca sull’assonanza nella loro lingua della Q con il numero 9, dunque, noi abbiamo un’indicazione precisa dell’anno in cui è ambientata la vicenda fiume di Aomane, serial killer, e di Tengo, matematico e ghost writer, che si cercano per circa 1.113 pagine, nei due volumi, Libro 1 e 2Libro 3, della versione italiana.
La chiave di Berlino è questa qui.

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SUL MARE LUCCICA: QUATTRO ANNI DI BLOG

Sul mare luccica la  nostra barca
Tesa nel vento il suo nome è sentimento
Stella d’argento sono contento
Tu m’hai portato nella mano in cima al mondo
Stiamo a vedere quando uscirà
Con gli occhi cosa ci domanderà

Piccola Orchestra Avion Travel, Sentimento, 2000

Quattro anni di blog, tempo di bilanci.
Invece no, solo il piacere di avere un luogo che è un confessionale, che è sempre accogliente qualunque cosa accada fuori, che è frequentato oltre che da me da persone evidentemente affini.
È l’ultimo anniversario che festeggio, l’età ormai è adulta, l’esperienza è fatta, anche se l’esperienza non basta mai, il gusto della scrittura è intatto, spero che il mondo continui a ricordarsi di noi.

Grazie a tutti.

ANTOLOGIA

Objet trouvé

J’ai tant rêvé de toi que tu perds ta réalité…

(Ho sognato talmente di te che tu perdi la tua realtà)

Robert Desnos, Corps et Biens, 1922-1930

(Il  caso del ginnasta intellettuale). Non so se sia più brutta Villa Lazzaroni o Villa Lais.
Nell’altra casa avevo vicino Villa Torlonia, tutta un’altra musica.
Anche se a me francamente di andare a passeggiare in villa.
Mi capita di attraversare le prime due perché ci passo in mezzo quando ho una destinazione.
Passo da Villa Lais in bicicletta, quando vado al Mandrione.
Passo da Villa Lazzaroni quando vado dal mio parrucchiere, che sta esattamente dall’altra parte. Prima aveva il negozio nella mia medesima strada, adesso è un po’ più lontano.
Inutile dire che lo raggiungerei in capo al mondo.
Nella villa c’è una pista di pattinaggio, dove capita di vedere una lezione di ginnastica all’aperto in cui l’istruttore insegna agli istruendi a toccare con la punta delle dita della mano la punta del piede.
Che, se non ci riesci, conviene che cambi istruttore.
Stamattina c’era una signora anziana con il carrello della spesa che stava fuori dalla pista e che poi se ne è andata, passandomi accanto.
E borbottando: «Redivivo ci sarai tu».
A me è venuto da ridere, perché evidentemente lui l’aveva apostrofata in questo modo e lei si era offesa, anche se secondo me redivivo è meglio di zombi, che poi ha il medesimo senso.
Allora ho detto alla signora: «Casomai non sa che significa», ma lei ha continuato a borbottare e ha detto che come non sapeva che significava: «Lui è uno molto colto».
Per la prima volta in vita mia avevo intravisto un istruttore di palestra che era pure un intellettuale.

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IL DÌ DI FESTA

Pamela Pascale, Rosellina alla rapa rossa ripiena di burrata affumicata

Uno, non lo guarderei nemmeno se facessimo naufragio noi due soli sull’isola delle barzellette con la palmetta.
Non oggi, ma da sempre.
Nel film indossa pure un abito non ho capito se in fustagno, giallino, ma non giallo come l’impermeabile di Dick Tracy, che è color zabaione, quel giallo là è fatto con le uova di una gallina anemica.

Dick

Dell’altro, un piripicchio che nel film ha pure i capelli lunghi, non ho mai capito del tutto il senso, un amico una volta mi maltrattò e mi disse ma come, non capisci, lui recita anche con le mani.
A parte che pure tutti gli italiani sono bravi in questo, il tipo parlava di un attore che aveva visto al cinema solo doppiato, per cui diceva castronerie, cioè parlava di uno che parlava con la voce di un altro.
Laddove noi tutti siamo la nostra voce.
Se ve lo dico io, che ho il dente che duole, potete crederci.
Figuriamoci se un attore non è la voce sua.
Tutti gli uomini del presidente è un brutto film, meglio, è un film inguardabile.

