L’INVENTARIO, 2: I VENTENNI, OGGI


La lingua italiana, i libri, i film, l’arte.
Parlano un italiano mediocre, in certi casi cattivo, in altri, pessimo.
Evitano di dire «tipo» solo perché mi faccio dare dieci centesimi ogni volta che lo dicono.
Evitano di fare il gesto delle virgolette solo perché taglio loro le falangi se lo fanno.
Non sanno che significa voluttà; non sanno che significano secessione idioma, un collega ieri mi diceva che i suoi non fanno differenza fra precursore e propulsore. A ben guardare, è vero che Correggio è stato un propulsore del barocco, una bella spinta gliel’ha data, chi potrebbe negarlo.
Non leggono romanzi; non sanno chi siano Levi, Morante, Tomasi di Lampedusa, Ginzburg.
Non vanno al cinema.
Non vanno a vedere l’arte. Però vanno a vedere la Klimt Experience e mi portano pure la brochure. Quando dico che è robaccia e che pure la brochure è orrenda, mi rispondono che un po’ l’avevano intuito pure loro. Però ci sono andati per curiosità.
Mai che vadano per curiosità a vedere che c’è dentro una chiesa o un museo.


L’educazione
. Sono mediamente educati, anche perché faccio loro continui liscio e busso: se non stanno seduti composti, se mi masticano la gomma americana in faccia, se non rispondono «Grazie» a una mia risposta articolata WhatsApp a un loro messaggio privato.
Delle spunte blu, mi accontento un’altra volta.
Però sanno scusarsi, mi dicono che non era nelle loro intenzioni mancarmi di rispetto, dopo mi dicono grazie.
Con me non fanno uso di turpiloquio, su questo sono stata categorica.
E sono stata presa alla lettera.
Dunque, quando nel corso di una lezione su Tracey Emin, artista confessionale, che quella volta si cimentava con le insegne al neon, che travasano in un linguaggio metropolitano i sentimenti usando la sua scrittura, ho detto «Traducete questo titolo», nessuno ha aperto bocca.

Tracey Emin, People Like You Need To Fuck People Like Me, 2007

Allora ho tradotto io: «Gente come te ha bisogno di fottere gente come me».
Però pure scopare direi che va bene.

La famiglia. Vogliono bene a mamma e a papà, al fratellino e alla sorellina. Non hanno da rimproverare loro quasi nulla. Ho avuto nel corso del giovedì due gemelli, due ragazzoni in gamba, uno sempre puntuale, l’altro sempre in ritardo. Più di una volta ho fatto il giochino biblico «Caino, dov’è tuo fratello» per vedere se quello puntuale avesse finalmente fatto fuori Abele e non ho suscitato in Caino alcun senso di rivalsa, come secondo me sarebbe stato normale.
«L’ho lasciato a casa perché doveva ancora finire di prepararsi».
Ed era vero.
All’età in cui io avrei voluto fare fuori tutta la famiglia con il veleno per i topi, loro non ci pensano manco lontanamente.

L’indirizzo. Sui libretti degli studenti c’è scritto il nome della strada dove abitano, dunque faccio una piccola indagine e domando loro se sanno chi è il dedicatario. Con l’esclusione dei supernoti, che so, Dante, Petrarca, Gregorio VII, cascano sempre dalle nuvole.
Ho dunque detto alla signorina che abita in via Flaubert di ripresentarsi a settembre, avendo però letto Madame Bovary, che lei non sapeva nemmeno dove stesse di casa.
È andata bene invece a una ragazza, che sta in via delle Amarene.
Mi ha detto che sono tipo delle ciliegie.
Dieci centesimi, però, almeno, fin qui ci siamo.

Ah, l’amore l’amore. Uno dice a vent’anni sei sempre innamorato, ma io so che le cose stanno diversamente. Lo so perché ogni tre mesi circa faccio una delle mie inchiestine e, come sempre, è solo un terzo dell’aula ad alzare la mano. Da un po’ mi sono anche messa a chiedere chi non era mai stato innamorato e, con mia grande sorpresa, c’è sempre un gruppetto di persone che non sono mai state trafitte da una freccia di Eros.
Allora racconto che io mi sono innamorata la prima volta a quattro anni, lui si chiamava Carletto, era di Milano e stava in vacanza, come me, in Piemonte dal nonno. La vicenda finì perché eravamo tutti e due analfabeti e non fummo nemmeno capaci di scambiarci gli indirizzi, figuriamoci di inviarci una cartolina. Tornai a Roma in uno stato d’animo devastato, che cessò di torturarmi quando andai all’asilo e mi innamorai di Riccardino, che aveva pure una rosticceria vicino alla scuola.
Apprezzando il salato e i supplì, lui mi sembrava il maschio perfetto con il quale trascorrere il resto dei miei giorni.
(Poi sarebbe andata diversamente).
Siccome, come sappiamo benissimo, con l’amore non c’è niente da fare perché fa tutto lui, ti cerca quando non te ne importa niente e, quando lo cerchi tu, figurati se lo trovi, non aggiungo mai niente.
Anzi, no, dico ai ragazzi di farmi sapere, quando accade, che in loro si è finalmente sciolto il ghiaccio nel quale è avvolto il loro cuore.
Promesso e ci conto.

