Henri Matisse, Pierre con Bidouille, 1904

Biglietto n° 93: Pierre con Bidouille di Henri Matisse, 1904

Ti ha detto niente la mamma? D’accordo, prima era un po’ più difficile.
Prima nel senso di prima di internet.
Prima di internet, se una mattina ti svegliavi da sogni inquieti e ti trovavi «disteso sul dorso, duro come una corazza» e alzando un po’ la testa vedevi un «ventre bruno convesso, solcato da nervature arcuate, sul quale si manteneva a stento la coperta, prossima a scivolare a terra», se ti svegliavi in quello stato e avevi letto La metamorfosi di Kafka, sapevi come sarebbe andata a finire.
Adesso che c’è internet e puoi digitare sulla barra di ricerca «dorso duro come una corazza», io ho fatto la prova, vedi che ti esce fuori la diagnosi e apprendi da lì che stai diventando una specie di insetto e che finirai con una mela marcia nella schiena e che, una volta uscito «debole l’ultimo soffio di vita», la donna a ore scoprirà che finalmente hai tolto il disturbo e ne darà comunicazione alla famiglia, che si prenderà un giorno di riposo e di passeggio.


Insomma, se prima era la letteratura a spiegarti la vita, adesso la vita te la spiega internet, che dentro di sé contiene tutto, la disamina, i consigli, la consolazione, la ricetta per fare le melanzane in padella, la soluzione della percentuale, la traduzione, il viaggio.
Questa del viaggio, poi, è proprio significativa.
Sono stata due volte a Marsiglia, ho trovato la città bella e violenta, una Napoli un po’ più a nord e pure loro fanno la pizza, mi sono detta prima o poi ci torno e approfondisco la conoscenza.
Ma adesso, chi me lo fa fare.
Adesso che vedo la serie Netflix Marseille, che è cento volte meglio del viaggio.

Gérard Depardieu e Benoït Magimel in Marseille, Stagione 1, 2016

Con Gérard Depardieu che interpreta la parte del sindaco cocainomane Robert Taro (cocainomane ma astemio, strana cosa, per un attore che ha dichiarato di bere fino a quattordici bottiglie di vino al giorno), una filza di colpi di scena uno dopo l’altro, un feuilleton dove succede di tutto, tradimenti, figli che si rivelano tali di botto, delinquenza, giovanile e più agée, droga, sesso, discoteche, bagni di notte, case di ricchi che potrebbero essere più ricchi e case di miserabili che più miserabili non si può, ammazzamenti e suicidi.
Con lui che è un attore straordinario, meglio, un attore che giganteggia, vuoi per l’espressività del corpo, viso, mani, andatura, vuoi per la stazza del corpo suddetto.
Per non parlare della voce, che viene piegata a ogni esigenza, che contiene tutte le emozioni possibili della gamma umana e che quando serve riesce a fare di questo monumento d’uomo una creatura di tenerezza e di eleganza.
E poi, dicevo, c’è la città, coprotagonista della narrazione, ripresa dall’alto, dal basso, incendiata dal sole, ammantata dalle luci della notte, che sente il mare, il pesce arrosto, il pastis, tutto l’altro alcol, il fumo, il sudore del porto, gli affari, anche e soprattutto loschi, gli scogli, l’architettura avveniristica, la desolazione di quartieri che pure stanno in centro, il cloro della piscina, l’acqua dolce della doccia.
Con l’ottocentesca basilica di Notre-Dame-de-la-Garde onnipresente.

Marseille

E la statua dorata della Vergine col Bambino come non è possibile vederla se non volandole intorno.

Vergine col Bambino, Notre-Dame-de-la-Garde

Voi considerate che è alta m 11,20 e che il polso di Gesù misura m 1,10.
Se volete pure voi fare un giro sul drone che l’ha ripresa, accomodatevi qui.
È che per tirare fuori queste cose, non solo nella città ci devi vivere, ma devi pure essere un grande letterato e un grande artista, circondato da altri letterati e da altri artisti.
Insomma, a fronte di tutti questi talenti che si sono accordati come solo una grande orchestra, è meglio non muoversi da casa, starsene in poltrona e ammirare il lavoro degli altri.
In viaggio ci andiamo un’altra volta.

