ALTROCHÉ

16 maggio 2019 Fino alla fine dei miei giorni

Belli, i tempi in cui uno a fine anno organizzava l’agenda nuova ricopiando tutti gli indirizzi.
Io continuo a usare un’agenda vera, con la carta bible e il taglio delle pagine in oro, però è fatta in modo tale da avere la rubrica telefonica indipendente, così come il piccolo atlante con, nell’ordine, il planisfero con i fusi orari, l’Europa, l’Asia, l’Africa e i Territori d’oltremare, la Région parisienne, i mezzi di trasporto, tutti, Paris et banlieu, le strade di Francia su due pagine e poi, con calma, gli Stati Uniti e le Americhe.
Nell’ultima pagina, la Francia amministrativa.
Più francese di così, la mia agenda non potrebbe essere, la Francia al centro del mondo, tutto il resto viene se c’è ancora spazio.
Sono del tutto d’accordo.
Anche perché altrimenti non userei un’agenda francese, il cui unico problema, come ho già accennato da qualche parte, è di riportare le feste nazionali loro e non le nostre, quindi ogni tanto capita che mi sbaglio.
Ma, dicevo, la rubrica telefonica è autonoma e sono anni che non la rinnovo, dunque essa ospita numeri telefonici di gente che non fa più quel lavoro, che non abita più in quella casa, che non è più oggetto dei miei sentimenti.

Come con l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., la vita si è fermata in un anno che però non sono capace di identificare.
E come tutti i numeri telefonici di tutti, anche i miei numeri stanno sul telefono.
Dunque, non si verifica più a fine anno quel fenomeno per cui ogni tanto telefonava qualcuno che non sentivi da un pezzo, perché quello stava facendo quello che facevi tu, cioè ricopiava i numeri sull’agenda nuova e gli tornavi in mente.

Però anche con WhatsApp può succedere.

Infatti il 31 dicembre mi arriva un messaggio di uno che non ho mai visto e il cui numero non ho in memoria.
«Ci conosciamo?», gli domando.
«Altroché», mi fa quello.
Comincio a preoccuparmi e gli chiedo: «In che senso?».
Anche perché se non mi ricordo la tua faccia e se non ho il tuo numero in memoria, è difficile che la nostra conoscenza sia stata leggendaria.
Forse è una bottiglia lanciata in mare che aspetta il suo ritorno.
O forse, di ritorno, è un analfabeta (ma pure di andata e di stallo è possibile), che chissà che pensa significhi altroché.

Il mio meccanico sostiene che le macchine nuove sono fatte malissimo.
«Anche quelle da 40.000 euro?», gli domando.
Pure quelle.
Tanto le fa tutte un computer, programmato da un ingegnere che non ha mai messo le mani nel cofano di una macchina e che se lo inviti a farlo, scappa.
Lui, che le mani nel cofano della macchina ce le mette tutti i giorni, sa che ci sono parti che dovresti smontare ma che sono irraggiungibili, pezzi che dovresti estrarre ma non si capisce come.
Eccetera.
Gli ho detto che mi ricordava una casa che avevo visto con i controsoffitti e i faretti messi al loro interno, cosicché quando ti si fulminava una lampadina, o chi per essa, dovevi chiamare il muratore per smontare tutto e sostituirla.
In questo mondo e di questi tempi, non si sa se siano meno affidabili gli ingegneri o gli architetti.

L’altra settimana ho comprato un gran bel cavolfiore a piazza Vittorio e gli ho dedicato un post che ha suscitato reazioni interessanti.

Il mio cavolfiore

Anch’io l’avevo trovato magnifico, completo di foglie, freschissimo ed è stato per questo che l’ho fotografato.
Mi chiedo perché gli uomini non pensino mai a portare in omaggio a una donna un cavolfiore.
Rispetto a certi mazzi di fiori stentati, a vini dubbi e a tortine che poco incontrano il mio favore perché poco mangio dolci, un bel cavolfiore completo di foglie farebbe con me una gran bella figura.

Malotru mi ha deluso.
Ci sono rimasta malissimo.
Dopo una montata romantica con il giornale russo che vi ho messo in apertura inviato alla siriana con la data cerchiata e la scritta in arabo «Fino alla fine dei miei giorni» e dopo che lei gli ha recapitato personalmente un altro giornale con scritto, sempre in arabo, «Grazie», i due si incontrano.

Grazie

A Mosca.
Laddove lei aveva ricevuto il giornale a Parigi.
Ma forse mi sbaglio io, data la trama complicatissima, o forse agli sceneggiatori capita di scrivere in stato di alterazione alcolica e su certi dettagli si inceppano.
Data la trama complicatissima.
Comunque, siccome capita anche a me di scrivere in stato di alterazione alcolica, laissons tomber.
Comunque i due si incontrano a Mosca e c’è una parte finale di un episodio che trasuda desiderio.
Lui ha tradito tre volte per quella donna.
Lui aveva anche una faccenda in piedi con la russa che lavora al supermercato e non posso impedirmi di pensare con quanta facilità gli uomini passino da una donna esotica, colta e raffinata a una robusta lattaia con la gonna jeans e le scarpe da ginnastica.
A me sembra che le donne non riescano a essere così elastiche.
Comunque, a fine episodio pare proprio che a Malotru della lattaia non interessi più di tanto.
Arriviamo però all’episodio successivo e la siriana va a casa del traditore, che ha tradito per lei.
Uno si aspetta, legittimamente, una scena incandescente, di divoramento reciproco, di annientamento, di oblio del mondo e di tutti i tradimenti e invece i due sembrano due vecchi amici in visita di cortesia.
Lui domanda a lei se sta vedendo qualcuno e lei risponde sì, vedo uno che sta all’università e quello che lei sta vedendo l’abbiamo visto anche noi e abbiamo dei dubbi sul fatto che all’università ci siano tipi come quello, casomai li trovi più facilmente in spiaggia o in palestra.

