John Singer Sargent, El Jaleo, 1882

È qui la festa? Qui non siamo ad Abano Terme.

Festival di Woodstock, 1969

Qui siamo a Woodstock nel 1969 e questa gente è ricoperta di fango, nel fango si rotola e nel fango sguazza.
Balzac nel suo Illusioni perdute ha raccontato dei giovani eleganti, con le mani guantate, con magnifici bottoni sulle camicie scintillanti di candore, che andavano in giro con un bastone da passeggio «deliziosamente montato» e indossavano la cravate di moda fra il 1820 e il 1830, che consisteva in un foulard inamidato e che era poi ciò che dava al dandy il tipico portamento a testa alta.
Sono, questi, i giovani con i quali il suo protagonista Lucien de Rubempré si paragona amaramente, con i suoi abiti miserabili e i suoi stivali ignobili che si era portato da Angoulême.


Mi chiedo se gli uni e l’altro si sarebbero rotolati in quel fango, proprio come fanno i maiali e i rinoceronti, godendosi la melma.
Ma è vero che solo alla morte non c’è rimedio.
Mi rimetto sulle tracce del filosofo Yves Michaud, che nel 2012 ha pubblicato un saggio che definirei partecipato.

Yves Michaud, Ibiza mon amour, 2012

Frequentatore da tempo di Ibiza, dove ha una casa e dove dichiara di aver trovato le condizioni giuste per scrivere, ha compiuto l’esperienza totale del turismo del divertimento, mettendosi a fare quello che fa la gioventù europea, che arriva in charter e si immerge in «una vita trasformata integralmente en dance et en trance around the clock», con le discoteche che chiudevano alle sette del mattino alle quali davano il cambio quelle che aprivano alle otto e accoglievano gli ospiti fino a sera, quando cominciava il party totale.
L’Eden costava 30 euro con una consumazione, gli ospiti avevano fra i diciotto e i ventitré anni.
Michaud è nato nel 1944, quindi nel 2012 aveva sessantotto anni.
Come gli è venuto in mente di infilarsi in quella situazione.
Perché è un filosofo e il filosofo «è un uomo che non dice niente che non abbia lungamente pensato e che non pensa niente che non abbia profondamente vissuto».
Dunque, Yves Michaud entra nella prima discoteca e racconta: «l’atmosfera violentemente sessuale»; ragazze «superbandantes», e «bander» è il verbo che indica l’erezione, pure quando sono grasse (nel 2012 si poteva dire che una ragazza era grassa, nota mia), che girano con in mano sifoni che non contengono la crema Chantilly bensì gas esilarante; coppie in difficoltà o perché hanno litigato o perché, ammettiamolo, qualche problema di stanchezza ce l’hanno; file infinite alle toilette per la droga; «inevitabili russi con gli occhi di nasello non fresco…e due guardie del corpo grosse come montagne»; cocaina a gogò; molti taxi, sicuramente più che all’aeroporto, molti autobus, per spostarsi all’Amnesia, dove lui arriva alle quattro del mattino.
Gestione industriale del business del piacere e della transe.
Tutti aspettano l’Espuma.
Il pubblico è più elegante (plus friquéfric = soldi).
L’Espuma arriva alle sei, dopo un crescendo di bidonate.

Amnesia, Ibiza

Alla fine i cannoni sputano finalmente la schiuma.
«Non così sessuale come speravo. Non molto nascita di Afrodite. Piuttosto genere bucato. È della schiuma di sapone o di detergente, che brucia gli occhi. Si indovina che sotto la montagna di schiuma ci si tocca e ci si tocca ancora, ma fra persone che già si sono toccate».
L’importante è poter dire io c’eroio ho visto.
In tutto questo, la musica e la danza.
Sesso, alcol, droga.
Fusione con gli altri, il piacere dell’assembramento, della socializzazione, gregaria o scelta.
La felicità (felicità?) è garantita da un’organizzazione che permette di inanellare i piaceri.
I rischi, poca roba: perdita dell’identità personale; dipendenza.
Quando il filosofo esce dall’Amnesia, il sole comincia a bucare il cielo.
Se penso a quelli che a Woodstock si rotolavano nel fango e a quelli che a Ibiza si rotolano nel detersivo, mi sembra che la vita abbia finalmente un senso.
E che ci sia una soluzione per tutto.
Sei stato lurido per anni, poi la storia e l’industria del divertimento ti hanno dato finalmente una ripulita e esci che ti ci manca solo l’ammorbidente, per essere pronto per un altro ballo.

