Economia domestica (page 1 of 3)

Mia sorella, più grande di me, alle scuole medie aveva un libro di Economia domestica che mi affascinava. Si insegnava alle ragazze come tenere una casa, usare gli elettrodomestici, risparmiare sulla spesa, occuparsi di igiene, anche in caso di malattia della prole. Sono un’intellettuale ma con l’animo da casalinga, mi piace che la biancheria sia bianca e in ordine, che nel frigorifero ci sia tutto ciò di cui ho bisogno o voglia, ho scorte di detersivi ben fatte e tengo sotto controllo i tempi di lavaggio delle tende. Non me ne importa niente di sembrare fissata, per prima cosa non lo sono, e poi, come è noto, le cose su cui ci fissiamo sono quelle che ci riescono meglio.

A CONTI FATTI

Damiano Damiani, La Noia, 1963

Questo post parla di denaro, quindi, se voi pensate che esso sia lo sterco del diavolo (certe volte lo penso pure io, ma poi come fai), vi invito a passare oltre.

Io seguo sempre i consigli di Umberto Eco su come si scrive.
Qui, però, mi permetto di fare di testa mia.
«Non usate troppe cifre in numeri arabi», dice lui, a meno che non stiate scrivendo di matematica.
Mi dispiace che non abbia contemplato la possibilità di un post di un blog che parla di soldi, ma secondo me è successo solo perché non ha fatto in tempo.
E sono sicura che il grande semiologo, secondo me l’uomo più intelligente d’Italia, da dove sta, sia d’accordo su quello che sto facendo.

Andiamo allora a cominciare.
Con qualche nota che vale come introduzione.

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LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA

Come in quei film noir d’autore, hai una cosa sotto il naso e non la vedi perché è un po’, ma solo un po’, nascosta.
Stava lì da sempre, insomma, da quando sto io in questa casa ed è evidente che stava pure sotto il naso di coloro che in questa casa hanno vissuto prima di me.
A mia parziale discolpa, cito il mio vecchio idraulico, ormai andato in pensione, che, mi ricordo benissimo, fermò l’imbianchino che stava facendo i lavori e che aveva provato a togliere la vernice con il raschietto dicendogli che se fosse stato in lui non l’avrebbe fatto.
Mi ricordo benissimo perché ero anch’io presente e mi preoccupai.
L’idraulico aveva molta esperienza e sapeva quello che diceva.
L’idraulico si intende di acqua, acqua fredda e acqua calda.
Quest’ultima, quella che circola nei termosifoni.
Poi, però.

Altra corsa, altro giro.
Pittore, ovvero imbianchino nuovo.
Che, visto che ho anche cambiato idraulico e che comunque qui l’idraulico non era previsto, si è messo in testa di togliere gli infiniti strati di vernice al termosifone della mia stanza da bagno.
E nessuno lo ha fermato.
Tantomeno io, che ormai volevo vedere che cosa c’era sotto.
E che sono felicissima di questa scoperta.

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IL TEMPO DELLA ROTTAMAZIONE

Alla fine è successo.
Avrei voluto salutarla.
Avrei voluto ringraziarla.
Non ho potuto.
Lo faccio adesso, che viene a mancare uno dei punti fissi della mia esistenza.
Perché avevo detto che mi sarei portata la mia lavatrice nella tomba, e invece nella tomba la mia lavatrice c’è andata senza di me.
E sarà così anche viceversa.
Sono una sentimentale, dunque ci ho pianto.
E fra l’altro mi sono anche infilata in un tunnel di invenzioni, approssimazioni, narrazioni fantasiose; ho potuto dare un’occhiata a come è la visione della cucina secondo il design contemporaneo; ho conosciuto gente.
E sono diventata proprietaria di una lavatrice nuova, supertecnologica, superchic, supersleek che, però, non è ancora in mio possesso.

Adesso vi racconto, cercando di non piangere.

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IL DESIGN SPIEGATO A IRINA

Alvar Aalto, Sgabello E60, 1933, tuttora in produzione

…come l’uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,
ci sia qualch’altra felicità.

Giovanni Pascoli, Oh Valentino

Gli occhi cerulei non aiutano.
Meglio, aiutano ad avere stampata sulla faccia una perenne espressione di stupore.
Irina si stupisce di tutto: della cremonese della finestra; dei ganci della griglia della cucina a gas; della serratura della porta; dell’origano, in mazzo e non in barattolo; della noce moscata, che è una palletta e non una polvere; della grattugia per le spezie; del tegame di coccio.
Posso capire lo stupore davanti al dimmer della lampada in salotto. Stavo lavorando alla mia scrivania e lei è arrivata e mi ha detto «Si è accesa», nel senso che la lampada si era accesa mentre la stava spolverando.
Era stupita.
Mi sono alzata, le ho fatto vedere come funzionava il regolatore, le ho detto che era molto utile, se vuoi leggere, la luce deve essere più forte di quella che ti serve se sei a cena e vuoi un po’ di atmosfera.
Si è stupita.
Mentre prendeva il caffè mi ha detto che ha un cugino falegname.
Lo ho detto che bello, il mestiere del padre di Cristo.
Mi ha detto perché Cristo ha un padre.
Beh, un padre più o meno ce l’abbiamo tutti.

