Filippo & Aurora

Ho visto La Bella Addormentata nel Bosco.
Penso di poter dire che l’ho rivisto, perché me lo ricordavo benissimo, probabilmente pure per via di un album di figurine.
La mia enciclopedia del cinema (Morandini) considera il film non del tutto riuscito rispetto ad altri prodotti della ditta, ma io non sono d’accordo.
L’enciclopedia ogni tanto ci prende, ogni tanto, no.
Il film, che è un cartone animato vecchia maniera, è uscito nel 1959, è costato sei milioni di dollari, che a occhio e croce mi sembrano parecchi, e sei anni di lavoro, che giudicare tanti non mi sembra un’approssimazione.
Credo che la valutazione che lo mette al di sotto degli altri sia però dovuta alla favola in sé, che ha meno motivi di suggestione, mettiamo, di Cenerentola.
Quanto a Biancaneve, devo rivederlo, poi ne riparliamo.
Ma procediamo con ordine.


Re Stefano e la moglie, di cui non conosciamo il nome, hanno finalmente avuto l’agognata figlioletta e tutto il regno festeggia, cavalieri e villani, tutti in corteo per accogliere la neonata (che vediamo solo in culla. Faremo la sua conoscenza solo quando sarà grandicella).
Come è noto, mentre le tre fate buone stanno elargendo i loro doni alla piccola, compare Malefica, mezza femme fatale e mezza stregaccia, che getta la sua maledizione su colei che al momento si chiama ancora Aurora: a sedici anni si pungerà con un fuso e morirà.
Ma è rimasta una delle fatine, che deve ancora fare il suo dono e opta per un lungo addormentamento a sostituzione di quello perenne.
Sono però molto interessanti anche i doni delle due prime fatine.
Numero 1: la bellezza, che ci sta sempre bene, condannate come sono le donne a essere giovani e belle, perpetuamente.
Ma molto, molto gustoso è il dono numero 2.

E chi lo avrebbe mai detto.
Non è un dono l’intelligenza, come non è un dono il capire la matematica o la capacità di tenere in ordine la casa. E non parliamo dell’abilità nel cucinare l’aspic.

L’aspic devo ammettere che è una mia fissazione.

Non capisco come sia possibile realizzare una cosa del genere, citata dalla diabolica figlia di Marlene (talis mater) nella biografia al vetriolo che dedica alla diva.
Stanno al Trianon Palace Hotel di Parigi e il padre, fine gourmet, aveva ordinato le portate, «decorative quanto l’ambiente».
Esso è descritto in questi termini: «sala tappezzata di carta da parati dipinta a mano con le fragili sedie dorate al loro posto e mia madre già seduta a tavola».
È ovvio che Marlene è il pezzo più pregiato dell’ambiente.
Comunque, la bambina, che è tale, che gioca e che indossa un abito di organza pieghettato, già ha molto gusto e scrive che «soltanto i francesi sono capaci di dipingere quadri con gli aspic, i tartufi e i petti di pollo».
Da quando ho letto la narrazione, peraltro scritta benissimo, di questo pranzo, non riesco a togliermi dalla testa l’idea che una donna eccezionale sia tale perché è capace di un dressage di cibi cotti presentati in gelatina.
Inoltre, la favola se l’è inventata Perrault, che era francese, quindi l’idea che Aurora fosse versata nell’aspic non mi sembra del tutto stramba.
Ma divago.
Stavamo dicendo, Aurora.
Che avrà una bella voce. Meglio di niente, oppure meglio di tutto il resto.
Le tre fatine, lo dice anche il Morandini, sono la parte più riuscita del film: svanite, svampite, cialtrone, dal fisico ingrato, si beccano di continuo come i capponi che Renzo porta all’avvocato.
Ma poi alla fine si mettono d’accordo.
Vi piacerà sapere, a me è piaciuto molto, che se le prime due fate si chiamano come nella versione originale Flora e Fauna, la terza fatina, quella che ama molto l’azzurro e che in italiano esce come Serenella, all’origine è Merryweather, proprio come il carattere che uso per scrivervi.
Come è noto, il terzetto decide di portare Aurora in una capanna nel bosco e di imporle il nome di Rosaspina. Praticamente di nasconderla.
Ma la decisione più ardua è di fare tutto ciò senza magia, mettendo da parte le bacchette.
Nel frattempo re Stefano fa bruciare tutti i fusi del castello.
Rosaspina cresce e si fa bella.
Anzi, si fa sensuale e morbida, vita sottile, passo leggero, sontuosi capelli.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno viene messa alla porta dalle tre fatine, che devono prepararle la festa.
E non ci riescono, l’abito è simile a un uovo di Pasqua, la torta con le candeline crolla.

