Ina Hattenhaurer, Doll’s House Sticker Book, Kitchen

«C’è sporco e sporco»
Louise Rafkin, Lo sporco degli altri. Avventure di una donna delle pulizie
da New York a Kyoto
, 1998

Alla fine mia madre ha avuto quello che voleva: una figlia casalinga.
Nella sua concezione del mondo, una femmina doveva da subito imparare a tenere bene una casa, poi trovarsi un marito e in seguito fare dei figli.
Esattamente in quest’ordine.
Qualcosa nella mia educazione deve esserle sfuggito, visto che, come già accennato, a nove anni, quarta elementare, quando lei cercò di iscrivermi al corso pomeridiano di cucito organizzato dalla mia scuola, io le risistemai le bretelle e le dissi chiaro chiaro che il corso di cucito se lo andava a fare lei, perché io ero un’intellettuale e, quindi, mi andavo a fare il corso di inglese.
Quelle prime parole, «How do you do» e «How are you», furono i segnali della mia emancipazione.
Relativa, perché, non ho mai capito se per le cure materne o se perché sono fatta così, per me la casa rimane il centro del mondo.

Chiedo spesso alle donne come sono state tirate su dalle loro madri e, se sono madri,  come hanno tirato su le figlie.
Le risposte sono sempre interessanti. Una signora, ora anziana e rimasta mondana, mi disse che la madre le aveva insegnato a essere felice, non a tenere in ordine la casa.
Un’altra mi ha raccontato che la figlia andava a scuola e che quindi non si poteva occupare di rifarsi il letto.
(Andavo a scuola anch’io, ma l’impegno funzionava diversamente).
Come abbiano fatto poi le ignare a gestire un’abitazione, mi sfugge.
Anche perché una casa è un dispositivo esigente e complicatissimo, che necessita di continue attenzioni.
Come sanno bene tutte coloro che sono casalinghe dentro.

Avendo, però, qualche altra cosa da fare, mi sono organizzata. E l’organizzazione domestica  comporta tutto un sistema di deleghe che va messo in opera e controllato. La casa esige, come un po’ tutto, un ritmo, se tu pulisci una sola volta a settimana, tu vivrai in un posto quasi decente per un solo giorno, gli altri sei li passerai in una stalla.

Quando io dico che casa mia è sempre sporca, spesso mi guardano con compatimento. Non capiscono il senso del paradosso: la mia casa è sempre sporca perché viene pulita continuamente.
Figuriamoci com’è una casa che viene pulita poco e raramente.

In quest’ottica e in questo senso, il mese di luglio è sempre difficile: la domestica, storica, dodici anni di servizio, se ne va in vacanza.
Le ho provate tutte: ho pulito io; ho pulito poco o niente; ho cercato una sostituzione, come sto facendo da qualche tempo.
Questo tipo di passaggio di consegne è complesso e spesso traumatico. Si deve ricominciare tutto daccapo con una persona estranea, bisogna chiarire che quello sportello chiude in quel modo e che quel pavimento è delicato, dove sono i detersivi e come funziona l’aspirapolvere.

Pubblicità aspirapolvere vintage

Essendo quest’ultimo un elettrodomestico che secondo me è stato pensato per un utilizzo da parte di un ingegnere, voi provate solo a vedere una colf normale alle prese con il cambio del sacchetto, con il comando dell’intensità della potenza o con il tubo telescopico.
Questa sopravvalutazione delle donne mi sfinisce.
Anche se nella deliziosa pubblicità storica di uno degli ultimi modelli Hoover, che vi mostro, di che colore è il nastro che tiene nel becco la cicogna?
Rosa.
Invece dei corsi pomeridiani di cucito, dovrebbero organizzare per le femmine quelli di meccanica.

Come funzionano, allora, le faccende domestiche del mese di luglio? Come un sorvegliato speciale: praticamente non si deve perdere di vista il lavoratore.
Che, appena ti volti, fa saltare le cerniere dell’alettone della cappa della cucina; confonde ciò che deve andare in lavatrice con ciò che deve stare fuori; non si ricorda da quale scaffale ha estratto quei libri e li risistema da un’altra parte (un libro fuori posto è un libro perso, talvolta per sempre); smonta tutta la costruzione delle carte della scrivania per rimontarla a testa sotto.
Per dire: ho smarrito la sveglia, che per definizione è l’unica cosa utile, insieme al bicchiere dell’acqua, fra tutte quelle che ci sono su un tavolino da notte: come ha fatto ad arrivare in un’altra stanza, diversa, qui sta il punto, da quella da letto?
Certo, tutto questo accade perché qualcuno mette le mani sulla casa e la pulisce, dunque, è encomiabile, una passata di straccio, chiunque è capace a darla, il problema è il resto.

Alla luce degli accadimenti di questo mese, la mia sensazione di non essere riuscita a fare altro, se non a stare dietro alla casa, è divorante.
Le due volte a settimana allungano la loro ombra su tutti gli altri giorni, devo essere presente, svegliarmi presto, liberare il campo da quanti più segni possibile di esistenza, scarpe, riviste, film, biancheria delicata che deve essere protetta, intrattenimento verbale, caffè, ascolto delle vicende sentimentali.
Un lavoro nel lavoro, come è anche normale che sia.

Robot domestico

Da qui il sogno che accarezzo da un pezzo del robot per le faccende domestiche, che spolveri, lavi, stiri, cucini e innaffi pure le piante.
Con questo caldo, anche due volte al giorno.
E che non voglia fare conversazione, mettere al mondo dei bambini, andare al mare a riposarsi.

Un aiuto vero, concreto, affidabile, stabile, senza ferie né umore storto.

Per non parlare delle magagne che escono fuori. Ognuno ha il suo metodo di lavoro, le mattonelle della cucina, quelle dietro al tavolo di marmo, rientrano nella routine o vanno collocate fra le pulizie di Pasqua, quelle a fondo?
I lampadari, ogni quanto si spolverano?
E gli interni, quelli meno intimi?
Sì, perché di quelli intimi mi occupo io personalmente, non solo del guardaroba, ma anche dei calici e delle porcellane.
Guai a chi mi tocca la mia attrezzatura da tavola in festa.

Comunque, anche quest’anno è quasi fatta, siamo a fine mese, nel tunnel si comincia a vedere una luce.
Inoltre, io sarei gelosissima di qualcuno che avesse preso il mio posto, fosse pure provvisoriamente.
Mi mette in allarme questo disinteresse, questo non preoccuparsi per un intero mese di una casa che si cura tutto l’anno, non lo farebbe una madre con la sua creatura, non lo farebbe uno studente con la sua tesi di laurea.

Almeno credo.
Oppure sono solo io ad aver sviluppato tanti e tali sentimenti nei confronti della casa, il nido, il porto, il cibo, il sonno; il bucato, le tende, i mobili da spolverare, i pavimenti da tirare a lucido, le esigenze delle piante e degli elettrodomestici.

L’incubo, il miraggio, il risveglio.
Il gusto, che solo le anime casalinghe conoscono, della biancheria pulita e impilata, di camminare a piedi nudi senza timore di raccogliere polvere, di starsene in poltrona e rimirare quel particolare sfavillio che arriva dal corridoio, quando tutto è stato riordinato, lavato, rimesso in sesto e si capisce al volo che è proprio vero, che il cuore ti dice dove sta la tua casa perché è nella tua casa che il tuo cuore abita.