Le sabrage

Una volta faccio una lezione in un’aula che stava praticamente piegata in due dal ridere.
Tutto perché mi ero messa a raccontare di una mia fantasia riguardo un ipotetico e auspicabile invito a cena da parte dell’Achille di Troy.
E avevo elencato alcuni miei dubbi.
Li elenco anche a voi:
1. Che mi metto, con uno che arriva conciato in quel modo
2. E se i cavalli mi fanno la cacca davanti al passo carrabile, che racconto ai condomini
3. Lui è anche uno iracondo. Cantami o Diva del pelide Achille l’ira funesta. E se mi fa un guaio al ristorante per una questione di prenotazione o di tavolo

Quello che allora non mi era venuto in mente è stato l’ingombro della spada.
Mi è venuto in mente adesso, quindi, messi da parte i consigli sull’abbigliamento (in peplo non mi ci vedo più di tanto) e risolto il problema dei cavalli, che potrebbero stazionare più in là, una buona idea sarebbe evitare i luoghi pubblici e formulare un invito a casa mia.
E qui mi è venuto in soccorso il mio galateo, al quale ormai mi attengo scrupolosamente.

Ora vi racconto.
Questo e altro.

Come è noto, tutti gli uomini sono dotati di spada.
Ma non mi fate diventare maliziosa e accontentatevi di cogliere al volo la metafora.

Achille

E può rivelarsi utile il consiglio del galateo.
Sto parlando del mio breviario di usi del mondo (Usages du monde) datato al 1891 e curato dalla Baronne Staffe.
A dirla tutta, lei era «une baronne de pacotille», ovvero un’usurpatrice, del nome e del titolo aristocratico.
Non solo. Lei usurpava anche la conoscenza del mondo visto che, nata Blanche Soyer in un paese di provincia, era stata allevata da due zie, in un ambiente modesto.
Da questa sua situazione lei non uscirà mai. Certo, con i diritti d’autore si sarebbe fatta costruire una villetta alla quale avrebbe dato un nome che è tutto un programma: Villa Aimée, ovvero Villa Amata. E lì sarebbe andata a stare, completa di zie.

Insomma, lei è una «signorina virtuosa e oscura» che diventa famosissima fornendo indicazioni su come comportarsi in ogni occasione mondana.
Quando non dà consigli di seduzione.
Probabilmente la sua buona stella, di cui non ha approfittato diversamente, l’ha collocata nel momento storico giusto: l’età d’oro della politesse borghese, intendendo per politesse qualcosa di simile alla nostra cortesia, ma con un senso ben più vasto, essendo la Francia il luogo dove la Corte ha segnato il tono con i suoi riti e la sua etichetta per tanto tempo e il paese che si è dovuto riassestare quando lo spirito Ancien Régime è sembrato a tutti «frivolo, aristocratico e capace di generare ineguaglianze».
Con l’arrivo di Napoleone nel 1799 e la Restaurazione del 1814 c’è un grande ritorno ai principi del savoir-vivre.
E la Baronne Staffe, con la sua modernissima schizofrenia, arriva al momento giusto.
Se volete divertirvi, andate a vedere come doveva vivere una donna nella sua epoca, insomma, leggetevela. La Baronne Staffe pubblica di tutto, manuali per l’educazione dei figli, per ricevere, essere amate, riuscire nel mondo, ottenere il brevetto di donna chic, essere eleganti, gestire la chincaglieria al femminile, gioielli, pietre preziose, merletti, ventagli e altre cose superflue (lo dice lei, mica io), stare a tavola, al capezzale dei malati, in famiglia.

E trattare le armi con cui gli uomini arrivano a casa vostra.
Militari, ovviamente. E che altro era Achille se non il re dei Mirmidoni, che erano tutti dei guerrieri, da lui scelti e addestrati.
Allora statemi a sentire: la padrona di casa che invita «dei militari a una soirée, a una cena, deve dir loro, all’arrivo “Suvvia, disarmatevi, capitano, comandante eccetera”. Un ufficiale non lascia la sua spada, in un salone, se non dopo questa sorta di permesso…».
Dunque, il permesso deve venire dalla padrona di casa, che non deve dimenticare di accordarlo.
Questa faccenda della spada portata dagli uomini sta diventando ingombrante.
A proposito di ingombro, mi raccontava un amico che un sarto storico usava chiedere ai suoi clienti, nel momento in cui confezionava loro i pantaloni, dove portavano il fastidio.
Ora, io sono una donna, quindi di fastidi ne conosco altri, però questa cosa mi è sembrata deliziosa e volevo raccontarvela.