*

Di cavalli ho poca esperienza.
Sono stata una sola volta a vedere le corse, per la precisione all’ippodromo San Paolo a Civitanova Marche durante una vacanza che più noiosa non sarebbe potuta essere.
Nonostante il diversivo, pure l’ippodromo mi sembrò soporifero.
Ma conosco non poche persone appassionate e poi ho fatto pratica, come spesso mi capita, con i film, l’arte, i libri e i racconti.
I racconti vengono dai maniaci, che scommettono, si scaldano, non vedono l’ora di.
Trovo divertenti i nomi dei loro cavalli.
Questi, per esempio, corrono a Capannelle proprio mentre vi scrivo: Allegra, Birba, Bleff, Caius Titus Bond, Carlomagno, Chance, Vernissage, Vincerò, Vivid Wise, Zaccaria.
Ora, c’è da chiedersi se Bleff sia la versione italianizzata di bluff e se non sia dunque un trottatore del quale diffidare.
E chi è quel melomane che ha imposto a una bestia il titolo con cui è nota l’aria della Turandot intonata da Calaf, che, lui sì, vincerà.
Comunque, la fantasia in questo campo è talmente, è il caso di dirlo, sbrigliata da rasentare l’improbabile.
Quanto ai libri, amo citare quel bellissimo racconto del Sistema periodico di Primo Levi, un autore che amo mi abiti, quello che si intitola Cromo, dove lui a un certo punto fa osservare che «tutti i linguaggi sono pieni di immagini e metafore la cui origine si va perdendo, insieme con l’arte da cui sono state attinte: decaduta l’equitazione al rango di sport costoso, sono ormai inintelligibili, e suonano strambe, le espressioni “ventre a terra”, e “mordere il freno”», che tempo fa chiunque collegava a atteggiamenti del cavallo.
E questa è un po’ dell’arte che ci porta nel mondo equino: Degas, con il suo Fantini a Longchamp del 1874.

Edgar Degas, Fantini a Longchamp, 1874

E De Nittis con il trittico Corse al Bois de Boulogne del 1881.

Giuseppe De Nittis, Corse al Bois de Boulogne, 1881

Facendovi notare come al primo interessino sul serio le corse e come il secondo, invece, prediliga indagare il pubblico, con il cane nel pannello centrale che ha preso il posto della signora elegante in piedi sulla sedia.
E poi il cinema, a partire da My Fair Lady con Eliza Doolittle che si diverte parecchio ad Ascot in compagnia del suo pigmalione.

My Fair Lady, 1964

E qui voglio ricordare che la bellissima Guide bleu di Londra del 1934, che ogni tanto esce fuori in quanto viaggio non solo nello spazio ma anche nel tempo, definisce questo momento dell’anno «l’aristocratica settimana di Ascot».

Guide Bleu Londres, Hachette, 1934

Indicando nel giovedì, il Gold Cup Day, il giorno più importante perché la Royal Family viene tutta in gran pompa, completa di stallieri, ad assistere alla corsa.
Abitudine, questa, che non si è persa.

Royal Family al Golden Cup Day

Inutile menzionare la leggendaria passione dei reali inglesi per i cavalli, chiamati come nel caso del pony Emma a presenziare, quando succede, ai non meno leggendari funerali.

Emma ai funerali di Queen Elizabeth II

Chiudo questa sommaria rassegna delle mie cognizioni in fatto di cavalli con Pretty Woman, lui, un altro pigmalione, lei, ripulita, entrambi al Los Angeles Equestrian Centre.

Insomma, anche se la mamma non mi ha detto niente, mi sembra di essere in grado di affrontare il Sorbetto op. 140, in degustazione giovedì 27 luglio prossimo, dedicato ai Centauri, che per forza di cose dai cavalli deve partire.
Per ciò che riguarda il gusto specifico del Sorbetto, praticamente solo i visionari, artisti al primo posto, hanno fatto davvero l’esperienza della creatura mezzo uomo e mezzo cavallo.
Dunque, certamente animale, quindi brutale e violenta, ma anche umana nella lascivia e nell’amore per il vino.
Gentaccia?
Non esattamente, perché ci sono anche centauri sapienti, come verranno a sapere coloro che degusteranno con me un Sorbetto di razza, nervoso e scalpitante, insomma un Sorbetto, lui sì, di sicuro vincente.

