Roma, Foto di Camilla Areddia

Pozzanghera, 1. Alla prima aria della Regina della Notte mi sono scese le lacrime.
Ero preparata a piangere alla seconda aria, evidentemente c’è voluto davvero poco, altrimenti avrei resistito.
Solo a sentire quella voce mi sono intristita.
Ormai le voci a quel livello mi fanno tutte questo effetto, né mi serve ricordare  che «la Regina è quello che i tedeschi chiamano un “Holoratur-Soprano” cioè un soprano leggero d’agilità, capace di scoccare note acutissime, di tre o quattro toni più alte del massimo a cui arriva un normale soprano lirico o drammatico».
Questo è Massimo Mila, nella sua bellissima Lettura del Flauto Magico.

Massimo Mila, Lettura del Flauto Magico, 1989

Lo studioso, però, omette di dire come si sente l’altro soprano in scena, ovvero se il suo stato d’animo è il medesimo del violinista che nel film ha prestato il violino a Paganini e che lo ha sentito suonare, prendendo la fuga e lasciandogli lo strumento, che, dato il confronto, non avrebbe più avuto il coraggio di toccare.
E così abbiamo pure parlato di David Garrett, che non solo è un grande violinista, ma che è anche un ottimo attore, non ci avrei scommesso una lira, e invece, guarda tu che sorprese ti fanno certe volte certi uomini.

David Garrett in Il volinista del diavolo di Bernard Rose, 2013

Ma dicevamo, la Regina della Notte.
Che viene introdotta da un «tuono spaventevole…Le montagne che limitavano la scena si aprono magicamente (siamo in pieno “Zauber-stück”, teatro meraviglioso) e dànno luogo a una straordinaria sala, parata di stelle, dove la Regina siede sul trono».
Niente di tutto questo al Teatro dell’Opera di Roma in questo gennaio 2024, dove la brutta regia di Damiano Michieletto ridicolizza i cantanti e umilia l’aspetto favolistico dell’opera e la Regina appare un po’ sullo sfondo, vestita maluccio, ed è costretta a cantare la sue arie facendo altro.

Aleksandra Olczyk Regina della Notte nel Flauto magico, 2024

Questa è cattiveria.
Come se non bastasse, Monostato si masturba guardando Pamina e pure Papageno, che è l’unico che nel comico ci sguazza, si tocca i genitali per farci capire meglio che vuole rivedere Papagena.
Pamino, poi, che dovrebbe ricoprire il ruolo del principe salvatore, con i calzoni corti perde ogni credibilità.

Ma le voci sono bellissime.
Peccato la stupidità dei soprattitoli in inglese e in italiano, come se il libretto, in tedesco, non esistesse.
Ce l’ho in borsa, ma la sala è troppo buia per poterlo seguire.

Pozzanghera, 2. Fa un freddo becco e le signore ne hanno approfittato per tirare fuori le pellicce.
Nessun rigurgito animalista da parte di nessuno, visto che surrettiziamente è stata introdotta la regola per cui se la pelliccia è vintage, si può indossare. Come se la morte avesse una data di scadenza.
Un po’ come fanno gli archeologi, che profanano le tombe e ne espongono il contenuto nei musei perché tanto è passato un sacco di tempo.
Poi i ladri che nel cimitero di Prima Porta aprono le tombe dei rom sulla base dei nomi sulle lapidi e rubano il denaro e l’oro che di solito, secondo l’uso, accompagna il defunto sono additati al pubblico disprezzo. Giustamente, voglio dire.
Qui dovremmo metterci d’accordo sui tempi di prescrizione del rispetto dei morti, tutti, animali e umani.

Pozzanghera, 3. Approfitto nell’intervallo della fila alla toilette per andare a chiedere ai tre Vigili del fuoco che sono in servizio se si stanno divertendo.
Come è noto, alle signore piacciono i Vigili del fuoco, e viceversa.
Quando la signora Celeste nel mio palazzo rimase chiusa in ascensore e fu salvata da un robusto rappresentante del Corpo, la figlia, da me incontrata al supermercato, mi disse che da quel giorno «mamma non era più la stessa».
La signora Celeste era una squisita anziana con la permanente dai riflessi violetti.
Quando incontrai di nuovo lei, la versione che mi dette del trauma era ben diversa: fra le braccia di quel ragazzone si era sentita così bene che sperava sempre, prendendo l’ascensore, che ci fosse un nuovo blocco.
Questo è Wislow Homer, grande cantore americano della everyday life, che racconta l’eroismo di un vigile del fuoco locale che salva una donna da un naufragio.

Wislow Homer, The Life Line, 1884

Che poi lei sia svenuta, significa che è una stordita.
Invece di godersi il momento.
Ha fatto bene la signora Celeste, che è rimasta chiusa in ascensore di giorno, essendo appena andata dalla parrucchiera e avendo pure fatto la spesa.
Nella vita, non sai mai quello che ti può capitare, bisogna essere sempre pronti e in ordine.
E ben svegli.
Altrimenti finisce che ti perdi il meglio di quello che ti capita.
Comunque ai Vigili del fuoco in servizio al Teatro dell’Opera l’opera non piaceva per niente e non vedevano l’ora che finisse.
C’erano pure i colleghi che stavano dietro il palcoscenico, dunque nel punto di vista che a me sembra così privilegiato del fra le quinte, che la pensavano come loro.
Quello che sembrava il capo del terzetto, e infatti io con lui stavo parlando, mi ha anche raccontato che una volta una fidanzata l’aveva portato a Caracalla e che lui si era scocciato da subito.
Per fortuna dopo venti minuti era venuto giù un acquazzone e sgombrarono tutti.
Alla mia domanda sull’opera che non aveva visto, lui ha risposto «La Traviata» e io devo aver fatto una faccia stupita la Traviata è così bella, perché lui ha subito messo le mani avanti e si è detto da solo che lui è un ignorante e che per lui non ci sono speranze, andava male a scuola e faceva un lavoro come quello, che io ho definito subito molto fisico.
Se non mi ha strizzato l’occhio, è stato perché io ero in tiro e lui era in servizio.
«Infatti», ha chiosato.
Non potevo perdere l’occasione e l’ho presa al volo, anche se conoscevo già la risposta perché avevo già fatto in passato la domanda: è vero che i Vigili del fuoco hanno una pomata per le scottature dalla formula segreta, di fronte alla quale il Foille è acqua fresca?
Sapevamo tutti che quella era una leggenda metropolitana che girava da anni e infatti la conversazione si è conclusa con una risata collettiva e con il suono della campana che, come a scuola, invitava a tornare al proprio posto.
Non sono andata alla toilette, che tanto non mi serviva.
Volevo solo fare quattro passi e ne ho approfittato per andare a conoscere un po’ di mondo.

Pozzanghere, perché. Perché torno a scrivere di altro sul mio blog, sul quale per un pezzo ho pubblicato solo le mie Newsletter.
Che ho finalmente raccolto, seppure parzialmente, in un Archivio, che trovate qui.
Dunque ricomincio a scrivere di altro e ricomincio di lunedì, il mio giorno preferito della settimana, e avendo cercato ispirazione in Montale.
Volevo una cosa poco retorica e poco laureata.
L’ho trovata subito.

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io per me amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla: 
le viuzze che seguono i ciglioni
discendono fra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni…

Montale non mi delude mai.
E cercando quello che si vedeva nelle pozzanghere, ho trovato un ricchezza tale che mi è venuta voglia di farne parte e di arricchirla ancora di più con qualche mio contributo.