Ve l’ho detto, che sono delle inette.
Torneranno alla magia e tutto sarà possibile, anche che il cottage si pulisca da solo, il sogno di ogni casalinga.
Nel frattempo Rosaspina ha incontrato il principe Filippo nel bosco, lei che non sa di essere degna di lui, lui che si innamora al primo sguardo di quella che crede sia una contadina.
Lei abbiamo detto che si è fatta bella.
Pure lui non scherza, spalle ampie, vita sottile, intraprendente, poi dice che le donne aspettano tutte il Principe Azzurro.
E ti credo, fossero così anche gli altri uomini.

La favola sappiamo come va avanti, con lei che viene portata al castello e che si dispera, nonostante l’agnizione, visto che avrebbe preferito rivedere il bel giovane.
Appare Malefica, appare una luce che guida la ritrovata Aurora in stato di sonnambulismo verso la perdizione.
Appare pure il fuso.
Mentre tutti si addormentano, così non si accorgono del tempo che passa, Filippo combatte il drago nel quale si è trasformata Malefica, proprio come aveva fatto San Giorgio, galoppa al castello superando una barriera di rovi, trova la Bella Addormentata.
La bacia.
Risveglio.
Tutti contenti.
Ora, c’è da chiedersi perché il titolo della versione italiana la faccia dormire nel bosco quando lei invece dorme nella torre.
Dettagli.
Ma il diavolo (e Dio) non stavano dentro di essi?
Poco male.
Il film è piacevole, le guardie di Malefica, simili a rospi e a maiali, hanno cercato per anni una bambina in culla, senza pensare che quella cresceva, cosa che succede un po’ a noi tutti, che conserviamo delle persone un’immagine che di rado le segue nel tempo.
Sono una grande sostenitrice dei cartoni animati, che non credo vadano lasciati ai bambini, che non li capiscono, laddove invece noi adulti siamo capaci a goderceli fino in fondo, soprattutto quelli classici, fatti a mano, senza 3D né computer, frutto, praticamente, solo del talento di uno stuolo di disegnatori che, si vede benissimo, si sono divertiti, dando sentimenti agli umani e agli animali, che, partendo da un atteggiamento, sono raccontati mentre fanno cose incredibili, alle quali noi continuiamo a credere.
Se non ci fosse stato Walt Disney, nessun sorcio in pantaloncini rossi avrebbe sgominato una banda di cani con la maschera e il numero di matricola carceraria sul petto e nessun papero con le ghette e il cappello a cilindro si sarebbe arricchito partendo da un centino.
E forse non avremmo forgiato il nostro immaginario sulle vicende di una principessa messa al riparo in un cottage nel bosco e la favola seicentesca avrebbe perso il suo smalto.
Chissà.

Per quanto riguarda le notizie, vi comunico che, per motivi tecnici, i  Sorbetti  sono sospesi e che, di conseguenza, cambierà il loro calendario e la loro numerazione.
Li avrò però portati senza interruzione alcuna fino all’op. 64, dunque, mi dichiaro contenta.
State bene e fate cose favolose e, perché no, anche fantastiche.

* Questa Newsletter è arrivata nella vostra casella di posta elettronica con qualche ora di ritardo, però è arrivata. Che è l’unica cosa che conta
** L’illustrazione di apertura è di Lorenzo Rocco

Lorenzo Rocco per la Newsletter de Il sole al guinzaglio

*** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi
**** Il mio blog, alimentandolo io in modo irregolare, non soffre di ciò di cui soffre il resto della mia produzione. O, almeno, non lo dà a vedere

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