Luchino Visconti, La caduta degli dei, 1969

Mica ce l’hanno raccontata giusta.
Non è vero che Visconti era un perfezionista, con le lenzuola d’epoca negli armadi d’epoca anche se gli armadi erano chiusi e le lenzuola non si vedevano.
Così, per fare meglio atmosfera.
Se fosse stato un  perfezionista, le ragnatele del palazzo del Principe di Salina nel Gattopardo non sarebbero sembrate quelle del tunnel dell’orrore al luna park.
Se fosse stato un perfezionista, rivedendo la Caduta degli dei non si sarebbe diffuso nel mio salotto l’odore di naftalina che veniva dagli abiti che indossavano i protagonisti.
La macchine non sarebbero sembrate quelle della Mille Miglia, simpatiche, sì, ma pure loro con sulla carrozzeria l’aria della fiera di paese e della baracchetta con le bandierine per metterle in mostra.
Se Visconti fosse stato un perfezionista, non sarei rimasta sulla mia poltrona a vedere le cose dall’esterno, pensando ma guarda questi che caricature che sono, guarda le bambine quanto sono petulanti, la casa quanto è finta, senti tu le voci come suonano male.
Se Luchino Visconti fosse stato un perfezionista, avrei partecipato torcendomi le mani alle vicende di una potente famiglia tedesca di industriali metallurgici alle prese con la salita del nazismo.
Ce n’era, di abbondanza di argomenti, buona per più stagioni di una serie, di quelle che ti incollano alla poltrona, allo schermo e al salotto.
E invece ne è uscito un film che non è un capolavoro, come ci avevano fatto credere e come anch’io ho creduto per un sacco di tempo.

Ma che succede al cinema.
Oppure, che succede a me che alle prese con certo cinema non sono più contenta.

Il primo dubbio è stato sulla lingua da scegliere.
Italiano, il regista lombardo era tale.
Ma l’unico attore che si doppia da solo è Umberto Orsini, quindi tutti gli altri hanno voci che non sono le loro.
Mi viene in mente che sia stato qui, il problema.
Ma non era l’unico.
Io che non amo il teatro (l’unica forma di teatro che apprezzo è l’opera lirica) perché è teatrale, mi sono sorpresa a pensare che la recitazione fosse poco incisiva, oppure distaccata dai personaggi.
E come sono i personaggi.

Barone Joachim von Essenbeck

Il barone von Essenbeck muore presto e buon per lui, così non deve assistere a tutto il film (a un certo punto ho avuto voglia di andare a fargli compagnia).
Aristocratico di razza, sprezzante, elegantissimo, è probabilmente colui con il quale il regista si è identificato quasi naturalmente.

Sophie & Friedrich

La nuora, moglie dell’unico figlio, un eroe scomparso di cui lui bacia la fotografia, sembra Francesca Bertini quando si attacca alle tende.
Ingrid Thulin è una grande attrice, scoperta da Ingmar Bergman e da lui diretta diversamente, senza le forzature che le sono imposte qui e che sono inversamente proporzionali alle reticenze del suo degno compare, un arrivista al quale Dick Bodarde presta una recitazione tutta in sottrazione.
L’estate scorsa, alla libreria grande qui dietro c’era un cesto con le offerte e vendevano Morte a Venezia, che non ho più visto, paghi due e prendi tre.
Io non ho quasi mai grandi dubbi, ma quella volta ho preso e rimesso a posto il dvd almeno tre volte, fosse che ho avuto un’intuizione, non è che qui mi si rovina pure il ricordo di un film che ho molto amato.
Alla fine ho preso altro, questo Visconti mi lascia perplessa.

Konstantin

Quell’altro parente, volgarissimo, assomiglia talmente al Cipputi di Altan che non riuscivo a guardarlo senza ridere.
Non me ne ero mai accorta, l’illuminazione mi è venuta stavolta ed ha continuato a fare luce su tutto il resto.

Cipputi

Come fai a guardare un film drammatico in cui recita Cipputi, andiamo, su.
Nemmeno con tutta la buona volontà.
Lascio perdere altri personaggi, interpretati comunque da attori di tutto rispetto e arrivo a Charlotte Rampling, bellissima, all’epoca ventitreenne, praticamente ai suoi esordi.
Fragile, elegantissima, trepidante, è forse quella che, dovendo praticamente dubitare e soffrire per tutta la narrazione, dubita e soffre meglio di tutti.

Elizabeth & Herbert

Straordinariamente decorativa, avendo una figlia (petulante) di undici anni, l’avrebbe dovuta partorire a dodici.

Strane incongruenze di un regista che non ama del tutto le donne e che lo rivela fra le pieghe della sua narrazione.
E anche questo è uno dei nodi del film.
Tutta la sequenza, lunghissima, della notte dei lunghi coltelli, praticamente l’epurazione di esponenti del partito nazista, mostra una strage di giovani maschi che sembrano tutti modelli della pubblicità delle mutande.
Però loro sono senza mutande.
Lì è davvero come se il regista fosse stato vittima dei suoi fantasmi, come sappiamo, ciascuno di noi è il peggior nemico di se stesso e Visconti non fa eccezione.
Indulge. Acconsente. Asseconda.
Annoia.
E questo elemento ci porta direttamente al Cocco di Casa, all’Eletto, a colui intorno al quale, guardando con un po’ di attenzione, gira tutto il film.
Dunque, com’è Helmut Berger, visto a distanza di cinquantadue anni, dopo che l’attore austriaco ha avuto tutto il tempo di fare scempio di se stesso.
Bello e dannato (oggi è solo dannato).
Pervertito, incestuoso, pedofilo, tossico.

Sophie & Martin

Discontinuo, umorale, con vette di virtuosismo, ovviamente nella sua rilettura di Marlene nell’Angelo Azzurro  ma anche in tutta la parte finale, in cui è come se si fosse liberato e fosse finalmente entrato bene nel personaggio.
Insomma, lui non delude, del resto è colui al quale il regista rivolge lo sguardo più partecipe.

Il cinema è un’arte, tale e quale alla musica e alla letteratura.
Senti la Callas e capisci al volo perché faceva cadere giù i teatri.
La voce della Callas è ciò che più mi emoziona al mondo.

Maria

Inserisci un disco nel lettore, ascolti la sua Traviata e non ti importa se è stata registrata nel 1958 al Royal Opera House di Londra, è come se lei stesse cantando per te e davanti a te in questo preciso istante.
E mettiamoci pure che stiamo parlando di un’opera andata in scena la prima volta nel 1853.
Niente, il tempo al capolavoro non fa niente, aggiunge solo ulteriori sapori.
Leggi un romanzo.
Io ho riletto, soprattutto in estate e più di una volta, alcuni romanzi che avevo incontrato da ragazzina, diciamo intorno ai quindici anni.
Mai una volta ho pensato ma guarda tu quanto ero scema, guarda che gusti dozzinali avevo, mai, dico mai non ho provato nei confronti di quella me adolescente un sentimento di partecipazione alla scoperta.
Nell’incoerenza della vita, nella casualità degli incontri, nella felicità delle conquiste, il cinema, che è un’arte nuova e moderna, mi sto accorgendo, sta un po’ per conto suo, talvolta risente malamente del passare del tempo, invecchia e lascia vedere difetti, incongruenze, rigidità, dissonanze.

Parlano bene, i critici, gli addetti ai lavori, i fautori di questo e di quel regista che hanno visto un film tempo fa e che non ci sono più tornati sopra.
Parlano bene ma non sanno che dicono, citano il parere di ieri, quello che è rimasto loro in testa.

Invece, poi.