VERSO LE GUIDE, 2. IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO: ROMA

Ma come si fa a non venderle l’anima.

È la città più bella del mondo, sontuosa, monumentale, decadente, ha 2.800 anni di storia, è tutta venata di barocco, quindi di istinto di morte e di gusto della vita, le sue cupole non stanno da nessun’altra parte e sta qui la cupola più splendida.
(Anche a Firenze sta la cupola più splendida. Capisco che due superlativi assoluti sono grammaticalmente scorretti. È grammaticalmente scorretta la mia esistenza, non so che farci).
Come ho fatto a cominciare? Ho fatto come ha fatto la signora Grazia con il primo abito di alta moda che ha stirato in vita sua.
Adesso vi racconto.

La signora Grazia è la moglie del signor Michele, titolare della mia lavanderia artigiana.
«Servono» l’Haute Couture, i marchi illustri, hanno servito il presidente Obama quando è passato da Roma (strano che sull’Air Force One non ci fosse lo spazio per portarsi abbastanza camicie di ricambio. Fatto sta che qualche camicia finì dal signor Michele, e con urgenza), danno retta anche a me,  e lo fanno con bravura  e simpatia. Al punto che una sera mi hanno invitata a cena.
Allora io ho approfittato per porre un po’ di domande tecniche alla signora Grazia e, come avrebbe fatto chiunque, le ho chiesto quando e come aveva stirato il suo primo abito d’alta moda: a quindici anni, un Valentino, mi ha risposto.
E come ha fatto.

«Mi sono fatta il segno della croce e ho cominciato dalle maniche», mi ha detto.

Ora, non saprei dire dove stanno le maniche di Roma, ma da qualche parte stanno.
E io che amo le parole e il loro senso, le maniche me le sono rimboccate e ho sperato di avere qualche asso, appunto nella manica.
Al momento ho prodotto tre guide.
La quarta sto per attaccarla, prima devo rivedere le piante, completare Firenze e fare altre cose e cosette.
Vi racconto intanto qualcosa di quello che è successo fra me e Roma: in ordine sparso.

Il Pantheon. Uscito subito fuori, è meglio avere un centro, è stata la palestra di tutti i tentativi e di ogni esercizio, linguistico, emotivo, vocale.
Ci siamo stati sopra più o meno un mese e mezzo e l’altro giorno, nell’elenco dei controlli da fare, è ritornato fuori un’altra volta per via di certi cambiamenti.
Dovendo tenere qualcosa, tenere la parte delle leggende, che sono attraenti.
E sono quasi tutte di sostanza diabolica, come quella che attribuisce alla corsa di Satana lo scavo del fossato che c’è intorno alla splendida architettura.
Andò così. Il mago Baialardo aveva promesso di vendere l’anima a quel demone terribile, ma al dunque aveva cambiato idea. Si infilò così dentro al Pantheon, barricandosi nella chiesa, dopo averlo distratto con un sacchetto di noci, di cui quel satanasso era ghiotto (ricordatevene, se vi dovesse servire in una situazione analoga).
Quando si accorse di essere stato burlato, Satana si mise a correre come un indemoniato intorno al tempio, scavando così la fossa che vediamo oggi.
(Sul demonio che corre come un indemoniato ho riso da sola venti minuti e mi sono fatta i complimenti. Di questi piccoli divertimenti innocenti è fatta la vita di noi storici dell’arte).
Il Pantheon fa quasi 8 milioni di visitatori l’anno, quindi non si può dire che non sia uno dei cuori più pulsanti della Città Eterna. Ed è amatissimo da sempre, lo hanno ritratto tutti quelli che erano capaci a farlo, i viaggiatori ne hanno parlato incessantemente.
Rotondo, rigoroso come tutti i monumenti che hanno fatto gli Antichi Romani prima di sprofondare nella decadenza, e nel loro annientamento, sappiamo bene, però, come sono suggestivi certi tramonti, il magnifico edificio è noto a tutti.
Uno pensa Roma. E secondo me gli dovrebbe subito venire il mente il Cupolone, più giustamente il Campidoglio, invece manco per niente, tutti pensano al Pantheon.
Dentro c’è sepolto Raffaello, nella tomba famosa con l’iscrizione che dice più o meno che la Natura, quando lui nacque, ebbe paura di essere superata da lui e, quando lui morì, di morire con lui anch’essa, una gran bella e sintetica formula per raccontare un artista che era capace di sintesi.
Quando lui dipinge un gesto, tutti capiscono che cosa vuole dire, è uno con il dono della chiarezza.
Raffaello mio, proteggimi. Tu che sei stato bello e bravo e, soprattutto, capace di stare al mondo e di muoverti con disinvoltura in quella corte papale tremenda e a contatto di tutti quegli altri artisti; tu che sei stato amato dalle donne e dagli animali per la tua gentilezza; tu che, con la tua grazia, hai suscitato il livore di quel terribile Michelangelo, che pure non avrebbe avuto niente da invidiarti; tu che sei diventato ricchissimo solo con il tuo talento e a colpi di intelligenza e di pennello; tu che hai anticipato tutti i sistemi moderni di organizzazione professionale, al punto da far fronte a una mole impressionante di commissioni e di lavoro, tu buttami un occhio.

