Jessica e Roger Rabbit

Siate sempre lieti…lo ripeto, siate lieti

Lettera di San Paolo ai Filippesi, 4, 4

Sui mariti, io ho le idee chiare.
Ovvio che il Principe azzurro è il migliore di tutti: giovane, bello, ricco, bien élevé, e ci mancherebbe, sa stare a tavola, è innamorato, fedele, tutte lo vogliono ma lui vuole solo te, ha un avvenire brillante e una professione sicura.
Ci vuole così poco a maritare bene una donna.

Le idee chiare ce le ha anche Jessica Rabbit che rivela il motivo per cui ha sposato il coniglio: perché la faceva ridere.
Trovo questa dichiarazione geniale, soprattutto se uno pensa che un uomo capace di far ridere una donna di solito è giovane, quindi, pieno di promesse, poi però bisogna vedere se le mantiene; un uomo adulto, invece, che è già quasi sempre un autentico cordoglio, voi pensate solo ai problemi di lavoro che lo affliggono, di solito a farti ridere non ci pensa per niente.
Dunque, sembrerebbe, meglio i conigli, ma non ho esperienza.
Mi fido, però, di Jessica Rabbit.

Atto semiprivato, di complicità, culturalmente complesso, il ridere è stato a lungo condannato dalla religione e rigettato dai moralisti.
E ciò nonostante quello che dice in apertura San Paolo, il più grande scrittore del Nuovo Testamento, anche se, d’accordo, lui invita a essere lieti, non a sbellicarsi dalle risa.
Io, poi, detesto i barzellettieri, proprio non li sopporto.
Anche se con qualche eccezione, per esempio ho amato molto un generale dei carabinieri  che una volta, dopo una mia conferenza, prendendo l’aperitivo, mi raccontò la storiella dei commilitoni che erano andati in gita con un pullman a due piani e quelli di sotto bevevano e cantavano ed erano tutti allegri e allora uno di loro sale sopra a vedere perché dal quel piano lì non viene alcun rumore.
E li trova tutti immobili, con gli occhi sbarrati, che si tengono ai sedili.
E domanda perché non si uniscono alla gioia comune e uno, piccato, risponde: «Parlate bene voi, che avete l’autista».

Comunque, quelli che vogliono farti ridere a tutti i costi e professionalmente a me danno una grande tristezza.

«Nessuno ride delle medesime cose nel medesimo momento e nel medesimo modo. Il riso è il segno della nostra singolarità, del nostro corpo e del nostro tempo interiore».
Possiamo non ridere per distinguerci; possiamo ridere per riconoscerci in un gruppo, casomai di iniziati, casomai capace di definire la nostra appartenenza culturale. Da cui, credo, la mia incapacità di ridere di fronte allo humour inglese o alle barzellette ebree.
Il riso ci libera e ci lega a un tempo.

L’arte antica, anzi, arcaica, ha molto utilizzato il sorriso.

Kouros di Tenea, sec. VI a. C.

Lo ha fatto con ogni probabilità perché serviva un espediente prospettico, cioè per evitare che la statua, vista dal basso, avesse al contrario l’aria mogia. Ciò non toglie che il risultato, avvincente, è quello che vediamo oggi nei musei, guerrieri colpiti da una freccia che se la ridono mentre muoiono e divinità che sembrano genericamente benevoli.
Perché no.
E il sorriso arcaico è anche quello che vanno a cercare Jules e Jim nel loro viaggio in Grecia, per il quale si sono fatti confezionare abiti chiari uguali.

François Truffaut, Jules e Jim, 1962

Albert, compatriota di Jules, ha mostrato loro una fotografia  di una dea che «aveva un sorriso arcaico che li conquistò».
La statua era su un’isola, che loro raggiungono fra cimici, vino resinato, pioggia battente, dissenteria, rischio di tifo.
Anche con crisi di gelosia, l’amicizia virile fra Jules, Jim e Albert non è scontatamente tranquilla.
Arrivano sull’isola con un «vapeur-joujou», che è una nave giocattolo, corrono dalla loro statua e trascorrono un’ora con lei.
«Il suo sorriso era là, potente, giovane, assetato di baci, e forse di sangue».
Quando tornano a Parigi, ritrovano quel medesimo sorriso arcaico sul volto di Kathe.
E il destino si compie.

