Fernand Khnopff, Des Caresses, 1896

Biglietto n° 88: Des Caresses di Fernand Khnopff, 1896

L’importanza di avere nipoti. Un genio, quello che si è chiesto di chi fossero figli Qui, Quo e Qua.

Qui, Quo, Qua

In realtà, a cercare si trova che hanno una madre, che è la sorella gemella di Paperino e un padre, che è il cognato.
Ma mi piace pensarli orfani, dati in carico allo zio Paolino perché non hanno trovato di meglio, identici uno all’altro se non per i colori, che sono oggetto di dissertazioni filosofiche, vagamente saccenti, Giovani Marmotte, quindi, scout in eterno.


A sua volta Paperino, come è noto, è nipote di Paperone, quindi i rami percorribili aumentano.

Anche Pippo ha un nipote, che si chiama Gilberto, che è straordinariamente dotato intellettualmente e che indossa sempre il Bachelor Hat, il copricapo dei laureati americani.

Gilberto

Impossibile non pensare a lui a fronte di quelle mascherate che accadono dalle nostre parti, dove da qualche tempo gli studenti della triennale si decorano la testa dell’alloro dei poeti e degli imperatori e del cappello dei cartoni animati.
Contenti loro.
Il mio nipote prediletto, a parte quello mio, è Tuffy, detto da noi Soldino, il topolino che a un certo punto arriva nella vita di Jerry, quindi anche in quella di Tom.
Quando si sistema nella narrazione, indossa sempre il pannolino.

Che si allarga come la sua giovanissima pancia quando si è ben riempito, essendo, come tutti coloro che vogliono crescere, un gran mangione.
All’inizio però è nudo come tutti gli altri personaggi, si presenta mandato dal Cielo e individua subito Uncle Jerry e Uncle Tom, che, evidentemente, lo adottano.
L’esordio è irresistibile, perché il sorcetto vuole divertirsi e si infila fra le uova che cova la chioccia.
Ritrovandosi fratello di una nidiata di pulcini, con i quali è felice di mescolarsi nonostante la perplessità del gallo, che domanda chiarimenti alla gallina, e quella allarga le braccia, volevo dire le ali e scuote la testolina, il tutto a base di chicchirichì e coccodé, mica lo so come è potuto succedere.
Dopo aver lisciato Tom e Jerry tutta la vita, li incontro adesso per uno di quei ritmi di Instagram che non sono nemmeno da indagare per quanto sono evidenti.

Tom Cat & Jerry Mouse

E guardo un episodio dopo l’altro, divertita dalla fantasia inarrestabile dei creatori, che non si fermano davanti a niente e disegnano un mondo di animali che vivono come vivrebbero gli esseri umani se avessero più fantasia, preparandosi a diventare moschettieri, riposando sull’amaca in giardino, giocando a ping pong, sedendosi a una tavola sontuosamente imbandita, con sopra abbondante formaggio coi buchi.
E inseguendosi uno con l’altro, in una fuga continua, con dei cambi di marcia che fanno sì che certe volte non si capisce più chi scappa da chi.
Jerry ha una casa vera e propria, un mondo nel mondo.
La casa ha due ingressi: il buco che annuncia la tana e, dall’altra parte, una porta vera e propria, con tanto di campanello.
La sera, quando Jerry rientra, appende il cappello.


Come vedete, ha anche una poltrona di design, che si ispira alla Egg Chair di Arne Jacobsen, 1958.

Arne Jacobsen, Egg Chair, 1958

A movimentare una situazione già movimentatissima, ci sono anche due cani, stavolta padre e figlio.
Disegnati col pantografo, con il cucciolo che lecca tutti e il padre orgoglioso che lo chiama My Boy.

 

Spike e Tike

Questi animali, più sono grossi, più sono tonti, i più svelti sono i topolini, vivaci e intraprendenti, una bella lezione per coloro che contano solo sulla forza fisica.
Che cosa hanno di speciale questi animali. Di speciale hanno che sono fantastici, ossia che sono animali non del tutto animali, sui quali viene riversata l’immaginazione di chi li racconta.
Questo accade da sempre, perché da sempre gli esseri umani inventato storie nelle quali gli animali subiscono delle metamorfosi.
Anzi certe volte sono gli stessi umani che diventano animali, voi prendete per esempio la storia di Callisto, la ninfa del seguito di Artemide amata da Zeus, con il quale generò Arcade.
A un certo punto, Callisto viene trasformata nella costellazione dell’Orsa Maggiore.

Costellazione dell’Orsa Maggiore

Non si sa da chi, forse da Zeus, che la voleva proteggere dalla gelosia della moglie Era, forse da Artemide per punizione.
E Arcade diventa Arturo, la stella luminosissima con un diametro pari a ventitré volte quello del sole, come sa bene il ragazzino dell’isola di Elsa Morante che porta questo nome.
Arturo è il guardiano dell’Orsa.
Il tutto molto tempo prima della vicenda di amicizia di Koda e di Kenai.

