Mariana e il suo manichino, Medianeras, Gustavo Taretto, 2014

Apprezzo le donne che scrivono.
Apprezzo le donne che fanno fotografie.
Apprezzo le donne che fanno cinema.
Credo che le donne che scrivono, che fanno fotografie e che fanno cinema non abbiano niente da invidiare agli uomini che fanno le medesime cose.
Ho già avuto modo di dire che ci ho riflettuto e che secondo me le donne scrivono bene tanto quanto gli uomini perché scrivere è un’attività che costa poco o niente, un pezzo di carta e un mozzicone di matita; che puoi svolgere pure se sei inchiavardata al tavolo della cucina; che nessuno ti insegna, perché la scrittura è un dono e se hai il dono, ti basta una scuola che ti insegni la grammatica, che è una cosa diversa dalla scrittura.
E a scuola, più o meno, le donne ci vanno.
Poi, sempre secondo me, fotografia e cinema sono arti nuove, quindi le donne non devono confrontarsi con secoli di cultura maschile che, ammettiamolo, pesa altrove: la chirurgia, il taglio dei capelli, certe branche specialistiche della medicina.
Il film avrebbe potuto firmarlo una donna: è delicato, pieno di risvolti e di sentimenti, lucido, attento, disperato, fragile, ottimista.
Lo ha firmato un uomo e va bene lo stesso.
Sono di quelli che pensano che gli uomini capiscono le donne, me lo confermano i romanzi che leggo.
E i film che vedo.

Mariana è architetto, ma non ha mai costruito niente.
Allestisce vetrine, che è un lavoro che io trovo creativo. E pure lei, che apprezza il fatto di occuparsi di uno spazio che non sta né fuori, né dentro.
Lei ha chiuso una relazione che è durata quattro anni.
Il primo anno, 380 fotografie.
Il secondo, 150.
Il terzo, 97.
Il quarto, 4.
Un po’ come succede con i messaggi, quando il fuoco si spegne, diminuiscono. Poi, cessano del tutto.
Perché siamo moderni.
E il film è moderno.
Il titolo italiano, come spesso accade, è stupido e non corrisponde per niente alle intenzioni del regista, che sono quelle di raccontare una grande città come Buenos Aires, che è cresciuta senza un piano urbanistico, che volta le spalle al suo fiume, che ha edifici accostati uno all’altro senza una logica né un senso e che è abitata da persone che soffrono per l’esiguità degli spazi in cui stanno, il più delle volte appartamenti di 40 mq, chiamati «scatole da scarpe».
Il titolo originale è Medianeras e indica le facciate dei palazzi che non sono utilizzate e che spesso finiscono per essere ricoperte di brutte pubblicità.
A Buenos Aires c’è una via di uscita per cambiare orizzonte in una scatola da scarpe ed essa è rappresentata dall’apertura, ben inteso, illegale, di una finestra in una medianera, che crea circolazione di aria nell’appartamento e ti offre un’altra vista.
Come ogni opera d’arte, il film si legge a più livelli.
A me oggi interessa la relazione che ha Mariana con uno dei manichini che utilizza per i suoi allestimenti.
Qui abbiamo parlato di bambole per uomini.
Adesso andiamo a vedere come sono i pupazzi per donne.
Ritornando nella sua piccola casa dopo i quattro anni di convivenza, Mariana svuota gli scatoloni.
Da uno esce fuori lui. È un manichino nemmeno di qualità, è proprio uno di quei torsi che si vedono nelle vetrine dei negozi sull’Appia.
Lei però lo apprezza, lo abbraccia e gli dice «Non sei cambiato».
Lo lava.
Lavare un uomo è un atto profondamente erotico.
Prende un grande asciugamano e lo asciuga.
Ci parla, gli racconta, per esempio, del suicidio del cane di una prostituta di quarant’anni, che lei teneva tutto il giorno sul piccolo balcone perché quello non sopportava che i clienti la toccassero.
Dunque, il cane a un certo punto si butta di sotto.
Un’altra delle tragedie, grandi e piccole, del piccolo spazio che offre ai suoi abitanti una grande città.
Il manichino aspetta Mariana quando rientra in casa.
Sulla sua faccia c’è scritto «Come è andata oggi?», che è esattamente quello che una donna vorrebbe sentirsi dire quando rientra e che così spesso gli uomini si dimenticano di chiedere.
Certamente perché come è andata oggi per loro è una cosa talmente importante, che non lascia spazio ad altro.
Una sera Mariana fa l’amore col manichino. Esso ha, come hanno i manichini da uomo, una protuberanza, proprio come hanno gli uomini.
Quindi, lei lo cavalca, poi lo accarezza: la mano di lei scende lungo la schiena di lui, che è bianca, probabilmente fredda, certamente approssimativa.
La mattina dopo gli dice «Non farti illusioni, è stato solo sesso».
Trovo molto bella l’ironia leggera del film, quella che è il preludio al lieto fine.
Che qui oggi ci interessa solo perché Mariana, dopo aver chattato con Martin, che le è destinato dall’inizio del film, prende il manichino e lo porta in istrada, nella spazzatura.
Prima di abbandonarlo, si guarda intorno per controllare che non ci siano sguardi indiscreti e lo abbraccia.
Con tenerezza e riconoscenza.

