Robert Doisneau, Jacques Prévert sul Canal Saint-Martin, 1955

Lunedì scorso ho fatto l’ultima lezione dell’anno.
Nelle passate settimane, come previsto, le mie lezioni hanno avuto una decrescita più o meno felice: da cinque a settimana sono diventate quattro; poi due; poi, una.
Fare una lezione è una cosa impegnativa e faticosa. Io uso il metodo Callas. La cantante, ogni volta che interpretava un’opera, se la studiava tutta.
Pure se la conosceva, pure se l’aveva già cantata cento volte. Se la ristudiava tutta daccapo.
Faccio anch’io la medesima cosa: mi studio tutto ogni volta. Del resto di volta non ce ne è mai stata una in cui non ho provato un sentimento di avventura e di scoperta.
Ma che voglio di più.
Fare una lezione è una cosa impegnativa perché devi tenere ben saldo in mano l’argomento. Poi, mentre la fai, ti devi ricordare quello che hai detto, controllare quello che stai dicendo, sapere che cosa dirai.
Insomma, stai sempre su tre piani temporali.
Sempre.
Un po’ come una medium, faccio da anello di congiunzione fra l’artista e il pubblico che ho davanti: acciuffo l’artista e lo tengo con noi. Certe volte, come lo spirito che è stato evocato, l’artista non se ne va, ti resta attaccato addosso.
A queste condizioni, ti credo, che fare una lezione è faticoso, pensate solo al dispendio emotivo.
Poi, forse, pure fare una lezione di matematica è pazzesco.
Ma io che ne so, io faccio lezioni di storia dell’arte.


Per i ritmi, il mio lavoro è atipico, mi capita di frequente di lavorare a Natale e a Pasqua e lavoro regolarmente tutte le domeniche.
Poi, se voglio, sto due mesi e mezzo in vacanza.
Devo fare gli esami e devo impostare tutta la stagione prossima, programmi e comunicazione, ma già il fatto di avere finito le lezioni fa della mia vita una vita meno esposta.

Voglio occuparmi della mia casa.
Mi chiedo sempre quelli che stanno sempre in giro che casa abbiano. Non è che ti fai sistemare gli armadi da un’altra persona, poi non sai mai nemmeno quante maglie hai.
E metti che nella pulizia si rompa un calice di una qualche importanza.

Voglio vedere dei film, con i film sto sempre stretta, se voglio vedere una serie seria, devo avere tutto il tempo che serve.
Voglio finire di leggere due romanzi che stanno lì da un pezzo. Su questa faccenda della narrativa dobbiamo ritornare, il rapporto con la letteratura è cambiato, l’estate potrebbe raddrizzarlo, mi ricordo, da ragazza, i mesi interi dedicati a un classico, uno si portava dietro sempre e solo un libro, era una relazione profonda, il giorno dopo riprendevi il filo del discorso dove lo avevi lasciato, alla fine ne usciva fuori qualcosa di simile a un tessuto connettivo della stagione e dell’esistenza.

Per stare in vacanza servono dei soldi.
Mai nessuno che mi chieda se ho bisogno di soldi.
Che so, un parente premuroso, un mecenate accorto, uno sponsor che vuole fare un buon investimento.
Mai.
Allora sono andata in banca e ho detto datemi dei soldi.
No, non ho fatto una rapina, ho parlato con il mio Consulente Personal, sul biglietto da visita c’è scritto proprio così, prima Consulente e poi Personal, come un trainer, un computer, un lubrificante.
Il tipo mi ha cavato d’impiccio già un paio di volte.
Mi ha chiesto che ci devo fare con i soldi.
Spenderli, gli ho risposto.
Lui mi sta simpatico oltre che perché mi cava d’impiccio, anche perché la pensa esattamente come me, dice che i soldi servono per essere spesi.
E come li vuole spendere?
Come sempre: in cosmetici, cure estetiche e casse di vino. Le cose che, nella vita, contano veramente.
Ogni volta che gli faccio questi discorsi, quello si mette a ridere.
Allora io gli chiedo di raccontarmi che cosa gli confidano i suoi, e come li chiamiamo, assistiti, no, meglio, pazienti, mi interessano soprattutto i tossici e i giocatori d’azzardo, che vivono sicuramente uno stato d’animo di urgenza più urgente del mio.
E lui mi racconta.

Per farla breve.
Il pomeriggio lui già mi aveva cavato d’impiccio e potevo cominciare a scegliere il vino per le sere successive (io non bevo mai prima delle 18:00).

In vacanza voglio occuparmi del mio blog.
Non è che di solito non me ne occupi, se mi seguite, trovate sempre un certo ritmo. Ma ora voglio farmi un piano editoriale, anzi, il piano editoriale me lo sono già fatto.
Mi chiedo sempre come si possa vivere senza arte.
Mi chiedo sempre come si possa vivere senza poesia.
Mi chiedo sempre come si possa vivere senza Prévert, ecco, Prévert è uno grandissimo: poeta, disegnatore, sceneggiatore, fumatore, forse, visto che è francese, pure alcolista.
I poeti alcolici sono molto nelle mie corde, Poe, Baudelaire, Verlaine, ma come fai a fare poesia senza alcol. Eccoveli qui, tutti e tre.

Poe, alcolizzato. Sulla sua tomba, un omaggio annuale in stile, offerto al poeta nel giorno del suo compleanno finché un suo misterioso ammiratore è stato in vita: rose e una bottiglia di Bourbon.

Rose e alcol per Poe sulla sua tomba di Baltimora

Baudelaire, un moderno cantore del vino all’altezza del superclassico Alceo.
Verlaine, che, già che ne sentiva la nostalgia, al Café Procope ordinava il doppio dei bicchieri d’assenzio che voleva bere: l’altra metà era per Rimbaud, morto da un pezzo.

Una delle cose più belle di Prévert è il suo Inventaire

«Une pierre 
deux maisons 
trois ruines 
quatres fossoyeurs 
un jardin 
des fleurs 

un raton laveur 

une douzaine d’huîtres un citron un pain 
un rayon de soleil 
une lame de fond 
six musiciens 
une porte avec son paillasson 
un monsieur décoré de la légion d’honneur 
un autre raton laveur …»

«Una pietra
due case
tre rovine
quattro becchini
un giardino
dei fiori

un orsetto lavatore

una dozzina di ostriche un limone un pane
un raggio di sole
un’onda anomala
sei musicisti
una porta con il suo zerbino
un signore decorato con la legion d’onore

un altro orsetto lavatore…»

Ecco, questo è il progetto per il mio blog per questa estate: un elenco di argomenti diversi, senza nemmeno una relazione uno con l’altro, una cosa in bilico fra ordine e disordine, leggera, casuale, forse un po’ surreale, piena di libertà, nella quale ci sono dei numeri, delle immagini, con dentro sacro e profano, gioco, invenzione.

Al momento, ho inventariato una mezza dozzina di argomenti:
1. Il Partenone
2. Le mani
3. Gli occhiali da sole
4. I tappi delle bottiglie
5. Le vite incompiute
6. Il turpiloquio

Poi, chissà.

«un soleil d’Austerlitz
un siphon d’eau de Seltz
un vin blanc citron…

et…
plusiers ratons laveurs.»

«un sole di Austerlitz
un sifone di acqua di Seltz
un vino bianco limone…

un orsetto lavatore

e…
più orsetti lavatori.»