LE FASCE PER TERRA, IL SUDARIO PIEGATO IN UN LUOGO A PARTE

Giovanni Bellini, Resurrezione, 1475-79, part.

La Resurrezione. L’hanno chiamato quel seduttore.
Ora, sedurre non significa del tutto quello che pensiamo noi. Significa, a essere precisi, ‘Distogliere dal bene con lusinghe e allettamenti, traviare sviare, indurre in errore, in colpa‘.
Questa è la Treccani, saprà quello che dice.
La pensano così i capi dei sacerdoti e i farisei: «…ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: ‘Dopo tre giorni risusciterò’».
Allora Pilato ordina che il sepolcro sia custodito «fino al terzo giorno», perché i discepoli non vengano a imbrogliare e a portarsi via il corpo, «così l’ultimo inganno sarebbe peggiore del primo».
Ci saranno delle guardie, ci sarà sorveglianza.
Dunque, erano andati  «ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia».
Ma non servirà a niente.
Perché, come si dice, ‘Non c’è porta che resista a gatto o a amante’.
Figuriamoci se una pietra, per quanto grossa, può resistere alla furia di riscatto trionfale del Figlio di Dio.
Infatti.


Infatti Cristo risorge, ovvero, dopo morto, ritorna in vita, ditemi voi se non c’è idea più completa di quel sentimento che a tutti sta a cuore e che si chiama speranza.
Deve essere stato un autentico coup de théâtre, un prodigio, di quelli che solo un seduttore sa mettere in scena.
Solo, non c’era nessuno a vedere, niente pubblico, niente testimoni.
I Vangeli rimangono laconici in proposito, Giovanni, per esempio, racconta che un paio di discepoli corrono al sepolcro, anzi, uno corre più veloce, dunque, arriva per primo e per primo vede le bende per terra. Quando arriva anche l’altro, entrano insieme in quel luogo dal quale la pietra era stata tolta e vedono «le fasce per terra, e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte». Tutta una descrizione accurata che, storicamente, ci dà notizie sul modo di seppellire i defunti presso i Giudei.
Ma sembra che la traduzione ‘le fasce per terra’ non sia corretta e che meglio sarebbe ‘le bende che giacevano distese’, frase che corrisponde a un’immagine bella e poetica: il corpo di Gesù è uscito dal guscio lasciandolo intatto, proprio come una crisalide, fattasi farfalla, esce dal bozzolo.
È anche probabile che, visto che il tessuto era per abitudine intriso di aloe e di mirra, Cristo sia risorto lasciando dietro di sé una scia di profumi.
Matteo, poi, parla di una specie di terremoto, di un angelo  che avrebbe rotolato la pietra e delle guardie, che si spaventano e che «tremarono e rimasero come morte». Dunque, non dormono, come invece pensiamo noi ogni tanto. Del resto, in quel frastuono e in quel portento, forse continuare a dormire non sarebbe stato possibile.
Ma tu va’ a sapere.

Alla concisione dei Vangeli (ricordarsi di non sbrodolare quando raccontiamo i prodigi nostri) fa eco, però, la fantasia scatenata degli artisti, che inventano un mondo muovendo da quattro parole.

Fra la tante mirabili, magnifiche, realistiche o oniriche resurrezioni, scelgo quella incantevole di Giovanni Bellini, figlio di Jacopo, fratello di Gentile, il primo vero artista del Rinascimento veneziano, che attacca un po’ in ritardo rispetto a quello fiorentino e che, come tutto ciò che riguarda Venezia, ha un carattere squisitamente suo.