La tomba di Raffaello

Dammi forza e chiarezza, luce e garbo, dai alle mie parole efficacia e concisione, impediscimi, in un’altra e una sola parola, di sbrodolare, di superare i 90 secondi di audio, di annoiare chi ascolta.

Caravaggio, Cappella Contarelli, S. Luigi dei Francesi. Questo mi fa male. Questo mi sfracella. Eppure lui lo sa, che mi sta simpatico, che ho visto 8 volte la sua mostra del centenario, lo sa che lo considero talmente un fuoriclasse da escluderlo praticamente sempre da ogni classifica.
Anche perché quando c’è lui, scompaiono tutti gli altri. Praticamente, se gioca lui, la gara è già finita e manco comincia.
Forse questa cosa lo infastidisce, attaccabrighe com’è, gli farebbe piacere scontrarsi.
Due giorni di Longhi per endovena, più mi entra dentro e più mi diminuisce il coraggio.
E allora, come faccio?
Praticamente, un delinquente. Butta in faccia i carciofi al garzone luganese dell’Osteria del Moro; indirizza parolacce agli sbirri alle cinque di notte (e intuisco che non si era svegliato presto); ferisce alla testa il notaio Pasqualone, che si presenta in polizia dichiarando: «Sono stato assassinato da Michelangelo da Caravaggio», si presenta lui, non il suo fantasma; ha un barbone, nero come lui,  che si chiama Cornacchia; sostiene davanti al fratello di essere solo al mondo perché non vuole riceverlo; è uno risentito e bizzarro, che vive alla giornata, che lavora quindici giorni e che poi si scoccia e se ne va a spasso per un mese; gira con la spada al fianco e si porta dietro un paggio.
Probabilmente ci va a letto, Caravaggio va a letto con i maschi e con le femmine e la sua più importante comunione sessuale è con Lena, sua modella in tanti dipinti, che, sia detto per inciso, è una prostituta.
Tale e quale a Baudelaire, questo lo dice Walter Benjamin. Anche per lui, solo una prostituta per una relazione profonda. Pure per van Gogh è andata così.
Questi sono uomini asociali e ribelli, questa è la vera bohème.
Questi sono artisti ad accostare i quali si rischia di bruciarsi.
Sono dotati in maniera quasi dolorosa per chi ci si confronta.
Pasolini, che è stato a Bologna allievo di Longhi, lo definisce «una spada sguainata». Longhi «parlava come nessuno parlava. Il suo lessico era una completa novità. La sua ironia non aveva precedenti. La sua curiosità non aveva modelli. La sua eloquenza non aveva motivazioni».
Se voi pensate che io possa confrontarmi con uno così, siete matti.
Pure Pasolini andava a letto con i ragazzi e fra lui e Caravaggio i punti di contatto sono tanti, mi viene in mente quanto hanno camminato tutti e  due dentro Roma,  quanti ponti hanno passato.

