Roma, Villa Lazzaroni, primi di ottobre

Da Prada a via dei Condotti mi misurano la temperatura: ho 33°.
Mi faccio i complimenti, per essere vicina al rigor mortis, mi trovo piuttosto flessibile.
(Secondo me questi scanner termici non funzionano, ma guai a farlo notare).
«Mica vorrai comprarti una borsa».
«Voglio solo vedere la nuova collezione».
«Sì, ma tu non puoi comprarti una borsa in questo momento. Forse è meglio se non entri».
«Io entro dove mi pare e mi compro quello che voglio. E tu ti fai gli affari tuoi».
«Infatti: sono affari miei».
Quando discuto con me stessa, in qualche modo riesco sempre ad avere ragione.
Mi faccio mostrare da una snobissima signorina qualche modello nel loro Nylon vela, se la loro forma non durasse così poco, sarebbero borse perfette, leggerissime e capaci di farti fare una qualche figura quando ne hai bisogno.
La più economica costa la metà del mio stipendio.
Quella più costosa per via di un paio di striscioline di pelle, i tre quarti dell’ammontare, evidentemente non sufficiente a procurarsi gli accessori adatti, della mia retribuzione.
Non mi piace la chiusura lampo dorata, sarà il dettaglio rock ma la trovo troppo vistosa. Inoltre non ha la tracolla. La borsa solo con i manici come la sporta della spesa mi sta scomoda.
Ringrazio, non mi piace niente.

Almeno stavolta, mi è andata bene.

L’altra notte sono morta.
Ho visto chiaramente la mia anima, o quel che era, che si staccava dal corpo e lasciava il corpo nel letto.
Una forza violenta mi ha costretta prima ad alzarmi, poi a lasciare la stanza, poi a uscire da casa mia.
Avevo freddo e addosso solo une chemise de jour di quelle che le donne dell’Ottocento portavano sotto il busto, un cotone sottile con qualche ricamo sullo scollo.
Ho avuto un solo pensiero: quello di afferrare il mio orso.
E sono stata portata via, giù per le scale e capivo che mi stavo allontanando dalla mia vita.
È seguita una serie di spostamenti, tutti gestiti brutalmente, fra spinte e urti.
Prima sono stata fatta salire su una specie di omnibus, con i sedili che correvano lungo i fianchi. Vicino a me c’era una persona, era un uomo e allora gli ho chiesto se era morto, perché io sapevo di essere morta e quindi, se parlavo con lui, era morto pure lui.
Tenevo il mio orso per la zampa, lo avrei voluto nascondere ma non sapevo dove, non avevo una borsa, una tasca, niente, ero a piedi nudi con addosso solo quel capo di biancheria intima che bastava a malapena a coprirmi.
E avevo freddo e non capivo che cosa mi stava succedendo.
Ed ero stupita che la morte fosse così agitata.
E avevo paura di perdere il mio orso.
Poi dall’omnibus ci hanno fatto salire su un tram sferragliante e il tram andava verso un boulevard con molte luci e io allora ho capito che eravamo a Parigi e mi dispiaceva tornare a Parigi da morta.
Non solo, ma il tram, proprio quando stavamo avvicinandoci alle luci più sfolgoranti, a uno scambio ha piegato a destra, andava velocissimo in una specie di vicolo che mi allontanava dalla città.
Allora mi è venuta un’idea e mi sono infilata l’orso nella scollatura, così almeno non lo avrebbe visto nessuno, solo che la chemise de jour sotto era tutta aperta e rischiavo che l’orso mi scivolasse.
Allora ho fatto l’unica cosa che ho potuto fare, mi sono circondata la vita con un braccio, creando una specie di marsupio e mi sono tranquillizzava, perché così l’orso era al sicuro, al caldo e protetto.
Dal tram mi hanno fatta scendere e mi sono ritrovata in una casa che conoscevo e che era quella di mio padre di quando ero ragazza.
E lì mi sono ribellata e ho detto che non si stavo, che da lì me ne ero andata e che avevo una casa mia e che volevo ritornarci e mi sono arrabbiata moltissimo, sempre tenendomi il braccio incollato alla vita e ho detto adesso state esagerando e avete passato il limite.

Mi sono svegliata madida di sudore gelido, tremante, con l’anima che si era ricongiunta al corpo.
Avevo freddo.
Sono andata a cercare il mio orso e l’ho trovato subito.
Mi sono detta:
1. Che ti sei messa in corpo ieri sera
2. Forse devi evitare di vedere tre episodi di seguito della serie con i becchini di Los Angeles, perché lo capisci da sola che tre episodi sono troppi e finisce che fai brutti sogni


Non vi sto a raccontare che cosa ho pensato il giorno dopo vedendo lo spettacolo che vi mostro: un orso abbandonato nella spazzatura, coricato su un materasso dismesso.
Certamente non potevo portarmelo a casa perché di orso ne ho già uno. Né sapevo a chi regalarlo.
Inoltre, avevo le mani occupate, quindi non ho potuto nemmeno rifargli il fiocco, cosa che lo avrebbe reso più presentabile.
Il cuore stretto, ho sperato tanto qualcuno lo vede e lo prende, andiamo, su, come si fa ad abbandonare un orso in questo modo quando io, pure da morta, ho un solo e dominante pensiero: quello di salvare il mio orso e di non separarmi da lui manco morta.

La logica del filone di pane mi sfugge.
Credo che ci sia sotto qualcosa di simbolico, altrimenti il comportamento di praticamente tutti i fornai non avrebbe senso.
Se il filone è già cominciato e tu ne vuoi solo un pezzo, quello dietro il banco ti dice sì, però glielo taglio nel mezzo, cioè non mi dà la parte che piace a me, quella con più crosta.
Non si capisce perché debba essere favorito il cliente successivo, perché questa è la loro spiegazione: cioè, tu dai a me che sto qua davanti a te la parte centrale e riservi quella migliore a chi deve ancora venire.
E se cade il mondo.
E se arriva un’invasione di extraterrestri.
E se nessuno vuole più il tuo pane fino a che tu non hai chiuso la tua bottega e il fondo del filone ti resta sul gobbo.
Ben ti starebbe.
Lì, la tecnica è una sola. Se non hai una fretta eccessiva, vai a farti un giro, aspetti che qualcuno si sia preso il pezzo centrale di filone e ti compri dopo quello che il fornaio prima non voleva darti.
Non solo.
Se del filone è rimasto mezzo chilo, che è, diciamocelo, tantissimo pane, quello non te lo può tagliare.
Come non ti può tagliare la pagnottina singola da cinquecento grammi, per motivi che esulano dalla mia capacità di comprendere il mondo.
Insomma, questi fornai con le loro proibizioni e i loro rituali esagerano, nascondono segreti e esorcismi, sembrano gli adepti di una setta che ha delle regole ferree, quelli che hanno le chiavi di circoli esoterici.
E solo perché vendono pane.

Però forse è per questo che sono intrattabili, per via del dacci oggi il nostro pane quotidiano.

Perché non sanno, i fornai, quanto nella vita ci sia anche altro.
Per esempio le borse di Prada.

Per esempio gli orsi.