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LA PIAGA DELLO SPRITZ

Aperol, 1

Tempo di preparazione: 5 minuti
  • Riempi il calice di ghiaccio
  • Versa 3 parti di Prosecco D.O.C.  (9cl)
  • Aggiungi 2 parti di Aperol  (6cl)
  • Completa con una parte di Soda  (3cl)
  • Guarnisci con una fettina di arancia

Lei va da lui nel cuore della notte perché ha paura.
A proposito della stanza di lui, santa Teresa d’Avila parlerebbe del profumo della povertà.
Ma è una stanza pulita, lui dorme in un letto singolo e le apre la porta in pigiama.
Sulla carta, una situazione che più ospedaliera non si può.
Ma non sembra.
Lei si butta prona sul letto, non si toglie nemmeno le scarpe.
Lui le dice che sotto il letto c’è un altro materasso e lo tira fuori per sé, dunque dormono uno accanto all’altra ma ad altezze diverse, perché l’altro letto è più basso.
Poi vediamo che fanno l’amore.
Lui è un uomo molto prestante, supera il metro e novanta, non cambia espressione per tutto il film, però la sua faccia è un paesaggio di sentimenti, con un senso sfaccettato di disperazione, violenza, solitudine, necessità, bisogno, desiderio.
Lei è bella, non più come in Barbarella, dove era parecchio bambola, ma che bambola, come avrebbe detto Buscaglione.
Ma soprattutto lei è bravissima, la sua voce ha il suono di una campana di bronzo, lei fa un po’ la modella e un po’ l’attrice, ma parecchio si prostituisce ed è perseguitata da un maniaco che vuole ucciderla.
Lui è l’ispettore Klute, che indaga.
Il film in originale si chiama solo con il nome di lui, da noi è diventato Una squillo per l’ispettore Klute e fa parte della cosiddetta Trilogia della paranoia di Alan J. Pakula.
Dunque, una cosa moderna.
Siamo tutti paranoici.
E non venitemi a dire che non è vero.

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L’ANNO ZERO

Roberto Rossellini, Germania Anno Zero, 1948

Si può, se si vuole, fare il bagno nel Mar  Morto. Tuttavia certe precauzioni devono essere prese. Si sa che quest’acqua, in ragione della sua densità, dà un buon galleggiamento. Il corpo umano, più  leggero, rimane in superficie senza che sia obbligato a fare nessuno sforzo, cosa che dona una strana sensazione di leggerezza…

Israël, Les Guide Bleus, 1955

L’altro giorno ho dato un dispiacere alla signora Anna della lavanderia.
Poi mi sono mortificata, ma stavolta è stato più forte di me.
Perché appena lei mi ha vista, mi ha detto che in televisione c’era stata una chiesa di Napoli che nessuno conosce e che l’aveva presentata così bene quello che sapeva tante cose.
La chiesa aveva una specie di sotterraneo dove c’erano tutti teschi.
Io non vedo la televisione, però ho capito di che cosa lei stava parlando, visto che ne parlano tutti.
Dunque, le ho detto che non è vero che la chiesa non la conosce nessuno perché è una chiesa che conoscono tutti, si chiama Santa Maria del Purgatorio ad Arco ed è famosa per il culto delle anime pezzentelle, che sono dei teschi che vengono adottati e ripuliti e che intercedono per i loro benefattori.
E le ho detto che non è vero che quello della televisione sa tante cose perché è uno che ha una redazione di sei storici dell’arte che gli prepara i testi, che lui ripete a pappagallo.
Lei si stava facendo un po’ più piccola e mi ha detto che però il padre di quello era uno che invece le cose le sapeva e io le ho detto che pure il padre aveva chi gli scriveva i testi, pure se in modo più artigianale.
Questi mi esasperano perché infinocchiano tutti e poi quello ha pure tre figli maschi e figuriamoci se non ce ne è uno pronto a seguire le orme del padre e del nonno e questo significa che passerò la vita a sentir parlare di costoro come se fossero dei sapienti.
Un po’ come quelli della radio, che ci si mettono in sette per fare una trasmissione mediocre.
Ma non si può cominciare l’anno con questi pensieri molesti, quindi i pensieri li scaccio.