Quanti anni ha?

Malotru, allora, che è malridotto e sembra sempre più un ladro di polli, invecchiato, smagrito, dimesso, un po’ preoccupato, domanda a lei quello dell’università quanti anni ha.
«Trentasette», risponde lei e a quel punto qualunque donna, abituata dalla più tenera adolescenza a essere giudicata sempre e solo sulla base dell’anno di nascita, pure se ha una candidatura al Nobel per la fisica,  ogni donna, dicevo, sente fiorire in sé un sentimento di trionfo.
Tornatene dalla lattaia, ché quella sì, che va bene per un ladro di polli.
Ma Malotru non era morto alla fine della stagione 4?
Evidentemente no.
Lo hanno graziato e cercano nuovamente, attraverso lui, di sedurci.
Senza riuscirci.

Pacemaker ha una pena d’amore.
È stato sequestrato e da Mosca lo hanno portato a Phnom Penh.
L’ho detto, che la trama è complicatissima.
La trama è talmente complicata che mi chiedo come questa serie, super ricercata, abbia potuto avere tanto successo presso il grande pubblico.
Qui bisognerebbe fare come faceva quell’amica mia, che andava da uno psicoanalista e siccome le sembrava che lui non seguisse quello che lei diceva, gli intimava «Ripeta».
Io ho provato a farlo alcune volte con i miei studenti, anche su cose semplici e nessuno aveva mai capito niente: né di quello che io avevo detto, né di quello che avevo scritto sul Programma.

Don’t ask

Non chiedere.
Ché è sempre meglio, te lo insegnano anche nelle serie.
Dunque, se io a questo punto potessi cavarmi la soddisfazione di domandare a uno dei milioni di appassionati di Le Bureau des légendes che cosa è successo in quell’episodio, dubito che qualcuno saprebbe rispondermi.
Inoltre, le due ultime stagioni sono molto recenti, quindi non ci sono nemmeno troppe notizie in rete.
E allora, il successo?
Secondo me è legato al fatto che dentro c’è un fil rouge romanticissimo, che è molto netto.
Voglia di sentimenti.
Ma, dicevo, Pacemaker è stato portato in Cambogia.
(Stiamo ripassando un sacco di geografia).
È sotto protezione, cioè fa finta di lavorare per i russi, ed è a capo di un altro ufficio di hacker, stavolta di un’altra nazionalità.
Ma il succo è lo stesso.
Lui è un ragazzetto, pallido, magro, una delle creature meno virili che abbia visto in vita mia.
Ma, come sappiamo, la virilità alligna anche dove meno te lo aspetti.

Pacemaker e Sveta

Pacemaker chiede di far venire la sua copine, che si chiama Sveta e che è carinissima.

Mi dispiace, rientro a Mosca

Ma le cose vanno male.
E lei se la squaglia, lasciandogli attaccato allo specchio uno di quei Post-it che uno non augurerebbe di trovare rientrando nemmeno a chi ti avesse fatto, lui, una cosa del genere: «È stato un errore, non volermene, mi dispiace, rientro a Mosca».
Povero piccino.

La casa di Pacemaker a Phnom Penh

Che si vede che sta malissimo, nel caldo della città, nella casa dove l’hanno infilato, che è anche graziosa, una casa galleggiante, anche con una sedia rossa all’esterno.
Trovo le sedie all’esterno delle case bellissime.
Promettono visite e discorsi quando la sera si fa più dolce.
Vediamo Pacemaker che beve una birra in un locale all’aperto. Abbiamo voglia di fargli sapere, casomai via altro Post-it, che il mondo è pieno di donne e che lui, così giovane e intelligente, certamente si consolerà presto.
O che rivedrà Sveta.
Le storie d’amore, si sa, non sono mai lineari, vengono, vanno, si incagliano, si liberano, riprendono il largo.
Insomma, lui non deve essere così triste e deve tornare a occuparsi in pieno dei suoi computer.
Che quelli sì, che gli sanno dare soddisfazioni.
Mentre le donne, si sa, sono infide, strampalate e ti piantano sul più bello.

Altroché.

4 Comments

Aggiungi il tuo →

  1. È proprio tristemente vero, ‘SIGH’. Viva l’eccezione, sempre.

    • Rosella Gallo

      8 gennaio 2021 — 22:43

      Mio caro Andrea, se il tristemente vero è riferito alle donne, vorrei aggiungere che i comportamenti e la sostanza si possono riferire pure agli uomini. Con affetto grande. Rosella

  2. Rosella carissima, sì, confermo. Confermo pure l’abbraccio affettuoso per Te. Continua a scrivere le tue ‘perle parole’, che ne abbiamo bisogno. A presto. Grazie sempre. Andrea

Rispondi a Rosella Gallo Annulla risposta

9 + 9 =