Robert Doisneau, La dernière valse du 14 juillet, 1949

Questa è cattiveria.
Quello sbaglia un rigore, il più importante di tutti, fa un disastro e voi siete contenti.
(Come si possa non provare un moto di simpatia nei confronti di chi sbaglia un rigore, io non riesco a capirlo).
E meno male che siamo pure cugini, per quanto d’Oltralpe.
Però i francesi vi stanno antipatici.
Perché sono supponenti.
Ma la loro supponenza, io la chiamo orgoglio nazionale.

«Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on m’a fait / Ni le mal / Tout ça m’est bien égal / Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / C’est payé, balayé, oublié / Je me fous du passé».

Edith

Quando Edith Piaf, nel 1956, raccontava di non avere rimpianti perché tutto è pagato, spazzato via, dimenticato, quando questa donna così piccola da essere paragonata a un passerotto cantava con una voce che la trascendeva che avrebbe acceso un fuoco con i suoi ricordi e ricominciato da zero, dalle nostre parti una signora che si chiamava Franca Raimondi vinceva il Festival di Sanremo con una canzoncina che attaccava così:
«La prima rosa rossa è già sbocciata / E nascon timide le viole mammole / Ormai la prima rondine è tornata / Nel cielo limpido comincia a volteggiar / Il tempo bello viene ad annunciar…».
Comunque, può darsi: il Festival di Sanremo non fa testo, proprio come una rondine non fa primavera.
E molte canzoni di musica leggera dicono sciocchezze.
Però non tutte.

Un milione di persone al suo funerale.
E noi uno come Johnny Hallyday non l’abbiamo avuto.

Johnny

D’accordo, noi abbiamo avuto Lucio Battisti e guardate che non sto sommando le mele con le pere, sono nati nello stesso anno.
Però nella nostra storia, non solo musicale, noi non abbiamo avuto una personalità così dirompente e trasgressiva.
E quando è arrivata da noi la versione italiana di una sua bellissima canzone, ce l’hanno data edulcorata, addomesticata, ripulita da tutto l’Eros che trasudava.
«Quand tu ne te sens plus chatte / Et que tu deviens chienne / Et qu’à l’appel du loup / Tu brises enfin tes chaînes / Quand ton premier soupir / Se finit dans un cri / Quand c’est moi qui dis non / Quand c’est toi qui dis oui …».
Que je t’aime. Infatti, evidentemente noi non eravamo adulti, quindi non avremmo potuto godere di una simile libertà morale.

Ho fatto alcuni viaggi in Francia, belli.
Anche con dentro del senso.
Io credo che un viaggio senza un senso sia solo una fatica alla quale vorrei evitare di sobbarcarmi.
Ho preso il solito secondo volume dell’autobiografia di Simone de Beauvoir e ho seguito le sue tracce, di quando lei insegnava a Rouen e a Marsiglia, raccontando degli alberghi e delle stanze dove alloggiava, dei caffè dove scriveva, delle escursioni a piedi che faceva, sempre così minuziosa, aveva imparato da Hemingway a dare il dettaglio delle «modeste dolcezze della vita quotidiana», una passeggiata, un pranzo, una conversazione, cui lo scrittore americano attribuiva «un charme romanesque», dicendo che vini e che carni apprezzavano i suoi personaggi e quanti bicchieri bevevano (sempre molti).
(Fra l’altro, tutte etichette di prestigio, anche nei giorni più difficili per via del denaro che mancava, insegnamento che ho fatto mio da un pezzo).
Nei miei viaggi in Francia ho sempre dormito in alberghi non banali, ho sempre mangiato (e bevuto) benissimo, ho visto piccoli musei straordinari, in un paesaggio noioso perché molto ben organizzato, concludendo sempre i miei itinerari a Parigi, andando al cimitero di Montparnasse a ringraziare colei che mi aveva fatto la strada, definita attraverso anni di letture e di esperienze.
Praticamente, il senso del viaggio.

E, a proposito di letteratura, Giovanni Verga e Émile Zola sono nati entrambi nel 1840. Contesti diversi, Catania non è Parigi e poi in Sicilia non dipingeva uno come Manet, che, amico di Zola, gli ha dedicato un gran bel ritratto.

Giovanni

I due scrittori si toccano, uno è inventariato alla voce Verismo nelle nostre letterature, l’altro alla voce Naturalismo.

 

Édouard Manet, Ritratto di Zola, 1868

Però io qui voglio sapere quanti di voi leggono Verga così come si legge un romanzo contemporaneo. Non vi chiedo quanti di voi leggono Zola così come si legge un romanzo contemporaneo, semplicemente perché i romanzi di Zola sono contemporanei.