Ma torniamo alle spade, quelle vere.
Mi sono messa a pensarci e l’unico uomo che conosco che ne porta davvero una è un mio amico, ufficiale dei Carabinieri. Che io vedo, però, sempre in libera uscita, ovvero in jeans, visto che lui mi fa la gentilezza di seguirmi nella mia attività professionale. Giovane, bello, laureato in Fisica, gran portamento, devo dire che fare due passi a piedi con lui è un piacere: non ti urta, non ti strattona, sa quando cedere il passo. Più di una volta gli ho proposto di organizzare dei corsi di formazione, una formazione vera, per uomini che non sanno stare al mondo.
Trovo terribile, in istrada, quello che non ci pensa, a farti camminare dalla parte corretta.
Io ho visto il mio amico con la spada, ovvero in alta uniforme, solo nelle sue foto di nozze. Si è sposato con una Finanziera, cioè con una ragazza che sta nella Finanza. Lei è deliziosa, bella, sta preparando un concorso ed è pure sommelier.
A questo punto, per la relazione fra spada e sommelier, vedi oltre, anche perché è di questo, anche se ancora non lo sapete, che stiamo parlando.

Guardate quanto sono belli i Carabinieri in alta uniforme.

Quando ho visto le foto delle nozze, ho chiesto alla sposa perché non stava in alta uniforme pure lei.
Perché l’alta uniforme delle Finanziere è un mortificante tailleur nero, mi ha risposto.
Ecco un’altra discriminazione operata ai danni delle donne: niente spada e niente pennacchini.

E, a proposito di pennacchini, che, però, si perdono, vi propongo la bellissima aria Non più andrai farfallone amoroso dalle Nozze di Figaro di Mozart.  Che succede al povero Cherubino, «Narcisetto, Adoncino d’amor»?


Succede che si è infilato in un ulteriore guaio per il suo stato di innamorato cronico e Figaro se lo vuole togliere dai piedi.
Lo manda, allora, a fare il soldato. Solo che i pennacchini, al contrario dei Carabinieri in alta uniforme, Cherubino li perde.
Guadagnando però, ciò che oggi ci sta a cuore: una spada.

Fra guerrieri, poffar Bacco!
Gran mustacchi, stretto sacco,
Schioppo in spalla, sciabla al fianco,
Collo dritto, muso franco,

Un gran casco, o un gran turbante,
Molto onor, poco contante.

Mozart/Da Ponte, ricordiamocelo, proprio come Battisti/Mogol, la perfetta intesa fra musica e parole.
Qui, in più, con il bravissimo Ildebrando D’Arcangelo,  che ho applaudito più di una volta in teatro e che, diciamocelo, è sempre anche un gran bel vedere (oltre a un gran bel sentire).

E vengo finalmente al punto.
Voi come aprite una bottiglia di Champagne?
In francese: sabrer le Champagne.
Che dovrebbe significare stapparlo.
Ma la cosa, come sempre accade nelle faccende d’arte, e se non è arte lo Champagne, abbiamo chiuso e vado a fare altro, è ben più complessa.
Dunque, seguitemi.
Attentamente.

Napoleone aveva un valletto che si chiamava Constant, che scrive le sue memorie.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Napoleone sul suo trono imperiale, 1806

E vorrei vedere. Se le memorie non le scrive il valletto dell’Imperatore, chi ha il diritto di scriverle.
Dunque il generale Dorsenne dà un grand souper. Che è una grande cena. Nel corso della quale vini del Reno e d’Ungheria sono sablés.
E qui già cominciamo a muoverci all’interno del nostro labirinto di oggi.
Sabler un verre de vin dovrebbe significare ingoiare d’un colpo un bicchiere di vino.
Cioè versarlo in gola proprio come una materia fusa si versa in fretta nello stampo (jeter en sable).
Ma c’è un’altra strada, altrimenti che labirinto sarebbe, che ci porta a un’altra interpretazione.
Secondo qualcuno l’espressione avrebbe a che fare con una certa abitudine degli aristocratici russi, che, trovando il gusto dello Champagne troppo secco, inumidivano il bordo del loro bicchiere con l’alito e poi vi depositavano dello zucchero in polvere, che evocava le sable blanc de la mer Noire.
Immagine cromaticamente importante: la sabbia bianca del Mar Nero.
Lascio perdere che in francese i generi sono invertiti, per cui la sabbia è maschile e, il mare, femminile e vado avanti.
Però, come sempre faccio in aula, vi chiedo: ci siamo?
In sintesi, la locuzione sabler un verre de vin significa bere in abbondanza, portando la bottiglia al bicchiere e il bicchiere alla bocca.
Rituale bellissimo.