E mi viene in mente il sentimento di dolore che esprime la faccia del pittore nel Martirio di S. Matteo, quando si raffigura accanto alla colonna mentre guarda la scena orrenda, come se fosse lui al posto del martire, come se quel fattaccio di cronaca, come tanti altri, avesse lui come protagonista.

Caravaggio, Martirio di S. Matteo, part. Autoritratto

E una sera, dopo una bottiglia di Prosecco, la mia mano si è sciolta.
Giudicherete voi, dopo aver scaricato l’app e aver lanciato S. Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli, che cosa sono riuscita a fare.
Abbiate pazienza, i tempi di Longhi sono lontani ed è probabile che non ritornino.

Ma il vino era bello freddo e andava giù che era una meraviglia; considerando il bollire di agosto, l’afa che entrava a fiotti dalla finestra, il computer che ronfava, il Caravaggio di Longhi che mi minacciava, aperto e parecchio sottolineato, sulla mia scrivania, già un qualche traguardo l’avevo raggiunto.

Piazza del Popolo. Semplicemente, la mia piazza prediletta a Roma. E da quest’orecchio non ci sento, il neoclassico mi tranquillizza e mi appaga, lo trovo, quanto a effetti, superiore al Valium. Rigore, ampiezza di respiro, simmetria e quel perfetto accordo fra architettura, natura e arredo urbano.
Dalla Porta del Popolo per un millennio e mezzo sono entrati in città i viaggiatori, quello più emozionato è stato Goethe, che nel 1786, il giorno 1° novembre, arriva. E dice che finalmente può rompere il silenzio nel suo viaggio segreto e sotterraneo, nel corso del quale non osava nemmeno dire a se stesso dove stava andando: «soltanto sotto la Porta del Popolo sono stato certo di aver raggiunto Roma».
E dopo qualche riga: «Sì, sono arrivato finalmente in questa capitale del mondo!». Ricordiamocene, di quell’emozione, quando non arriva l’autobus, pensiamoci, davanti alla lordura dei marciapiedi, non ci sto a far seppellire la città solo sotto queste, pur sacrosante, notazioni, vuol dire non vedere tutto il resto, quello che, e non mi sembra un caso, hanno visto perfettamente i viaggiatori che sono venuti fin qui mossi dal desiderio.

Porta del Popolo

La Porta del Popolo, antica e più volte riletta, nel Seicento è stata anche oggetto delle attenzioni di Bernini: a metà secolo arriva qui la regina Cristina di Svezia, che ha abiurato il protestantesimo e abdicato e bisogna accoglierla degnamente. Il Sole di Roma aggiunge un po’ di umore barocco e l’iscrizione che celebra l’ingresso della sovrana definisce l’avvenimento felice e fausto.
Quando Cristina, dopo essersi sistemata, manifesta la volontà di andare a trovare il Maestro nella sua casa, Bernini la riceve «con quell’abito medesimo grosso e rozzo, col quale soleva lavorare il marmo, che per essere l’abito dell’arte stimavalo egli il più degno».
L’artista grandissimo era anche un grande uomo di mondo, elegante e signorilissimo, eppure si presenta alla gran signora con questa veste.
Una lezione magnifica, per cui il tuo abbigliamento da lavoro è quello che più ti rappresenta.
Lei, molto colpita e in segno di stima per l’arte, volle toccare «l’abito stesso con le sue proprie mani».