Il Centauro e le polpette. Voi frequentate Sagittari?
Io, talvolta, qualcuno.

Il Sagittario e le polpette

Nessun commento, come si dice, gli ha fatto la fotografia.

Biglietto n° 93: Pierre con Bidouille di Henri Matisse, 1904. Prima le presentazioni.
Il ragazzino è Pierre, il più piccolo dei figli di Matisse.

All’epoca aveva quattro anni e si era appena faticosamente rimesso da una malattia alla quale avrebbe potuto soccombere.
È ancora pallido e gracile ed è come schiacciato dal grande armadio incombente che è dietro le sue spalle.
Siamo nel piccolo appartamento del quai Saint-Michel, nel Quartiere Latino, dove l’artista abitava con la famiglia.
Bidouille è il cavallino di legno che Pierre tiene fra le braccia: sembra quasi che lo impugni a sua difesa, come un amico, certamente, ma anche come uno scudo.
Bidouille è un giocattolo che un bambino di quell’altezza poteva cavalcare ancora per un po’ di tempo, aspettando di crescere.
A destra c’è un dipinto del padre su un cavalletto.
Per la prima volta in vita mia vado a indagare l’etimologia di cavalletto e scopro che viene da cavallo e che è un termine in uso dal sec. XV.
Alla parete è appesa una chitarra.
Il centro dell’opera è occupato da un tavolo ricoperto da una tovaglia a grossi motivi decorativi, con sopra un vaso di fiori, che a me sembrano dei ciclamini, ancora avvolto nella carta del fioraio.
Apro qui lo straordinario forziere della relazione fra Matisse e le stoffe, gusto che affronteremo nel Sorbetto op. 153 del 19 ottobre prossimo, Henri Matisse e il colore dei tessuti.
L’artista era nato a Le Cateau-Cambrésis, nel Nord della Francia, nel 1869, in una regione dove l’industria tessile sarebbe rimasta prospera fino al 1914, per poi collassare negli anni ’50.
Ma la relazione da lui intrattenuta con i tessuti è durata tutta la vita, impregnando il suo decorativismo di fiori, pois, righe, unito, con una forza contestataria che destabilizzava le leggi dell’illusione tridimensionale. Insomma, i tessuti sono una chiave di accesso maggiore all’opera tutta dell’artista, anche in questo dipinto, in cui una tela di Jouy fa una delle sue prime apparizioni, appunto con una tovaglia relativamente semplice e dipinta senza troppa attenzione per la resa, in uno stile libero e vigoroso.
Di lì a qualche anno la medesima tela avrebbe preso il sopravvento.
Guardate la Nature morte au camaïeu bleu (il camaïeu è una tecnica basata sull’uso di toni diversi di un medesimo colore, in questo caso il blu) del 1909.

Henri Matisse, Nature morte au camaïeu bleu, 1909

Qui il motivo supera in modo chiaro i limiti della tovaglia e segnala una svolta nell’arte di Matisse, che sta cercando uno spazio pittorico nuovo.
Vi mostro anche un’autentica tela di Jouy, di quelle prodotte a Jouy-en-Josas, nell’Île- de-France, fra il 1760 e il 1843.

Toile de Jouy

E vi dico che la cosiddetta tela di Jouy che Matisse aveva visto in una boutique di bric-à-brac da un autobus parigino e che era andato di corsa a comprare probabilmente non aveva niente a che fare con quella autentica.
Chiamatela talismano.
Chiamatela ispirazione.
L’importante è che sappiate che quel pezzo di cotone bianco con motivi di arabeschi e fiori fu in grado di spingere l’artista verso una situazione rischiosa, nella quale egli avrebbe raggiunto la grandezza della sua espressione.
E ci piace pensare che il processo rivoluzionario, qui all’inizio, che liberò la sua pittura dal classicismo tirannico e decadente abbia avuto come testimone un ragazzino inconsapevole e, soprattutto, un cavallino giocattolo di legno, che qui diventa l’amuleto e la mascotte di un artista immenso, che avrebbe esaltato la gioia di vivere, la contemplazione, l’ozio, la promessa di un ritorno al paradiso perduto che noi tutti andiamo cercando.