Poi però.
Nell’enigmistica c’è un giochetto che si chiama Cambio di consonante.
E adesso, la consonante, pure noi la cambiamo.
Arriva l’altra locuzione: sabrer le Champagne.
Che, vi assicuro, trovate sulle riviste con una falsa aria innocente e potete tradurre con stappare lo Champagne.
Però, vi avverto, le sabre è la spada.
Ce lo fa vedere pure Matisse, nel suo meraviglioso saltimbanco.

Henri Matisse, L’Avaleur de sabres, Il Mangiatore di spade, 1947

E lo Champagne si può pure stappare con la spada.
Lo facevano gli ufficiali dei reggimenti di cavalleria di parecchi eserciti nel mondo, a cominciare dagli ussari della Guardia imperiale napoleonica.
Al ritorno dalla battaglia, questi centauri sabraient le Champagne, dunque, aprivano lo Champagne con un colpo di spada.
Rendendo così omaggio alla vittoria, al vigore, alle virilità e alle donne.
Gesto spettacolare e magistrale.
Se penso che conosco almeno un paio di persone che arricciano il naso davanti alla possibilità che un tappo di Champagne produca un qualche rumore, rimango perplessa.
Ho anche provato a dire che in inglese c’è pure il verbo to pop, che è onomatopeico e che indica esattamente il rito dell’apertura della bottiglia.
E ho aggiunto che c’è un’inglesina, che per me è un faro in fatto di vino, che scrive in una sua opera fondante, a proposito di un picnic: «only rain ruins your fun more than the sound of someone else’s champagne cork popping».
Cioè che solo la pioggia rovina il vostro divertimento più del suono del tappo di champagne di qualcun altro, popping. Cioè che fa pop.
Niente da fare: il naso rimane arricciato.

E allora, il sabrage?
Cioè l’apertura della bottiglia con la spada. Che ne pensi?
E, soprattutto, ne sei capace?
Il metodo è questo:
1. Togliere la coiffe per far apparire il tappo e la gabbietta, senza aprirla. Il vetro del collo è denudato
2. Tenere la bottiglia in obliquo orientata in una direzione sicura e posare una lama il più possibile pesante nel mezzo della bottiglia. Il lato tagliente deve stare verso di voi
3. Far scivolare la lama ben a piatto sul vetro, senza brutalità né velocità eccessiva, dal mezzo della bottiglia verso il tappo, mantenendo il contatto con la bottiglia
4. Lo choc secco del dorso della lama (che è efficace tanto quanto il lato tagliente) sul rigonfio del collo della bottiglia provoca una rottura netta: tappo, gabbietta e collo prendono il volo, seguiti da uno sgorgo gioioso
5. Ora non resta che riempire i vostri bicchieri e festeggiare l’evento

In pratica e per immagini e pure, anzi, soprattutto, se non avete la spada degli ussari.
(Da notare che questo sommelier usa quello che a Roma si chiama sgommarello, utensile da cucina di cui mai e poi mai avrei sospettato la doppia vita. Dunque, non solo minestrine, bensì anche bottiglie di festa).

Che ne penso.
E che ne so.
So che a vedere queste pratiche mi è tornata in mente quella volta che, con i genitori assenti, organizzai una cenetta con alcuni amici a casa mia.
Un tappo, certamente non di Champagne ma nemmeno di Coca-Cola, partì disgraziatamente e ruppe il lampadario della sala da pranzo.
Ovvero, ne ruppe un pezzo.
Oltre alla cenetta clandestina, dovevo rendere conto pure del danno.
Pensai di scappare da casa, di suicidarmi, di chiudermi in convento.
Non ho mai confessato il misfatto.

Mia madre riteneva che, loro assenti, io andassi a letto presto.
Sì, buonanotte.
Rientrata, non si accorse di niente.
E non credo che sia mai arrivata a sospettare che io fossi stata così audace da organizzare, sul sacro suolo domestico, addirittura un festeggiamento.
Pure con i tappi che saltavano dalle bottiglie.
E che, oltre a rompere i lampadari, producevano però anche quel rumore bellissimo: quello della festa, della trasgressione, dell’ubriacatura dell’adolescenza.

Freschissima, inedita, tutta da indagare.
Pure senza gli ussari della guardia imperiale.