La Scrofa e la sua via. Non puoi scrivere troia. Ho scritto troia perché ho esaurito i sinonimi, scrofa, maialina; porcellina mi fa salvadanaio, l’ho scritto perché la parola sta sulla Treccani, io sono una donna astratta ed elegante e non faccio mai uso del turpiloquio.
Almeno in pubblico.
Lo raccomando sempre ai miei studenti: distinti, sempre, quando siete arrabbiati, prendete il vostro Diario e sfogatevi lì sopra. Il turpiloquio è orrendo, il mio insulto più pesante è «quello sembra proprio l’anello di congiunzione fra l’uomo e la scimmia», e certe volte manco capiscono tutti. Due pagine di Diario piene di parolacce, rilette, ti fanno capire quanto saresti potuto cadere in basso ai tuoi medesimi occhi.
Enea arriva a Roma, fra l’altro fuggito da Troia, dopo tutto quel viaggio e avendo pure piantato Didone in quel modo che quando ci penso mi viene ancora da piangere come piangevo in IV ginnasio quando la mia professoressa, che era bravissima e un’autentica torturatrice di adolescenti, si metteva lì e spiegava e traduceva Virgilio.
Ah, quanto ho pianto su quell’avventuriero, su lei che dice almeno mi giocasse nella reggia un piccolo Enea, le donne hanno sempre questa pulsione (compulsione) a fare figli con i mascalzoni e poi si lamentano.
Ma l’eroe è chiamato a ben altre imprese: deve, fra le varie cose, fondare Roma.
Vi pare poco.
Io abito nel quartiere dell’Eneide, in cui le vie hanno i nomi della storia e della leggenda e, una sera che rientravo, solo la mia astratta eleganza di cui vi ho parlato sopra mi ha impedito di mollare uno sganassone a una ragazzetta che strillava al telefono «Sto a via Euriàlo», ma stai zitta, cretina, e vatti a leggere la storia di Eurialo (accento sulla i) e della sua amicizia con Niso, titolare della strada attaccata a questa e da questa divisa solo da via Furio Camillo.
Ma dicevo.

La Scrofa e la sua via

Via della Scrofa prende il nome da una deliziosa fontanina, ora con la fistola secca, che è probabilmente una scultura votiva romana.
È un dettaglio di Roma che amo e mi capita di frequente di darmi lì degli appuntamenti, come è noto, il maiale porta fortuna.
Dunque ho pensato di concludere la prima guida, quella che si chiama Intorno al Pantheon, proprio con questa tappa.

Quando Enea arriva da queste parti vede una candida porcellina (qui non mi fa salvadanaio) con tutti i suoi maialini. Praticamente si realizza un presagio. Lui capisce che quello è il sito della città nascitura.
Prende tutta la famigliola e la sacrifica interamente a Giunone.
Virgilio dice sus.  Il mio Castiglioni Mariotti traduce con «porco, maiale, scrofa» e si capisce bene che c’è solo un termine che posso utilizzare, perché volgere al femminile i primi due non mi sembra corretto, del resto io mi irrito pure su sindaca, architetta e avvocata.
D’accordo, niente troia, giro la frase in un altro modo e uso un pronome, se serve.

Questo tanto per raccontarvi qualcosa di tutta la valanga di cose che è successa dietro le quinte delle guide.
Fra breve mi confronterò con Roma IV, quella che comprende in sé anche il Vaticano.
Embè, non sei contenta di misurarti con la Pietà di Michelangelo, la sua cupola e pure col Colonnato di Bernini?
Vi dirò, non è che, al pensiero, mi senta benissimo.

Ma, come raccontato in apertura, ho un metodo infallibile al quale fare ricorso: comincio, pure stavolta, dalle maniche.

2 Comments

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  1. Che dire ? Sei brava e mi lasci sempre e sempre di piú senza parole ! Piú ti leggo piú rimango a bocca aperta per come riesci a trasformare in splendide frasi i tuoi meravigliosi lucidi e coltissimi pensieri. BRAVA <3

    • Lucia, mia carissima, ti sono grata in primo luogo per la tua lettura, poi per la tua generosità. Sai, gente come noi a Roma gioca in casa, e poi, con queste cose belle che abbiamo, insomma, qualcosa riusciamo a cavarne fuori. Speriamo di riuscire a raccontarle al mondo. Con tutto il mio affetto e la mia riconoscenza

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