Roma è la città più bella del mondo.
Subito dopo viene Napoli, benedetta da Dio per un luogo di insediamento che non ha pari come bellezza, per la ricchezza di opere d’arte e per la simpatia dei napoletani.
Poi, però, c’è Parigi.
Che non è piaciuta alla mia podologa, quella che ha detto che il Partenone l’ha delusa perché era tutto rotto.
Parigi lei l’ha definita vecchiotta.  Essendo lei una donna dinamica e nell’aria del tempo, preferisce Londra.
Non la pensa così Valeria Parrella, che cito qui perché è anche lei una donna dinamica e nell’aria del tempo e poi perché è napoletana: «L’avevamo sognata, Parigi, nei libri e nei film, l’avevamo sognata per la strade di Napoli, uscendo dal liceo, sciamando su via Foria: era uno di quei piccoli punti all’orizzonte che consentono di tenere la rotta…Là, sotto Père-Lachaise, con Parigi che correva sulle nostre teste nel giugno della maturità scientifica, la vita era una prospettiva. Se ce l’avessero chiesto, l’avremmo indicata con una lettera minuscola dell’alfabeto, come si fa con le rette: una linea senza inizio e senza fine» (Almarina, 2019).
Forse per apprezzare Parigi, bisogna prima averla conosciuta nei libri e nei film.

Alicia

E, come dice Alicia Vikander, giovane attrice svedese che ha vinto un Oscar nel 2016 e che, dopo alcuni successi commerciali, dichiara di voler lavorare solo in opere d’autore e per il cinema indipendente: «È la più bella città al mondo per molta gente, Parigi sarà sempre Parigi…Ho vissuto completamente immersa nella natura…ma ho fretta di ritrovare la vita urbana, e non c’è niente di meglio di Parigi per questo».

Ecco, forse il segreto di Parigi sta nella vita urbana.
O nella modernità, quella che vedi chiaramente se sai che cosa si intende con questa parola, la luce elettrica arrivata per tempo, la vita notturna, i grandi movimenti d’arte dell’Ottocento.
E tutto il resto che è Parigi oggi, i musei straordinari, i caffè storici nei quali ancora si sta bene, il patron del bistrot all’angolo che, se gli stai simpatico, ti tira fuori da sotto il banco la bottiglia buona, la moda, i migliori esperimenti dell’art de vivre che è possibile trovare al mondo.
Spesso molto ben riusciti.

Uso da un pezzo un’agenda francese. Mi compro il ricambio per l’elegante custodia in pelle tutti gli anni, mi piace la carta e il filo delle pagine in oro.
Ammetto che certe volte mi sono imbrogliata con le festività nazionali, per esempio per la mia agenda il 25 aprile e il 2 giugno sono giorni feriali.
Lì è festa il 14 luglio, ovvero oggi.
Vi mostro l’interpretazione di Robert Doisneau della Dernière valse di questo giorno, nel 1949.

E oggi ho deciso di dedicare la mia Newsletter a un paese che è per me una fonte continua di nutrimento intellettuale, il luogo dove è annidato il mio senso del moderno, dell’apertura al nuovo, della possibilità di fare cose diverse e di fare progetti.
Spero che voi non siate contenti per il rigore andato a male.
Non fosse che perché non sarebbe sportivo con dei cugini d’Oltralpe.

In questo attacco della seconda metà di luglio vi confermo la vitalità e la presenza dei Sorbetti, i cui gusti sono pronti fino all’Op. 68 del prossimo 26 agosto.
E nel mese più vuoto dell’anno noi ci occupiamo di grafica pubblicitaria, per riempirlo di cose belle e moderne, partendo da Toulouse-Lautrec e andando a vedere che altro è successo.
È un MaxiSorbetto torrido, che si intitola Delicious Refreshing, proprio come la prima pubblicità della Coca-Cola.

Coca-Cola, 1880 ca

Pure se sono con Ronaldo che non gradisce questa bevanda (ma poi chissà che cosa aveva in testa) e le preferisce l’acqua.
Pure se oggi, però, per festeggiare, bevo vino francese.

State bene e fate cose con un senso e, se viaggiate, fate viaggi letterari e cinematografici.
Che sono sempre quelli indimenticabili.

* L’illustrazione di apertura è di Lorenzo Rocco

Lorenzo Rocco per la Newsletter de Il sole al guinzaglio

** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi
*** Qui trovate Charles Trenet che canta la canzone del titolo di questa Newsletter. Era il 1943 e nella Francia in guerra e occupata lo chansonnier produceva una delle più belle dichiarazioni d’amore mai dedicate al proprio paese
**** Visto che abbiamo aperto col calcio e col nazionalismo, vi propongo anche un pensiero per la nostra Nazionale, che ha vinto il titolo di Campione d’Europa. INVINCIBLES, titolava «L’Équipe», lo storico quotidiano sportivo francese. Generosamente, i cugini d’Oltralpe festeggiano con noi. Tutto sommato, non sono poi così supponenti