Visto che in tanti stanno lì a blaterare sulla mancanza di donne nel nuovo governo, dunque, sulla disparità di genere in una faccenda di amministrazione dello Stato, mi sono messa a guardare che cosa accadeva altrove.
Per esempio a proposito dei pupazzi sessuati per donne.
Come sospettavo, pure qui, non ci siamo.
A parte la superclassica confusione con i gay, che pare siano i principali destinatari di merce, immagini, pubblicità, perfino opere d’arte in cui ci sono maschi di qualche appeal (vedi il Giove e Ganimede di Thorvaldsen, che è bellissimo, una delle due cose buone che ha fatto lo scultore danese e che non si capisce perché non dovrebbe avere una destinazione universale), il piatto piange.

La cosa più notevole che ho trovato è stata l’esperienza di una giornalista londinese di «The Sun», che è un quotidiano in lingua inglese molto venduto nel mondo. Cosa che non ne garantisce la qualità, ma questo è un altro discorso.
La giornalista si chiama Charlotte.
È mamma di due figli, primo dato che ci fornisce, ha trentotto anni, è mediamente avvenente e si fa recapitare a casa «a male sex doll».
Costo: £ 1,200.
Converto: poco meno di € 1.400.
Già l’oggetto arriva in uno scatolone con su scritto SEX DOLL a caratteri chiari.
Lei, che è una disinvolta, come dovrebbe essere qualunque mamma di due figli, strizza l’occhio al postino.
(Per me è stato inevitabile pensare a dove mi faccio recapitare io i pacchi: tutti al garage, tranne le casse di vino. Vi risparmio l’imbarazzo da me provato a fronte di una simile, per quanto lontana, evenienza).
La signora apre il pacco, immagino con le mani tremanti per l’emozione.
Torso, pene e testa sono separati.
Magnifica metafora di come sono fatti gli uomini.
Lei impiega almeno quindici minuti a mettere insieme il pupazzo, che chiama Henry.
E cerca di farlo stare in piedi.
È una lotta, dichiara, candida, lui è rigido, dunque lei decide di adagiarlo sul suo divano per esaminarlo come merita.
I piedi non hanno ossa, dunque le dita sono gelatinose; le gambe e i fianchi sono snelli, le braccia muscolose.
E lui ha magnifici addominali.
Però a Charlotte non piace la faccia di Henry: è giovane, femminile, ha le labbra turgide e parecchi capelli.
«Not my cup of tea».
A lei piacciono gli uomini con molti peli e calvi.
(Ma per carità).
E qui arriva il bello.
Henry è dotato di due «willies». Non traduco perché questo è un blog per gente di mondo, quindi, per gente che sa trovare la traduzione di una parola senza perderci troppo tempo.
Essi hanno la medesima lunghezza (buono a sapersi), circa un piede: cm 30,48.
(Henry è superbamente dotato. Anzi, come suggerisce un sito per ragazze in gamba, siamo al massimo della media di un organo correttamente funzionale).
Fra i due willies c’è una differenza di circonferenza. Inoltre, uno è circonciso. L’altro, no.
I willies si attaccano all’inguine con un click. Charlotte, che è una precisa, annota che secondo lei con la medesima facilità con cui si attaccano, i willies si possono staccare.
Pausa molesta nella seratina.
Qui tocca rimettere insieme i pezzi.
E anche questa è una metafora.
Entrambi hanno vene in rilievo. E sono di silicone, quindi morbidi.
Ma, giustamente, contengono un’asta rigida, destinata a un facile «pop out».
Tale e quale a quelli che esistono in natura. Almeno così sembra a una donna.
Non vibrano ma si piegano in diverse posizioni.
Giuro che nell’articolo lei scrive che le sembrano «soulless». Senza anima.
È giunto il momento di presentarvi Henry, così vi rendete conto di che cosa stiamo parlando.
Ce ne vuole, di coraggio, per considerare questo pupazzo un’avventura erotica.