Koda e Kenai

Il primo, l’orsacchiotto più simpatico che abbia incontrato in vita mia, il secondo, un ragazzo eschimese che ha ammazzato la madre del cucciolo e che si ritrova mutato in orso.
E lì capisce che significa, letteralmente, mettersi nei panni dell’altro.
Di animali fantastici parleremo nel Sorbetto op. 139, in degustazione giovedì 20 luglio, seguendo l’ispirazione che ci viene da un fantastico libro.

Sorbetto op. 139. La camera degli animali. Aveva ragione quel mio compagno di liceo, quando diceva che non si devono leggere libri con la copertina rigida.
Ogni volta che mi capita in mano un libro così me ne ricordo, e poco mi importa che sia più robusto di uno con la copertina in brossura, prevale sempre il disagio di maneggiare uno stoccafisso prima dell’ammollo.
Inoltre, da un po’ evito i libri italiani, che sono diventati brutti, se penso a quanto mi emozionava da ragazza un romanzo di Adelphi, misuro la distanza dal fastidio che mi dà oggi una loro pubblicazione, è come se all’appuntamento si fosse presentato il cugino di campagna invece del titolare dell’invito.
Dunque, mi ha piacevolmente stupito un libro italiano bello.

Francesca Scotti, La camera degli animali, 2022

A cura di Francesca Scotti, con le illustrazioni di Sara Bernardi e su progetto grafico di Marica Fasoli, tutte giovani donne, La camera degli animali, edito dal Saggiatore nel 2022, è una raccolta di brani di autori diversi, favole, narrazioni, poesie, messa insieme tutta in delicatezza, con inserti di pagine color turchese e un filo rosso sul quale stanno in gentile equilibrio molti animali: «Esiste una camera, viva e palpitante, in cui si possono incontrare tutti gli animali che l’uomo conosce e ha raccontato nei suoi libri. All’interno troviamo terra e piante, grotte e tane, aria, acqua, sale, ghiaccio, foreste e praterie, semi e prede, artigli, squame, antenne e gusci…».
In questa stanza vi invito a seguirmi con il Sorbetto op. 139, che dal libro prende l’abbrivio e che tratta di alcuni degli animali che in esso si incontrano.
E di altri, che nella stanza ci ho messo io. Perché i Sorbetti sono io a confezionarli e perché ciascuno di noi ha una sua stanza con i suoi animali e questo significa che al mondo esistono miliardi di stanze con dentro miliardi di animali e questa è un’altra delle ricchezze che ci ricolmano non appena parliamo di letteratura, di arte e di tutto quello che ci sta dentro e intorno.

Biglietto n° 92: Des Caresses di Fernand Khnopff, 1896. Caldo caldo caldo.
Con questo caldo mi seguite facilmente.
Umido: «nelle cose umide cresce la vita», Michele De Lucchi, Gli attributi dell’architetto.
Caldo e umido.
Arte di serres chaudes, ebbe a dire Mario Praz a proposito dei Preraffaelliti.
E la volta che entrai nelle serre dei Kews Gardens, capii di botto che cosa voleva dire il più grande dei nostri anglisti.
Un’aria umida e madida, pesante, soffocante, tropicale, praticamente il contrario di quello che si intende quando si dice vado a prendere una boccata d’aria.
Ma una definizione perfetta, che va bene pure per l’artista del nostro biglietto di oggi, cui i Preraffaelliti scorrevano sotto la pelle, avendo essi nutrito, o, se preferite, avvelenato il suo sangue.
Fernand Khnopff, poi a tutte queste consonanti ci si abitua, 1858-1921, è il dandy più dandy di tutti.

Fernand Khnopff

Belga, con una prima infanzia trascorsa a Bruges, quando Bruges era Bruges e non quella cartolina per i turisti che è oggi, e poi un definitivo insediamento a Bruxelles, Khnopff è uno dei massimi maestri del Simbolismo europeo, un pittore segreto, solitario, sognante.
Mai sposato, ebbe un relazione stretta e ambigua con la sorella Marguerite, che divenne la portaparola dei suoi ideali, di quell’androginia che alla fine della fin de siècle contagiava tutti coloro che si riconoscevano negli umori decadenti che allignavano un po’ dovunque.

Fernand Khnopff, Ritratto di Marguerite, 1887

La casa-atelier, ora distrutta, che l’artista si era fatto costruire nel 1902 al 41 di Avenue des Courses era il tempio del suo genio.

Maison Khnopff, Bruxelles

Luogo magico, meglio, esoterico, recava tracciato al suolo un cerchio, simbolo di perfezione, che delimitava lo spazio sacro dello studio.