Ogni tanto ride pure Dioniso, anche se accade di rado, come se il dio del vino e dell’ebbrezza avesse altro a cui pensare.

Dioniso bambino, sec. II d. C.

Ve lo mostro in un’immagine che lo ritrae da ragazzino, poi potete divertirvi pure voi, così come ho fatto io, a cercare qualcosa di simile, chissà che non siate più fortunati di me, io ho trovato poco o niente.

Le religioni monoteiste non vanno d’accordo con il riso. Nell’Antico Testamento ride Sara, all’ingresso della tenda, quando Dio, accompagnato da due angeli, appare ad Abramo e gli dice che avranno un figlio. Loro, entrambi molto vecchi, lui, cento anni, lei, novanta.
Lei ride, il Signore la rimprovera, lei nega di aver riso, ha paura.
Nascerà Isacco.
Mai dire mai.
Casomai facendoci sopra una risata.

Nell’arte mesoamericana precolombiana ci sono esempi di figure che ridono apertamente.

Statuetta ridente, VII-VIII sec.

Sono delle statuette in ceramica alte poco meno di 50 centimetri, che in spagnolo si chiamano sonrientes  e che troviamo al MET a New York.
Davvero qualcosa di inatteso, soprattutto considerando che quella cultura ben di rado ha espresso delle emozioni, figuriamoci il riso, che è così dirompente.

Sorride, e prende il nome dal sorriso, l’angelo del portale nord della cattedrale di Reims, decapitato nel corso della Grande Guerra dai colpi dell’artiglieria tedesca.

Ange au sourire, Reims, sec. XIII

La testa cade a terra da un’altezza di quattro metri, si rompe in una ventina di pezzi, che sono raccolti e messi al sicuro nelle cantine dell’arcivescovado.
Essi saranno ritrovati alla fine del 1915, saranno ricomposti e l’angelo riacquisterà integrità e sorriso.
Questo è uno dei due motivi per cui una visita a Reims è piena di gioia. L’altro è la possibilità di degustare Champagne direttamente nelle loro cantine, io l’ho fatto e vi assicuro che non ne ho mai bevuto di così magistralmente servito e di temperatura perfetta.

Sorprendentemente troviamo qualcuno che ride nella Maestà di Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena.

Simone, Maestà, 1315, part.

L’opera meravigliosa rivela il cambio di marcia della città toscana, che, pochi anni prima, aveva inneggiato a un’altra Maestà, quella di Duccio, portata in processione intorno a piazza del Campo e poi eretta in Duomo. Opera ancora arcaica, quella, lo dice anche la tavola del supporto, opera  moderna, questa, dipinta ad affresco su muro.

Simone, Maestà, 1315

Ve la mostro anche nella sua interezza e nel suo splendore, un po’ messo in crisi da una brutta situazione ambientale, sotto c’erano i Magazzini del sale e il sale, si sa, trattiene l’umido e l’umido si allarga, quindi la parete è stata danneggiata, ma tutto è stato restaurato e tutto rimane raffinato e leggibile.
Il personaggio ridente, che è di profilo, dovrebbe essere l’arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione, evidentemente soddisfatto, davanti alla Madonna col Bambino, che il divino annuncio sia andato in porto.
(L’abitudine di guardare le opere sul libro con la lente di ingrandimento prima delle fantastiche possibilità che offre il computer certe volte ti mette davanti a certe sorprese.
E fu così che incontrai un altro angelo sorridente).

Non vorrei dilungarmi sul sorriso della Gioconda.

Leonardo, Gioconda, 1504

Per quanto riguarda l’argomento, concordo in pieno con gli studiosi che sostengono che esso è l’espressione di gioia serena di una creatura che sta bene in mezzo alla natura.
E poi quel sorriso è un enigma, no?
E l’enigma è bene che resti tale, altrimenti non c’è gusto.

Per quanto scarsi, gli esempi in arte di riso e sorriso ci sono, quindi decido di dividere la mia ricerca in due parti.
Oggi vorrei però ancora mostrarvi alcuni esempi seicenteschi, tutti olandesi.

Ride piuttosto spesso Frans Hals e ride la sua gente. Chiarisco, tutti stanno con qualcosa da bere in mano, quindi la loro allegria è dionisiaca e compensa la serietà consueta del dio, che, evidentemente, delega.

Fra i dipinti che vi propongo, il più importante è senza dubbio il secondo: noto con il titolo inglese, il felice bevitore ha fra mano e bicchiere tutto un gioco prospettico che, letteralmente, incanta.
Siamo invitati a un brindisi e vi prego di guardare anche la posizione della mano sul calice, che mi sembra sapiente e al corrente di come si sta al mondo.
Ma anche la strega orrenda non è male, con la sua civetta sulla spalla. Sappiamo, però, che in realtà si trattava di una barmaid, ovvero di una barista, molto nota nelle taverne dove andavano a ubriacarsi quelli della Guardia Civica.
Simpatici anche i due giovani, anche loro felicemente alticci e simpatico il loro cane, che speriamo sia felice senza bisogno di sostegno.

A Frans Hals, che è un po’ l’iniziatore del Secolo d’oro d’Olanda, fa spalla Johannes Vermeer, del quale esistono al mondo pochissimi dipinti, più o meno una trentina, e tutti sappiamo quanto essi appaiano preziosi ai nostri occhi.

Jan Vermeer, Soldato e donna che ride, 1657

In uno compare un soldato seduto al solito tavolo con una donna che ride.
Dico solito tavolo perché l’artista predilige rimanere dentro la propria casa, che conosciamo proprio dalle sue opere. Qui sono inquadrate la carta geografica e la sedia e la finestra, come quasi sempre accade, proietta la magnifica luce da sinistra, proprio sul volto ridente di lei.
Non sapremo mai che cosa abbia da ridere la giovane donna, potrebbe trattarsi facilmente di una scena di corteggiamento.

Dunque, Eros è sorridente?
Direi proprio di no, anche se fra riso e sesso ci sono dei punti comuni, per esempio entrambi provocano in noi una specie di lacerazione del nostro involucro, non è forse attraverso la risata e il desiderio che entriamo più facilmente in comunione con l’altro?
L’attrazione fra Antoine e Lucile ne La Chamade di Françoise Sagan si scatena esattamente in una cena con una risata condivisa, che mette in imbarazzo i commensali, che restano esclusi.
Inizia così una relazione amorosa passionale, capace di eliminare tutto il resto.
Il romanzo si chiude con i due amanti che si ritrovano vicini a un tavolo dopo che è passato del tempo, forse per una malizia della padrona di casa, ma nessuna risata esplode più fra loro, la complicità è morta, così come è morto il trasporto dell’uno verso l’altro.

C’è anche un riso cattivo, ma quello buono è segno di affetto, di simpatia, di familiarità.
Pensiamo al bambino che ride quando ci vede perché ci riconosce.
E che ne dite dei bambini di Donatello, putti dionisiaci, in particolare quello a destra, che fanno tutta quella confusione nientemeno su una cantoria?

Donatello, Cantoria, 1438, part.

L’opera, realizzata per il Duomo di Firenze, anche nel Museo dove è oggi conserva la vicinanza con quella di identico soggetto di Luca della Robbia, dove però i giovani cantori sono un po’ più educati.
Davanti a Donatello, che è un’autentica forza della natura, mi chiedo sempre che colonna sonora gli piacerebbe.
Ecco, qui avremmo da scapricciarci.

Noi ci ritroviamo presto.
Ma prima voglio farvi una confidenza: soffro di riso smodato.
Che poi sarebbe il muscolo orbicolare che chiude malamente, per cui, quando rido, piango.
Mi fece questa diagnosi un collega di Anatomia con il quale stavo in una commissione di esame, evidentemente non del tutto seriosa.

Mo Willems, Reginald e Tina

Lui si era accorto che io mi tamponavo continuamente gli occhi nei momenti di ilarità e mi spiegò per filo e per segno che cosa mi succedeva nella testa.
L’unico problema è in realtà il trucco, per cui, se mi diverto, mi impiastro pure di mascara.
Sì, certo, lo so che esiste anche il waterproof, ma figuriamoci: non sarò certo io a nascondere i miei sentimenti.