Henry

Ma Charlotte è un fiume in piena, dunque non si calma.
Henry pesa kg 61, pochi, per un uomo, però sempre troppi perché una donna possa tirarseli addosso.
Dunque, lei descrive accuratamente posizioni, possibilità diverse, che comprendono anche il tentativo di legargli le braccia alla schiena di lei per arrivare a qualche risultato narrabile.

Inoltre, lui si sporca facilmente. Subito è pieno di polvere.
E odora di plastica.
Lei si scoccia, ci ha giocato due minuti e poi lo ha sbattuto fuori dal letto.
(Eravamo rimasti sul divano. Come sceneggiatura di un film, sarebbe stata scarsa).

Che tristezza.
Che pena.
Charlotte dice pure che era poco eccitata e che avrebbe dovuto guardare prima di congiungersi con Henry un video porno.
(Come se i video porno fossero fatti per eccitare le donne).

La chiudo qui.
E Henry suscita in me una pena infinita e tenera. Portato a pezzi in una casa londinese, considerato non all’altezza, ridicolizzato, liquidato con un «non ne vale la pena».
Per quel prezzo, poi, c’era da aspettarsi qualcosa di meglio.

Se posso permettermi, e posso, questa storia, peraltro sempre divertente e a tratti esilarante, mi sembra l’ennesima svista femminile.
Le donne sono diverse dagli uomini e in questo sta la bellezza delle une e degli altri.
Se una donna si mette a scimmiottare gli uomini, va per la strada sbagliata.
Come quando si fa recapitare a casa un pupazzo con possibilità di scelta dei momenti interessanti in un uomo.

Meglio, mille volte meglio, il manichino di Mariana, che parla un altro linguaggio, che non ha nemmeno un nome e che è un compagno compiacente di un periodo di solitudine.

Come sempre, meglio, mille volte meglio gli artisti, in questo caso un regista uomo, ma sarebbe potuto essere donna, o avrebbe potuto fare fotografie o scrivere un racconto.

E chi se ne importa del Sexpert di «The Sun», che chiosa stupidaggini, che dice che siamo ben lontani dall’avere bambole e pupazzi realistici e che questi sono solo costosi gadget.
E indica pure, professionalmente, gadget economicamente più accessibili.

Ma guardati un film, va’.
Ma leggiti un romanzo.
Ma smettila di pensare che il sesso sia una cosa meccanica e, soprattutto e oggi, che i campi di azione delle persone e delle bambole, leggi anche: pupazzi, siano diversi.
Perché oggi tutto si mescola, prestiamo emozioni agli oggetti, ci innamoriamo di un fantasma e, secondo me e pure secondo Mariana, stiamo male se ci trasformiamo da umani in manichini.

Ovvero, se diventiamo «immobili, silenziosi, freddi».
Meglio buttarsi di sotto come il cane della puttana.
O, come suggerisce il regista, maschio, di Medianeras, aprire una finestra, fosse pure laddove aprirla non è legale.