Allora ho ricominciato dal presepio e da quello che c’è dentro la capanna e le ho detto: «Dai, su, facciamo un elenco».

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PRESENZE

Sapete che vi dico?
Che mi avete stufato.
E che prima eravate più vigili, vivaci, divertenti.
Vi siete ridotti proprio male, state lì a fare scherzi cretini, io capisco che possiate sghignazzare di fronte a certe situazioni, tipo le due volte che ho messo le mani ieri l’altro e ieri nel secchio della spazzatura e tutto ho controllato, dalla buccia della mela al torsolo dell’insalata, però vi ricordo che in passato eravate capaci di ben altro, anzi, direi che eravate quasi brillanti, come quella volta che siete stati in grado di tirare fuori e di buttare a terra il libro di Tillmans sul Concorde quando ero indecisa se andare o no a prendere una persona in aeroporto e voi, clunk, usate il libro di foto di un aereo e il consiglio è «Vai».
Immagino pure che non sia stato facile per voi, prendere il libro, che stava dentro la libreria, tirarlo fuori e farlo cadere.
Piccoletti come siete, e fatti di una sostanza leggera, come siate riusciti in quell’impresa, ancora me lo chiedo.

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TROPPA GRAZIA (SANT’ANTONIO)

Jean-Étienne Liotard, La chocolatière, 1745

troppa g., sant’Antonio!, a proposito di beneficio che, concesso in misura eccessiva, finisce con l’esser molesto
Treccani

Quella di Proust, che lo servì dal 1913 alla morte, nel 1922, racconta le sue notti: attendeva il padrone, che cenava in città.
Al ritorno, lui la chiamava nella sua stanza per farle il racconto  della serata.
Lui si sedeva all’angolo in fondo al letto; lei rimaneva in piedi di fronte a lui.
E tutto cominciava.
I due passavano le notti così, con lui che raccontava e lei che ascoltava.
Poi lei dormiva dalle sei del mattino a mezzogiorno. Lo stesso faceva lui.
Dopo questi anni fuori del comune, lei racconta di aver fatto fatica a confrontarsi con le banalità della vita.

L’esistenza dei domestici era modellata su quella dei padroni.

Uno chef de cuisine di Napoleone era incaricato dell’«en cas» dell’imperatore.
L’«en cas» era un pollo ben arrostito che l’imperatore avrebbe potuto chiedere a qualunque ora del giorno e della notte.
L’uomo, che si chiamava Gallyot, ha dormito dieci anni su una sedia, completamente vestito, sorvegliando il pollo e il suo spiedo.
Dopo dieci anni, egli non poté più stendersi a letto, soffocava.

Il fatto che il personale di servizio sia incarnato crea problemi ai padroni.
Ci sono gli odori, primo fra tutti quello del sudore; ci sono le malattie; ci sono i microbi che i servi portano in casa.
C’è la possibilità che un corpo sia fecondo e che una bonne abbia il cattivo gusto di rimanere incinta.
In una famiglia onesta, questo fatto è perturbante.
Soprattutto se la bonne è incinta del padrone.

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CORONA BLUES, 13: #STATEACASA

Senza il tuo amore

Murakami Haruki, 1Q84, capitolo 13. Aomane

Con il 50% di probabilità di azzeccarci, sbaglia.
Succede.
Anche se non mi sembra così difficile da capire.
La griglia della cucina a gas si sovrappone ai fuochi, quindi le aperture dell’una e il diametro degli altri corrispondono.
I fuochi sono due grandi, uno medio, uno piccolo.
Se la griglia è messa con le parti invertite, la padella con dentro l’olio che frigge traballa.
Dopo averlo sfilato, non capisce come si rinfila nel supporto uno degli specchi del bagno, quello che mi porto in viaggio per truccarmi.
A occhio e croce mi sembrerebbe un’operazione nelle corde di un bambino di cinque anni.
Volendo proporre un parallelo, è come non capire qual è la scarpa destra e quale la sinistra. Se pure non lo vedi, te ne accorgi quando te le infili.
Le scarpe non sono come i guanti usa e getta, ambidestri. Se fossi mancina salterei su per la discriminazione, chiamateli ambisinistri.
Non sono mancina.
E i guanti veri si distinguono.
Per capire quanto è difficile stare al mondo, basta vedere come l’altra tenta di cambiare il sacchetto dell’aspirapolvere, che ha due versi, di cui uno dovrebbe prendere mentalmente nota, se non basta mentalmente, farsi una foto col telefono o scrivere la nota su un pezzo di carta.
Se si mette il sacchetto dalla parte sbagliata, il coperchio dell’elettrodomestico non si chiude o, se si chiude, la polvere finisce nel motore.
Un’altra ancora, che pure stira bene e fa camicie come corazze, non distingue il dritto dal rovescio, uno dice, guardi, la prego, qui c’è la cucitura.
Se c’è la cucitura, a meno che non sia una creazione di Sonia Rykiel, che aveva questo vizio, o di quella marca di T-shirt che gioca al ribasso sul medesimo campo, siamo al rovescio.