Giovanni Bellini, Resurrezione, 1475-79

Eseguita come pala d’altare per la cappella della famiglia Zorzi nella chiesa di San Michele in Isola a Venezia, che, come dice il nome, è la chiesa dell’isola di San Michele, quella che ospita il cimitero (una collocazione perfetta, per parlare di resurrezione), la tavola quadrotta è ora custodita alla Gemäldegalerie di Berlino.
Era presente alla bella mostra di Bellini che ci fu alle Scuderie del Quirinale di Roma nel  2008-2009 e vado, dunque, a cercare alcune note che ricordavo di avere letto.
Noi pensiamo che il tema dell’opera sia la resurrezione di Cristo e, invece, voi fateci caso, esso è «la narrazione del cielo, la limpidezza della luce chiara e fresca nella mitezza della stagione, che assume il peso e lo status di vera protagonista dell’opera».
Narrazione del cielo, limpidezza della luce, mitezza della stagione, praticamente una formula perfetta per parlare di arte veneziana.
Tutto è condizionato dalla situazione atmosferica, che diventa stato d’animo e sentimento: l’uccellaccio sul ramo a sinistra guarda fuori dal quadro perché è stato neutralizzato dalla rinascita di Cristo, i conigli possono correre liberamente sul prato, le pecore che vediamo sulla destra accompagnate dal loro pastore stanno lì tranquille, niente le disturba.
Fusione intima fra uomo e natura, qualcosa di vicino a L’Infinito di Leopardi, un naufragio dolce che contiene in sé anche gli animali, sempre così importanti.
Sullo sfondo c’è una città con un fiume, un ponte e un castello, probabilmente è Monselice, certamente vediamo i Colli Euganei, in primo piano il paesaggio è fatto di rocce accidentate, si vede che dietro c’è Mantegna, lui e Bellini erano pure cognati, ne avranno fatti, di discorsi d’arte.
Ma il cielo, è vero, che meraviglia, giallo, quasi bianco nella luce del mattino, con il blu scuro della notte che lascia posto al giorno e nuvole rosa che lo percorrono.
Dei soldati, quello di sinistra, che ha una bella piuma sull’elmo, accenna a un gesto di stupore, lui, sì, che ha visto. Quello di destra, elegantemente vestito, con la spada nel fodero ma in mano la mazza con quell’ulteriore dispositivo d’offesa detto morning star (chissà dove si è documentato Bellini, oppure ha ritratto oggetti a lui contemporanei?),  guarda pure lui verso l’alto, mentre i due in primo piano, uno dei quali addirittura seminudo ma entrambi, comunque, con le armi deposte a terra, dormono, o forse stanno come morti per lo spavento.
E poi il Cristo, librato nell’aria, come sostenuto dall’atmosfera, con ai fianchi un panno un po’ rigido per le «suggestioni fiamminghe» e in mano il vessillo rossocrociato, ci accorgiamo che sta diventando puro colore, anticipando così il grande marchio di fabbrica della pittura veneta del Cinquecento, il ‘tonalismo’.
Tutto è quiete, rivelazione, misura, voi guardate la lastra rettangolare che sta a terra, quella che era stata usata per sigillare il sepolcro, potremmo rimetterla, come un pezzo di un puzzle che vada a ricollocarsi esattamente là da dove era stato ritagliato, esattamente al suo posto.
Fra le rocce, in secondo piano, compaiono le tre donne, che si stanno avvicinando alla tomba di Cristo, preoccupate: «Chi ci rotolerà la pietra dell’apertura del sepolcro?».
Ora, nei cicli della Passione la presenza delle Tre Marie figurava, almeno fino a Giotto, al posto della Resurrezione che, come abbiamo visto, è quasi elusa dalle Scritture, come se da sempre si riconoscesse al genere femminile la concretezza e la capacità di raccontare, questa volta un evento miracoloso per il quale si fatica a trovare le parole.
Ma, come sappiamo, la tradizione vuole che l’incontro delle donne con l’angelo, il cui aspetto «era come di folgore» e la cui veste era «bianca come la neve» e il suo informarle che Cristo era risuscitato siano spostati a domani.
Per oggi, ascoltiamo: si sono sciolte le campane e suonano a festa, c’è stata una rinascita dalla morte che ha confermato le nostre aspettative, nella prima notte di plenilunio dopo l’equinozio di primavera, siamo autorizzati a nutrire un sentimento di speranza, a pensare che realizzeremo i nostri desideri, presto o tardi, è una questione individuale, per ora ci basti sapere che l’avvicendarsi delle stagioni, il trascorrere del tempo e la medesima narrazione cristiana lavorano per noi e a noi daranno qualche risposta.

4 Comments

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  1. Lucia Fenicia

    3 aprile 2018 — 1:06

    Rosella, il tuo scritto sulla resurrezione del Bellini e’ emozionante e come al solito per i tuoi scritti ti coinvolge a diversi livelli. Non posso però fare a meno di ripensare con la mente e “con tutti i sentimenti” al Cristo risorto di Piero della Francesca recentemente restaurato. Ho avuto la fortuna di ammirarlo un anno fa quando il restauro non era completato a S Sepolcro. Se ne potevano apprezzare ancora meglio i particolari scoperti ed il vero colore del cielo. I soldati addormentati sono quasi una natura morta ed il Cristo eretto con il piede poggiato sul sarcofago un dio greco eterno. L’immagine mi colpì molto anche per i chiari rimandi matematici di Piero alla sezione ed ai rettangoli aurei. Lui era fondamentalmente un matematico e l’espressione di questo nella sua arte acquista per me un significato straordinario. Di ordine cosmico.Si tratta ovviamente di due opere molto diverse che colpiscono la mente ed il cuore soggettivamente. Grazie sempre di questo profondo e piacevole arricchimento che ci regali con lievita’ e profondità tue personali Buona notte.Lucia

    • Rosella Gallo

      3 aprile 2018 — 14:12

      Lucia, ti ringrazio per aver completato la mia resurrezione. Personalmente, oscillo, un anno è Piero, un altro anno è Grünewald, stavolta avevo voglia di colore e di atmosfera. Non vedo il tuo Cristo di Sansepolcro da un po’, quindi non so come sia il suo stato con il restauro, bisognerebbe cogliere al volo l’occasione e tornare a vederlo. Tu sai che, quando completarono i restauri agli affreschi del coro di San Francesco ad Arezzo, lasciarono le impalcature per un mese, con la possibilità di salire e di vedere tutto da vicino. Organizzai un viaggio per l’Associazione. fu molto emozionante, l’itinerario di Piero è sempre pieno di rigore e di calma. Ringrazio io te per la presenza e l’ascolto, trovo che uno scambio che investe anche l’arte abbia ancora più senso di una ‘normale’ relazione di stima e di amicizia. Con riconoscenza, ci ritroviamo dal vivo lunedì prossimo

  2. Lucia Fenicia

    3 aprile 2018 — 15:41

    Questo è proprio un esempio . Qualche anno fa facemmo un bellissimo viaggio in Germania e passammo da Colmar. Sicuramente abbiamo visto questa bellissima opera di Grunewald. L’abbiamo guardata ma non l’abbiamo vista. Grazie

    • Rosella Gallo

      3 aprile 2018 — 21:43

      Infatti. Credo che occuparsi di storia dell’arte serva (anche) a questo: a vedere. L’esperienza Colmar è talmente grossa, che dovrebbe funzionare da sola, ma credo che non sia facile, io ci sono arrivata dopo aver studiato per bene Grünewald (ma anche Dürer ha memorie sul posto) e sono stata malissimo per una settimana, la vista dell’altare mi ha sconvolta, ricordo che non riuscivo a riprendermi, comunque da una parte sono contenta di quello che mi dici, essere partita per Bordeaux per vedere il nostro Rolla mi è sembrato un tuo gesto bellissimo di appropriazione. E l’Alsazia sta sempre là, insomma, ci si torna, dunque, si rimedia

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