Biglietto n° 86: El Jaleo di John Singer Sargent, 1882. Non ci muoviamo dalla Spagna.
Insomma, più o meno.
Siamo nello Spanish Cloister, nel Chiostro spagnolo, dell’Isabella Stewart Gardner Museum.
Siamo a Boston, Massachusetts.
USA.
A parte che ogni volta che vedo Sargent ho un tuffo al cuore che manco l’arrivo dell’Espuma dopo tanta attesa, la storietta che gira sull’acquisizione da parte della signora Isabella Stewart Gardner del dipinto di Sargent è degna di menzione.
Lei è una signora friquée.

Isabella Stewart Gardner

Per sua, e nostra, fortuna, amica di tipi come Sargent e Whistler e, soprattutto, di Bernard Berenson, grande critico d’arte, suo consigliere.

Dunque, lei aveva fatto risistemare questa parte della sua abitazione che ospitava e ospita la sua collezione e qui ricava una sorta di alcova, sottolineata da un arco moresco.
Praticamente il set perfetto per un dipinto spagnoleggiante, basato sui disegni fatti da John Singer Sargent durante il suo soggiorno nella Spagna meridionale nel 1879.

Spanish Cloister, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston

Allora, si dice che il dipinto apparteneva a tale T. Jefferson Coolidge, con il quale lei era imparentata attraverso il matrimonio.
Quando Coolidge vede quella straordinaria sistemazione del luogo, pare che glielo abbia regalato «on the spot».
Se non è vero, è bello crederci.
L’Isabella Stewart Gardner Museum è un posto stracolmo di capolavori, come dice la mia guida, «originale e pieno di charme e di sorprese».
Nel senso che è un posto strambo ed eccentrico, che poco ha a che fare con i musei americani, rigorosi, lucidi, limpidissimi nella loro offerta.
Ma Sargent è una meraviglia.
E allora vengo al dipinto del nostro biglietto di oggi.
El Jaleo è una danza andalusa, che potremmo tradurre con Il baccanoIl putiferio.
E tutto questo rumore lo sentiamo anche noi: i tacchi battono, le dita schioccano, le mani applaudono, sentiamo il canto e sentiamo il suono delle chitarre.
L’artista ci ha trascinati dentro il suo quadro, stiamo anche noi con lui nella taverna, dubito che il merito sia dell’arco moresco, propendo piuttosto per il puro effetto della pittura.
La ballerina in primo piano, un po’ decentrata, ha i capelli legati ed indossa uno scialle nero con macchie blu e una gonna bianca, che è un pezzo di assoluto virtuosismo pittorico.

John Singer Sargent, El Jaleo, 1882, part.

Essa fluttua, svolazza, si gonfia, lei è bravissima nel drappeggiarla, la sostiene con la mano destra quel tanto che basta per compiere il passo e farci vedere una scarpetta, mentre il braccio sinistro alzato è quasi parallelo alla gente seduta dietro di lei contro la parete.
Il primo uomo a sinistra ha una chitarra appoggiata in grembo e tiene gli occhi chiusi; gli altri partecipano al baccano, battono le mani e suonano, uno sembra addormentato, un ultimo è parzialmente coperto dallo scialle di lei.

John Singer Sargent, El Jaleo, 1882, part.

Le due donne sedute alla nostra destra sono belle e gioiose, indossano entrambe un abito bianco e macchie di colore come scialli o bluse, magenta e rosso-arancio.
Il braccio della donna più a destra è fuori dall’inquadratura del dipinto.
Sul muro è scritta la parola olé.

John Singer Sargent, El Jaleo, 1882, part.

La tela è grande, 232 x 348, ma non è solo per le sue dimensioni che contiene tutta questa energia: è il fremito, è il viaggio dell’artista in Andalusia, la terra di Diego Velázquez, è l’eccitazione della taverna, è l’odore del vino mescolato con quello del sudore.
Sargent il cosmopolita, colui che si descriveva come «un americano nato in Italia, istruito in Francia, che sembra un tedesco, parla come un inglese e dipinge come uno spagnolo» e che Rodin definiva «il van Dyck dei nostri tempi», uno dei massimi ritrattisti di ogni epoca, qui fa il ritratto alla Vita medesima.
E la coglie nella sua essenza, nel dinamismo, nell’esuberanza, nell’erotismo che esprime un corpo in movimento.
Un corpo che danza.   

State bene e fate cose belle.
E, visto che ogni tanto una formula ci vuole, eccovene una.
Danzate, come se nessuno vi stesse guardando.
Amate, come se nessuno vi avesse mai ferito prima.
Cantate, come se nessuno potesse sentirvi.
Vivete, come se il Cielo fosse sulla Terra.

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