Giovan Battista Tiepolo, I venti, Palazzo Labia, Venezia, 1750

Solstizio d’inverno.
E un vento da cani.
Penso però, niente male, se asciugo il bucato porto domani mattina le lenzuola a stirare dalla signora Anna qui sotto e tengo un po’ il ritmo.
Dunque, prima di mettermi alla scrivania a preparare una lezione, stendo.
Ma stendo con cura, le cose piccole con quattro mollette, gli asciugamani, per lungo, così non sbattono contro il muro.
Il lenzuolo con almeno dodici mollette.
Già assaporo il guardaroba tutto a posto anche per Natale.
Devo stare attenta alla persiana, che va per suo conto, penso non è che mi viene addosso e mi fa male.
Tu pensa che Natale.

Stendo e mi metto a farmi i fatti miei.
Controllo ogni quarto d’ora perché il vento, si sa, inquieta.

Fra un quarto d’ora e l’altro, la visione: il filo del bucato è praticamente vuoto, garriscono al vento, sole, due federe.

Vado a prendere gli occhiali.
Sono miope e mi servono.
Ispeziono i giardini sotto la mia finestra, controllo ogni metro quadro.
Niente.
Nel frattempo mi rendo conto che il filo della signora di sopra si è rotto e che pende davanti alla mia cucina, con una felpa ben legata dalle sue mollette.
Decido di lasciar perdere, lei può recuperare la sua roba semplicemente tirando.

Sì, ma dove è finito il mio lenzuolo.
E, soprattutto, c’è qualcuno cui interessa.
Me lo ha regalato una persona che segue le mie lezioni, nel trasloco si è resa conto dei quintali di biancheria che non entravano nella casa nuova.
Sapeva che apprezzo il bianco.
Mi ha fatto omaggio, fra le altre cose, di una parure ricamata probabilmente degli anni ’30, una cosa bianca e bellissima, ogni volta che mi infilo nel letto che ho fatto con quelle lenzuola, le mando un pensiero di riconoscenza.

E inoltre.
La gente usa lenzuola colorate, arancioni, rosse, qualcuno dorme nel Bacio di Klimt, altri nella bandiera americana.
Vuoi vedere che ho trovato un miscredente che vuole il mio corredo.

Ci penso, ma ci penso fino a un certo punto.
Ho fretta e ho da fare.
Sai che ti dico, tienilo, e mi dispiace che sia un po’ liso, mi viene in mente mia madre che mi diceva sempre che la biancheria deve essere in ordine, tutta, quella personale e quella di casa.
Quasi quasi mi vergogno.

Lavoro tutto il giorno, lavoro oltre la sera.
Mi affaccio di nuovo prima che faccia del tutto buio.
Niente, sempre.

Dico vuoi vedere che domani quando esco trovo il mio lenzuolo nell’atrio del palazzo.
Casomai scrivo un biglietto: «Ho perso un lenzuolo, matrimoniale, bianco, con un bel ricamo. Qualcuno l’ha trovato? Ricompensa».
Vi do dei soldi se mi ridate il mio lenzuolo.
Anche perché, diciamocelo, voi non siete nemmeno capaci a stirarlo.
E poi le federe le ho io.
Un ricatto con uno scambio in piena regola.

Mannaggia il vento.

Circa le dieci di sera.
Devo chiudere la cartella.
Devo sgombrare un po’ la casa.
Cenare.
Veramente da circa tre ore mi sono portata un calice al computer e la chiusura della lezione è andata bella liscia.
Voglio portare giù un po’ di carte e un paio di bottiglie, domani quando esco sono così carica di libri e di altro, che è meglio se mi organizzo.

E poi, in cuor mio, speravo di scendere e di ritrovare il mio lenzuolo.
Ah, la speranza.

Controllo che non piova, prendo il telefono e le chiavi di casa, mi sono appena ordinata un libro di moda del mio teorico preferito, mi arriva giusto in tempo per Natale.

Un segno. Nel 2020 ricomincio a occuparmi di abiti e di stoffe, come ho fatto per anni.

E poi ho altre lenzuola, me ne sono appena comprate due dell’Ottocento, bellissime, più belle di quello volato via col vento e pure rovinato dai lavaggi.

Apro la porta e paf: eccolo.
Sta a terra in una busta del supermercato, è fradicio, evidentemente è caduto circa mezz’ora dopo che lo avevo steso.

Non ci sono segni di raccolta e mancano tutte e dodici le mollette.
Evidentemente l’ignoto salvatore se le è tenute.

Deduco che le mie mollette di legno solido sono più appetibili delle mie lenzuola.
Poco male.
Scendo, mi libero del superfluo, rientro e apro la lavatrice. Bollitura, almeno 50°.

Che cosa sia successo dal filo al ritorno, non lo so.
Però il lenzuol prodigo va rimesso in sesto, disinfettato e ripulito da tutte le avventure che ha vissuto oggi.
Chissà se pure lui, biblicamente, ha avuto a che fare con i porci.
Va’ a sapere.
Domani faccio il lavaggio.

Quello che so è che spengo tutto, computer e luce, felice che tutte le mie pecore siano nell’ovile.
Con quello che succede fuori nel mondo, soprattutto quando soffia così forte il vento, c’è da preoccuparsi.
Davvero.

John Singer Sargent, Biancheria, 1910