Il Cerchio magico, Maison Khnopff, Bruxelles

Davanti a questo cerchio i visitatori erano pregati di raccogliersi prima di varcare la soglia.
Delirio mistico, forse, oppure manifesto di un intellettuale autore di una produzione criptica e fascinosissima, nella quale il mistero non domandava di essere spiegato.
E poi, quale animale più fantastico della Sfinge.
Creatura mostruosa, con la testa da donna e col corpo di leone alato, essa fu mandata a Tebe da Era per vendetta.
E la Sfinge vendicò la dea ampiamente.
Si sistemò su una rupe scoscesa che stava nelle immediate vicinanze della città, verso occidente, e lì cominciò a diffondere il terrore: fermava i passanti, poneva loro strani enigmi e poi, visto che non sapevano risolverli, li divorava.
L’indovinello prediletto della Sfinge non è che poi fosse così difficile, a me ricorda tanto i quesiti di Turandot, che sembrano facili facili, però forse erano altri tempi, oppure questa è un’obiezione che non si può muovere, altrimenti casca tutta la storia.
Dunque, dicevamo, l’indovinello della Sfinge: «Qual è l’essere vivente che cammina la mattina con quattro, a mezzogiorno con due, la sera con tre piedi?».
Che si trattasse dell’uomo, che da piccolo gattona e da anziano ha bisogno del bastone, lo capì Edipo.
Che è un eroe tragico, vittima di un destino maledetto e di un oracolo poco chiaro, e che, figlio di Laio, re di Tebe, e di Giocasta, fu allontanato dalla città da piccolo perché l’indovino Tiresia aveva predetto che avrebbe ucciso il padre e che sarebbe stato la causa di una lunghissima serie di sciagure e che, per una filza di equivoci e di eventi, cercando un esilio nel posto sbagliato, ritornò a casa e davvero ammazzò il padre.
E sposò pure la madre, altrimenti che Edipo sarebbe stato.
Prima, però, affrontò la terribile Sfinge.
Questa è la versione dell’incontro fra l’eroe e l’animale fantastico che dà Khnopff.

Fernand Khnopff, Des Caresses, 1896, part.

Enigma contro enigma.
Strana combinazione fra un giovane uomo dallo sguardo vacuo, che tiene in mano una sorta di caduceo con una sfera di cristallo azzurro e una creatura dalla testa da donna, che si struscia a lui come solo i felini sanno fare quando decidono di strusciarsi, e il corpo da leopardo.
Ma non era un leone?
Ma che ve ne importa, abbandonatevi piuttosto all’incanto della scena.
Dove compaiono anche fiori sdutti in primo piano, segni di una improbabile scrittura sul muro e poi quelle due colonne, anch’esse di cristallo azzurro, che delimitano uno spazio oltre il quale c’è un nulla rosseggiante, desertico, probabilmente bollente.
Questo è un dipinto che incarna l’essenza del Simbolismo, ambiguo, siderante, magnetico, con il volto di lui che assomiglia stranamente al volto di lei e tutti e due i volti che hanno il tratto della mascella decisa di Marguerite.
Conobbi Fernand Khnopff grazie a una collega di madre belga.
Io, già avvelenata dai Preraffaelliti, fui sua facile preda.
Erano lontani i tempi di Amazon, dunque misi del denaro in mano a una giovane donna che stava partendo per Bruxelles e le chiesi di portarmi un catalogo.
Il più bello.
Che adesso è qui vicino a me e che ho sempre in evidenza.
La collega di madre belga si risentì quando venne a sapere che io su Khnopff avevo fatto delle lezioni, lei pensava, senza aver apertamente espresso questo pensiero, che l’artista sarebbe stato un segreto fra noi.
Ne era gelosa.
La capii, sono anch’io una persona gelosa.
Ma se non trasmetto quello che apprendo, rischio l’implosione.
E poi spero sempre che la trasmissione arrivi a chi è capace di capire.
Stavolta, una volta ancora.

Il titolo. Preso in prestito da Storie fantastiche per uomini stanchi, Sellerio, 1982, un piccolo, bel libro.

Max Beerbohm, Storie fantastiche per uomini stanchi

Per una volta, il titolo è superiore all’originale, The Happy Hypocrite.
Autore, Sir Max Beerbohm.
Ora, io sarò pure una visionaria, ma quei guanti sul bastone mi sono sembrati il caduceo di Edipo.

Sir Max Beerbohm

Lui, scrittore e caricaturista, fu amico di Oscar Wilde e di Aubrey Beardsley, raccontò dei Preraffaelliti, fu un dandy e un umorista.
Tutto si tiene.
Perché, avevate dei dubbi?
Quanto agli uomini stanchi, sai quanti ce ne stanno, soprattutto con questo caldo.

State bene e fate cose belle.
Anzi, fantastiche.
Umane, probabilmente.
Ma se vi va di fare cose fantastiche e animali, va bene lo stesso.

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