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UN ANNO DA STRAPAZZO

Uova strapazzate, dette Scrambled eggs e Oeufs brouillés

«Dio mio che faccia hai» fece la signora Ermelina, e le diede  un affettuoso schiaffetto. «Su, su. Che cosa ti è capitato?».
«Ho fatto una corsa, una corsa» rispose Laide senza neppure salutare Antonio. «Al teatro c’era prova, non mi lasciavano andare.»

«Dio Dio che faccia hai oggi, non sembri neanche più tu» disse ancora la signora Ermelina.
Lei: «Sono proprio tanto brutta?».
«Macché, solo che devi esserti strapazzata».

Dino Buzzati, Un amore,  1963

Punto 1. Ieri sono tornata da Albano che era notte.
Ho sbagliato strada, ma la locuzione è imprecisa.
Diciamo che, invece di infilare l’Appia subito, sono passata per Castel Gandolfo su una strada che avevo già fatto un’altra volta, ma di mattina, tutta quanta in mezzo a un bosco.
Come insegnano le favole, il bosco di notte non è raccomandabile.
Mi sono detta speriamo solo che la macchina non abbia un guasto, già ho visto quando stavo lì che uno degli abbaglianti non funzionava, col display che me lo ha segnalato, però poteva pure farmelo sapere il giorno prima.
Poi mi è venuto in mente che avrei potuto trovare il cammino sbarrato da un animale, non proprio un orso ma, mettiamo, un cinghiale.
No, i cinghiali stanno in città.
Una volpe.
E se incontro una volpe, insomma, io sto in macchina, che vuoi che mi faccia.
L’importante è che non incontri un orso, vagli a spiegare che gli orsi mi stanno simpatici.
Quando sono finalmente approdata sulla terraferma dell’Appia, mi sono fatta i complimenti per il sangue freddo.
Da lì, tutta diritta a casa.
Ho riportato la macchina in garage e ho chiesto all’elettrauto, che ha l’officina accanto alla rampa di ingresso, di controllarmi il faro anteriore lato passeggero.
Lui ha detto «destro», io ho ribattuto che uso il linguaggio che mi hanno insegnato loro, perché con la macchina destra e sinistra, dipende da come la guardi.
Ci siamo messi a ridere.
Quando ho riguadagnato il mio appartamento, mi sono finalmente distesa.
E mi sono chiesta come mai c’è gente che per provare il brivido dell’avventura va a farsi il safari a Zanzibar, come avevo sentito la mattina alla radio, invece di farsi un giretto ai Castelli nottetempo.

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LA SPOSA IN MUTANDE

Beatrice Mallet per Petit Bateau, 1937

Mutatis mutandis.
La mia insegnante di Storia e Geografia delle scuole medie, severa e molto brava, un giorno ci spiegò che cosa significava la locuzione: cambiato ciò che deve essere cambiato, ovvero, con le dovute variazioni, due situazioni che si somigliano sono, nella sostanza, uguali.
Dunque, mutatis mutandis non significa cambiatevi le mutande.
Anche se le mutande si chiamano così perché devono essere cambiate.
Spero di essere riuscita a spiegarmi.
Le mutande sono un argomento intimo e privato e la cosa più carina che le riguarda e che cito spesso è la posizione di Francesco, che impose a tutti i suoi frati di indossarle sempre, laddove Benedetto, nella sua Regola, aveva prescritto «che solo durante il viaggio i monaci portassero eccezionalmente le brache, per motivi di pudore e convenienza, quando potevano aver bisogno di sollevare la veste per preservarla dal fango o per avere più liberi i movimenti».
Al ritorno, l’indumento andava lavato e restituito al superiore.
Francesco «fa delle brache un capo stabilmente presente», come se lui e i suoi frati fossero sempre in cammino.
Ci racconta questa piccola cosa deliziosa Chiara Frugoni, che non si chiama Chiara per caso e che ha scritto cose molto belle dedicate al suo santo di elezione.
Ma torno al cuore del mio discorso: tutto ci dice che le mutande sono una faccenda delicata, voi pensate solo all’altra locuzione: restare in mutande, che equivale a «rimanere senza soldi, in estrema povertà».
Insomma, non c’è da augurarsi di trovarsi in questo stato.

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