Trash

Come una scossa sismica.
Ieri alle 19:40 il mio blog ha registrato un numero di visite inaudito.
I dati cui ho accesso sono solo parzialmente in chiaro, però si capiva che non era accaduto l’equivalente digitale di un tasto della tastiera incastrato che ripete se stesso.
Gli accessi arrivavano da località plausibili, Browser e OS erano normali, solo, la provenienza, tutta da Google not provided.
Va’ a sapere.
Comunque, una sensazione di grande vitalità.
E dire che avevo un dispiacere e che avevo assistito a una scena terribile, quindi ero mortificata e scioccata.
Ma ho dato un’occhiata a sera tardi all’analisi dei dati e stamattina me li sono studiati a mente fresca.
E ora lasciamo perdere il dispiacere e parliamo della scena terribile.
Per quanto terribile, più interessante del dispiacere in sé, molto banale.

Ho abbassato gli occhi e ho controllato che cosa c’era attaccato alle mie caviglie.
I piedi.
Quindi era tutto a posto.
Non altrettanto si poteva dire dei piedi di Raymond Sisteron, partito in missione ad Antiochia e fatto prigioniero dagli uomini dell’Isis in territorio siriano.
La vita gli sarà risparmiata e ci sarà uno scambio con un altro ostaggio, Sabrina, la giovane donna con cui lui era partito.
Ma poco prima dell’incontro, si vede la sciabola del boia che si innalza e che scende, troncando il suo piede sinistro. Vediamo lo scarponcino con il moncherino insanguinato appoggiato sul suo petto.
È lì che ho controllato che cosa c’era attaccato alle mie caviglie.
Scomparso il mio salotto, scomparsa la mia poltrona e scomparso perfino il calice di vino spagnolo che stavo bevendo.
Sentivo l’odore del sangue, il calore del deserto, l’orrore mi aveva invasa.
(Ma non c’era scritto alla casellina genere forti emozioni?
E allora, che andavo cercando).
Inoltre, la possibilità di far intervenire due uomini che collaborano con loro è stata scartata dalla Sala crisi perché ritenuta «precipitosa, pericolosa, aleatoria».
In contemporanea, si capiva benissimo che Céline, la giovane collega rimasta a Parigi, con la quale Raymond aveva tentato un approccio, seduta al grande tavolo con gli altri, si stava innamorando.
Le donne sono fatte così, hanno l’istinto della cura.
E questa cosa mi sembra molto bella.
(Seguitemi, perché vi sto portando a riflettere sulla proprietà commutativa dei sentimenti).
Quando c’è lo scambio fisico degli ostaggi e Raymond è trascinato in un tappeto che lascia una striscia di sangue, nel momento in cui Sabrina passa accanto a lui, le mani legate, le armi puntate addosso, si vede che è sconvolta tale e quale a me e mormora: «Pardon».
La colpa, diciamo meglio, la responsabilità di quella mutilazione è anche sua.
Nella vita, al di fuori della cesellatura raffinata dei dialoghi della serie che sto vedendo, la gente non ti chiede scusa se ti spintona in metropolitana.
E nemmeno se ti provoca consapevolmente un dispiacere.
Peccato, la vita, come film, avrebbe più senso.

Cambio di scena, dopo altre scene.
Ospedale militare Val-de-Grâce.
Ritroviamo Raymond Sisteron imbottito di antidepressivi, ripulito, con indosso una T-shirt dell’identico colore dei suoi occhi.
(Gli uomini con gli occhi chiari fanno spesso questo giochetto).

Raymond Sisteron

Lui è un uomo giovane ma non giovanissimo: lui ha quarantacinque anni.
(Continuate a seguirmi perché adesso arriva il bello).
Céline è andata a trovarlo.
Lei ha una ventina d’anni meno di lui.
Lui la rimprovera di non avere nessuna espressione in faccia, non si capisce che pensa.
Lei gli dice che non vuole disturbarlo con le sue emozioni.
Lui le chiede ma perché e le dice di mostrarle, le sue emozioni, invece, gli fa bene, come fa lei a pensare che lui preferisca quella faccia da Gioconda (questa me la rivendo in professione).

Céline Delorme

Pausa perché arriva il superiore di entrambi, quello che ha contribuito alla decisione di non far intervenire i due uomini che avrebbero potuto aiutare Raymond, e chiede a Céline di uscire dalla stanza.
Il dialogo, anche in questo caso, è lavorato col cesello, non una sola parola superflua, non una mancante.
Nemmeno penso ma come sono bravi questi attori.
Semplicemente perché non stanno recitando, loro sono i personaggi che interpretano.
Il motivo per cui non mi piace il teatro e frequento solo quello lirico è esattamente questo: non mi piace veder recitare la gente, mi mette a disagio.
Nella lirica, se pure i cantanti non sono grandi attori, mi stanno bene lo stesso perché loro hanno da esprimere altro.