Caldo caldo caldo (Qui, Roma, quasi Sud dell’Italia). Giorni fa ho preso una metropolitana da Vittorio Emanuele, dove avevo un appuntamento, a Furio Camillo, dove abito.
Cinque fermate.
Il treno andava a rilento e la carrozza non aveva l’aria condizionata.
Questo succedeva anche durante quegli scioperi chiamati bianchi in cui a luglio uno prendeva il mezzo la mattina presto per andare a lavorare, cosa che facevo pure io, e veniva così punito dall’agenzia del trasporto autoferroviario del Comune di Roma, ATAC, immagino per il solo fatto di esistere.
Avendo finito la mia stagione di pendolarismo e tenendomi lontana, quando posso, da questo tipo di spostamenti, da un po’ non vedevo quello che ho visto.
Uomini che si scollavano la maglia di dosso e che, alzandosi da dove stavano seduti, gli uomini, soprattutto quelli giovani, in metropolitana stanno sempre seduti, facevano roteare lo sguardo intorno con cipiglio accusatorio: se io sudo, è colpa tua, infatti tu sei vivo, quindi respiri, quindi fai caldo.
Donne, non poche, che si soffiavano nella scollatura, immagino con risultati pari a zero, visto che il fiato, in quelle condizioni, è bollente tanto quanto l’aria.
E, soprattutto, donne che si sollevavano la gonna, quando la portavano, e con essa si sventolavano.
Come canta Méphistophélès nella Damnation de Faust di Berlioz quando accompagna la sua preda in volo a vedere che succede nella taverna: «la bestialità in tutto il suo candore».
Qui basterebbe leggere che cosa racconta la figlia Maria del rapporto di Marlene Dietrich con il caldo, che la diva detestava: «…non sudava mai. Questo anomalo funzionamento delle sue ghiandole sudoripare era un fenomeno che si doveva accettare senza discutere. Era molto orgogliosa di non avere mai bisogno di protezioni antisudore per gli abiti e i costumi. Quando i deodoranti e gli antitraspiranti si diffusero, lei ci tenne a far sapere che non le servivano. “Ma perché la gente è così accaldata? Ha un’aria orribile…”».
Come darle torto.
Insomma, qui bisogna smettere di traspirare e fare come Marlene: semplicemente decidere «un bel giorno di non sudare…e non più sudare per il resto della vita».
Riferisco anche una frase ricorrente, appena arrivava l’estate, nella conversazione di una gran signora che mi onorava della sua simpatia e che era la vedova del Comandante dei Corazzieri, famoso campione di equitazione: le donne non sudano, sudano i cavalli.
È un paradosso, lo capisco.
Ma è la vita, in primo luogo, a essere paradossale.
Lo sapeva bene De Gaulle, che detestava la contingenza e al quale non piaceva bagnarsi.
Ma che non portava mai l’ombrello.
Un collaboratore gli chiese: «Mon Général, con tutto il rispetto, se non vi piace bagnarvi, perché non portate mai l’ombrello?».
«Mon Ami, – risponde lui – la vostra domanda è fantasista. Se mi appesantisco con un simile utensile, do ragione al tempo cattivo. D’altro canto, se non porto l’ombrello, allontano la contingenza. Dunque, per definizione: non piove».
Dunque: se fa caldo, non si suda.
E se piove, non ci si bagna.
Per definizione.

Charles de Gaulle e Marlene Dietrich, 1960

State bene e fate cose belle.
E se avete caldo, degustate un Sorbetto.
Rinfresca tutto, soprattutto la mente.

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**** L’illustrazione di apertura, le Pupazzine e i Sorbetti sono di Lorenzo Rocco
***** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi