Sapete che vi dico?
Che mi avete stufato.
E che prima eravate più vigili, vivaci, divertenti.
Vi siete ridotti proprio male, state lì a fare scherzi cretini, io capisco che possiate sghignazzare di fronte a certe situazioni, tipo le due volte che ho messo le mani ieri l’altro e ieri nel secchio della spazzatura e tutto ho controllato, dalla buccia della mela al torsolo dell’insalata, però vi ricordo che in passato eravate capaci di ben altro, anzi, direi che eravate quasi brillanti, come quella volta che siete stati in grado di tirare fuori e di buttare a terra il libro di Tillmans sul Concorde quando ero indecisa se andare o no a prendere una persona in aeroporto e voi, clunk, usate il libro di foto di un aereo e il consiglio è «Vai».
Immagino pure che non sia stato facile per voi, prendere il libro, che stava dentro la libreria, tirarlo fuori e farlo cadere.
Piccoletti come siete, e fatti di una sostanza leggera, come siate riusciti in quell’impresa, ancora me lo chiedo.

E quell’altra volta, che mi avete commossa, mi era arrivata via sms la notizia della morte del mio autore preferito e, gasp, vado in salotto e che trovo sul tavolo? Il librino sul pugilato di Crepax, quello con la dedica che lui mi aveva fatto.
E pure lì avete superato voi stessi, avete fatto fare a quell’operina piccola ma compatta almeno due metri e mezzo, dalla libreria dove stanno i fumetti al  tavolo.
Dunque, sapete leggere, lo avete dimostrato più di una volta.

E quando me ne stavo alla mia scrivania e mi veniva da piangere per quanto ero stanca, ero stata tutto il giorno fra treni, Accademia, pioggia e freddo, ero delusa, triste e, eh eh, cade a terra dalla libreria all’ingresso La vita meravigliosa dei laureati in Lettere .
Pure spiritosi, siete.

A casa mia ci stanno i Mazzamurelli. Lo so, me ne accorgo di continuo, a Roma hanno anche un vicolo a Trastevere a loro intitolato, credo perciò che siano presenze abituali qui e là.
E chi dice niente.

Dico che però ultimamente hanno perso smalto, fanno solo scherzi idioti.

Non trovo più la matita per gli occhi che mi ero comprata prima del confinamento e che è stata per mesi in una busta nella quale avevo ammucchiato dei cosmetici di scorta.
Non trovo più l’ombretto, medesimo discorso, avevo comprato tutto insieme. Non me lo sono sognato perché dentro la busta, che stava in guardaroba sul ripiano delle maglie, c’era ancora lo scontrino, oltre a un flacone di latte detergente e altro.

D’accordo, il mese di agosto è stato trafficato, ma a chi interessano i miei trucchi?

Dispetti.
Sono andata in centro e mi sono ricomprata tutto.

Due sere fa stavo finendo di preparare una lezione, ho detto mi servo un calice di vino come aperitivo e la bottiglia, ogni tanto succede, era stata aperta il giorno prima e l’avevo richiusa con il tappo di gomma del Vacu Vin, che fra l’altro era l’ultimo rimasto, dunque, ci sto attenta quando lo tolgo.

Verso il vino, prendo il calice e me ne torno alla scrivania.
Poi va avanti la sera, apro pure un’altra bottiglia, si fa notte, riordino tutto e mi serve nuovamente il tappo perché della bottiglia, ogni tanto succede,  è rimasto un quarto.
Niente.
Il tappo non lo trovo.
Lo cerco dove dovrebbe stare: cassetto e scatola delle posate.
Non c’è.
Sul tavolo, nemmeno.
L’ho portato sulla scrivania. Ma che senso avrebbe.
È caduto in terra.
No.
È finito nella spazzatura: prima immersione delle mani per controllo.
Non c’è.
Altri cassetti, tasche, ripiani, sportelli.
Il nulla.
Dico va bene, dico domani ci penso.

Mattina successiva, nuovo controllo, nuova immersione nella spazzatura.
Mi rassegno, esco e mi ricompro tutto il kit, era un pezzo che lo volevo fare, questa cosa di un solo tappo è anche scomoda, se apri più di una bottiglia.

Vado a via Furio Camillo, dove è sopravvissuto un bellissimo negozio di macchinari e di tecnica enologica, sono quasi contenta di avere l’occasione di visitarlo, sono dei professionisti, la mia glacette viene da lì e anche dopo anni è sempre bella.
Compro un nuovo kit, scambio due chiacchiere, rientro, chiudo in modo meno provvisorio la detta bottiglia.
Non bevo mai prima delle 18:00.

Un’ora alla lezione.
Trac, come sempre.
Poi passa.
(Almeno, finora è passato sempre).
Ho tutta una serie di rituali, provo il microfono per la decima volta, chiudo tutte le cartelle, controllo che le prese del computer siano belle salde, ho già stampato la scaletta, passo in rassegna tutte le finestre, che devono essere chiuse, non è data la possibilità che un colpo di vento disturbi.

Spengo tutte le radio.
Certe volte mi capita anche di stirare, è un lavoro pulito, ti dà la possibilità di stare concentrato, la concentrazione è una cosa importantissima, se non stai concentrato non stai nemmeno dietro a tutti i discorsi che devono uscire fuori.
La temperatura del mio studio.
Il bicchiere d’acqua, che deve essere quello e non un altro.

Trentacinque minuti alla lezione.
Decido di medicarmi. La settimana scorsa ho avuto in casa quello che il mio medico ha definito un infortunio, una di quelle cose che succedono e che sarebbero potute finire peggio.
Ho un paio di grosse buste con dentro le creme, le garze e tutto quello che serve.
Le porto sul tavolo della cucina perché li c’è una buona luce e poi posso disinfettare il piano di marmo.
Sono due buste di plastica trasparente.
Che cosa vedo in una di esse, che fa capolino da sotto la scatola di garze?
Bravi.

Il tappo.

E adesso voglio vedere chi ce l’ha messo e come gli è venuto in mente di farmi quello scherzo.
In fondo si tratta di un atto gentile, il tappo non è stato nascosto in un posto dove lo avrei trovato, mettiamo, fra un anno, era chiaro che io avrei preso le buste per la medicazione almeno una volta al giorno, si è solo trattato di una piccola dilazione, andiamo, su, mica starai a prendertela per un tiro che non è nemmeno troppo mancino, per una celia, per quella che, tutto sommato, è una fanfaluca.

E chi se la prende.

Solo che, ffss, quando facevano gli intellettuali e comunicavano con me tramite i libri  e non stavano a punzecchiarmi con i loro giochetti insulsi, i Mazzamurelli mi stavano parecchio più simpatici.