Una casa ha il suo carattere, la sua storia, le sue fisime e le sue trappole.
Qualunque persona se ne occupi, va seguita passo passo, perché altrimenti ti crea qualche guaio.

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CORONA BLUES, 7: IL GUAITO DEL CONIGLIO

Ma che ragionamento è.
Certo che se lo sai, non ci caschi.
Ma il fatto è che non lo sai, quindi, ci caschi.
Eppure sembrava una persona così affidabile. Eh, infatti, è delle persone affidabili che devi diffidare.
Sì, però poi, di chi puoi fidarti.

In francese si dice poser en lapin.
Nel 1880 significava «non retribuire i favori di una ragazza», all’epoca, infatti, lapin  che è, certo, un coniglio, significava anche un rifiuto di pagamento.
In  seguito ha pure designato un viaggiatore clandestino.
L’espressione, nella sua forma attuale, sarebbe apparsa intorno al 1890, quando alcuni studenti cominciarono a impiegarla per l’atto di non andare a un appuntamento, senza avvertire la persona che aspetta.
Ciò potrebbe derivare da «laisser poser», «fare attendere qualcuno».
Più brutalmente, in italiano si può tradurre con «dare buca» o, peggio, «tirare un bidone».

Insomma, mai avrei potuto pensare che una persona così mi avrebbe posato un coniglio.
Sto dicendo, tirato un bidone.
E invece.

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CANDY CANDY

«Schizza».
Tutti dicono che schizza.
Conduco una mini inchiesta e tutti me lo ripetono.
Manco fosse Pollock. Quello sì, che schizza.
Lo dice molto bene il mio testo più bello di arte americana, dice che lui beve «like a fish», che dipinge in modo rischioso, senza alcuna protezione, e stiamo sicuri che non stiamo parlando di schizzi, dice che non è capace di contenere la violenza che lo abita e le sue insicurezze sessuali.
Muore nel 1956 a quarantaquattro anni schiantandosi con una grossa macchina con dentro due ragazze, nessuna delle quali è la moglie.
Lui è stato quello che «broke the ice»; che ha risposto alla solita signora che gli chiedeva perché non dipingesse la natura: «I’m nature»; quello che ha risolto la sua carriera in soli quattro anni, dal 1947 al 1951: prima aveva dipinto figure totemiche e simboliche, poi, si è andato a sfracellare con la sua Oldsmobile cabriolet.
Un vero modello esistenziale. Pure per gli schizzi.

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IL PROFUMO DEL NATALE

Adolf Hohenstein, Scene per La Bohème, Puccini, Quartiere Latino, Natale

Mentre il Quartiere Latino le sue vie /Addobba di salsicce e leccornie? / Mentre un olezzo di frittelle imbalsama / Le vecchie strade? È il dì della vigilia!  / Là le ragazze cantano contente / Ed han per eco ognuna uno studente!  

Puccini, Illica & Giacosa, La Bohème, Quadro Primo

Kamal è del Bangladesh. Ha pure in testa il topi, simbolo di orgoglio nazionale.
Kamal è del Bangladesh, quindi che gliene importa del Natale.
Cortese, sorridente.
Avrei dovuto diffidare.
La settimana santa, no, mi sbaglio, siamo nell’avvento, è cominciata con la lavatrice rotta, la cucina allagata, il messaggio che ho mandato al mio tecnico alle 00:08 con su scritto abbia pazienza e compassione: è un’emergenza.
Avrei dovuto diffidare.
Perché il suo ultimo accesso WhatsApp risaliva al 17 dicembre alle 16:17 ed è rimasta una sola spunta tutta la notte.
È in ferie? In viaggio di nozze?
Ho saputo la mattina dopo che non lavorava più per quella ditta. Anzi, che la ditta non si occupava più della mia lavatrice, adesso si chiama direttamente Bolzano, lì c’è il centro smistamento.
Nel senso che poi mi mandano un tecnico dal Sud Tirolo.
Ma se vi ho appena detto che è urgente.

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