Céline ha aspettato fuori dalla porta.
Questo significa che lei rientra nella stanza di Raymond quando il superiore di entrambi ne esce.
Lo saluta e per salutarlo lo bacia appassionatamente.
Lui non aspettava altro da un pezzo.
Ve l’avevo detto io, che lei si era innamorata.
E come ho fatto a capirlo, con una con la faccia da Gioconda.
Perché sono donna pure io, bella scoperta.
E qui, nel momento in cui sta succedendo qualcosa e in cui i due sono lontani dai computer ai quali stanno sempre attaccati al bureau e sono lontani pure dal deserto e dalle sciabole, Raymond dice la cosa che tutto risolve: «A parte il piede, tutto il resto funziona».
Dietro e dentro questa frase c’è tutto il senso del controllo che gli uomini da sempre hanno sul mondo.
Altro che sindaca e avvocata.
Lei risponde: «Meglio così».

Mi sono rimessa a studiare matematica, ogni tanto ci riprovo, mi sono procurata i libri di Emma Castelnuovo, che sono chiari e divertenti, e ho ricominciato dall’inizio.
Dunque, a pagina 20 del volume A apprendiamo che «per l’addizione e la moltiplicazione vale la proprietà commutativa», ovvero, si può scambiare l’ordine, io direi qui, la posizione, dei numeri.
Esempio:
4 + 6 = 6 + 4
3 x 8 = 8 x 3
Oggi ci chiediamo se questa regola vale anche per i sentimenti.
E facciamo la prova.
Invertiamo i ruoli dei personaggi: Céline è una donna giovane ma non giovanissima che è andata in missione pericolosa e alla quale il boia ha tagliato il piede sinistro.
Potete divertirvi a pensare il suo abbigliamento, ovvero il colore della sua T-shirt, all’Ospedale militare.
Raymond è il giovane collega che va a trovarla, la faccia da Gioconda stavolta ce l’ha lui.
Che cosa accade fra i due: niente.
Fra i due potrebbe accadere qualcosa a cena dopo l’ufficio, di questo sono certa, me lo dice la vita e me lo dice l’esperienza.
Ma gli uomini non hanno il senso della cura e non sono capaci di dire «pardon».
Sono fatti così, niente da aggiungere.
Non solo, mi viene in mente che Céline, al posto di Raymond, non avrebbe mai potuto dire: ««A parte il piede, tutto il resto funziona».
Le donne devono avere sempre tutto funzionante, dunque, entrambi i piedi, i seni, le gambe, il sorriso e i due occhi.

E io, in tutto questo, che faccio.
Quello che posso. Per prima cosa evito di trovarmi davanti a un fanatico pazzo con la sciabola.
Poi, molto altro.
Per esempio, mi occupo di sentimenti.

Per finire. La foto di apertura l’ho scattata stamattina, quando ho approfittato di una pausa nei violenti acquazzoni che stanno venendo giù da giorni e ho portato al cassonetto cinque buste condominiali stracolme di libri e riviste.
Ho messo tutto in ascensore e poi ho fatto quattro viaggi.
Sgombro un po’, il mio studio, e la mia testa.
Il televisore che è arrivato nella casa di non so chi nella gigantesca scatola di cartone poi abbandonata in strada ha un numero di pollici diffuso a ogni livello sociale e culturale: 55.
Cioè non sto sostenendo che più hai il televisore grosso, più ci guardi robaccia, cosa che ho pensato per anni.
Adesso ho cambiato idea, oppure mi arrendo.
Anzi, mi dico fra me e me, io che ho un televisore normale i cui pollici si adattano al vano della grande libreria che c’è in salotto, chissà come sarebbe la fantastica e cesellata serie che sto vedendo su uno schermo più grande.

Sto vedendo Le bureau des légendes, in versione originale e sono arrivata alla Stagione 2, Episodio 9.
Mi sono già procurata la Stagione 3.
Entro stasera ordinerò la Stagione 4 e la Stagione 5.
Quando sarò arrivata alla fine, ricomincerò daccapo.
Me lo insegna la mia esperienza professionale: un’opera d’arte è inesauribile, ogni volta che la guardi vedi una cosa nuova, puoi starci sopra dieci anni e non l’afferrerai mai tutta.
Perché l’arte è l’equivalente di un pensiero profondo, di cui cogliamo solo la superficie.
Perché l’arte, ogni volta che la sfiori, ti riempie di sensazioni, emozioni, sentimenti nuovi.
Dando per certo che la mia serie è un’opera d’arte, mi rammarico che le persone non cesellino i loro discorsi e che spesso interpretino mediocremente parti che nemmeno sono le loro.

Peccato, la vita, come film, avrebbe più senso.