Pretty Boy. Quest’anno ho avuto nel corso del giovedì lo studente più bello della mia carriera. La creatura ha battuto il record detenuto da due giovani napoletani, record rimasto imbattuto per un sacco di tempo, prova ne sia che i due sono ormai uomini fatti.
Il nuovo astro, che per definizione è sempre quello più splendente, è arrivato alla seconda lezione ed è entrato in aula in ritardo, facendo così un ingresso spettacolare.
Io avevo già cominciato a parlare e stavo in piedi vicino alla cattedra, che è a un paio di metri dalla porta.
Mi sono girata e l’ho visto.
«E tu chi sei», è stata l’unica cosa che sono riuscita a dire.
«Io sono Lorenzo», mi ha risposto lui, coerentemente.
Immagino che mi si fosse stampata in faccia un’espressione di trasecolamento, perché lui mi ha chiesto se poteva entrare.
«E ci mancherebbe pure», l’ho invitato.
È chiaro che per apprezzarlo dovete avere i miei medesimi gusti in fatto di uomini.
E io che gusti ho. Lo capite fra un attimo.
(Anche se ho un percorso con deviazioni e incidenti, questo va chiarito per amor di precisione).

Tadzio

Quando siamo andati a teatro, gli ho detto che lui sembrava proprio il fratello più grande di Tadzio, quello di Morte a Venezia.
Quando è venuto a fare l’esame mi ha chiesto se potevo ripetergli il nome di quel ragazzo, se lo era scordato, come non aveva capito che cosa c’entrasse Venezia e chi era morto.
Insomma, nessuno in vita sua aveva mai fatto quell’accostamento.
Ho ricominciato da Thomas Mann, ho continuato con Visconti, ho  parlato di Gustav von Aschenbach, che, scrittore nel romanzo, diventa nel film musicista e che, prima di morire in una Venezia corrosa dal colera, vive quest’esperienza, proviamo a definirla, dissoluta, morbosa ed estetica, quando incontra Tadzio.
Allora ho preso il telefono e ho cercato qualche fotografia di scena.
L’ho messa davanti a Lorenzo.
«Ci sta», ha commentato lui.
Che è uno simpatico, giocherellone, alto e atletico nel senso dell’atletica leggera, che va d’accordo con tutti i compagni.
Lui ha fatto un esame buono.
Io gli ho dato un voto ottimo.
In uno spazio del verbale, che vedevo per la prima volta perché i verbali delle altre accademie dove ho insegnato sono fatti diversamente e che recava la scritta Motivazione, nessuno mi ha trattenuto dallo scrivere «Perché è bello».
Gli ho detto di vedersi almeno il film.
Mi ha risposto che lo avrebbe fatto.
Si è alzato tutto contento, è andato da un compagno e, trionfante, gli ha detto «Damme er cinque».
Questa è la vita, questo è il fratello maggiore di Tadzio.

Tatuaggi & dintorni. È cambiata aria. Piercing, espansioni, torture della carne cominciano a scarseggiare. Da anni seguo l’andamento. Gli studenti dicono che i tatuaggi in pochissimi casi sono una comunicazione e che più spesso, se non quasi sempre, sono una moda. Le ultimissime generazioni sono tornate ad abbracciare nella maggioranza la pelle candida. Fra un po’ rimarrà una fetta di età intermedia che ci ha creduto e che voleva lasciare un segno.

Sostanze ricreative. Non sono una tossica, non lo sono mai stata e chissà se lo sarò in futuro. L’argomento mi interessa sia perché ho rapporti continui con i più giovani, sia perché mi sta molto a cuore tutto ciò che riguarda la regolazione dell’umore. Le mie fonti di conoscenza sono: i romanzi; prima il mio parrucchiere e ora uno dei suoi dipendenti; alcuni tossicologi da me consultati.
Mi fa orrore che il cocainomane sia sempre agitato, che abbia continuamente bisogno di stare in movimento, lo leggo come una versione parossistica di me stessa. Mi affascina che l’eroinomane, che pure noi vediamo buttato miseramente da una parte, sia autosufficiente e non abbia bisogno del mondo. Parlo molto di sostanze ricreative con i miei studenti, faccio notare che non vedo mai una pubblicità informativa in proposito, racconto che uno dei miei ragazzi di Napoli mi disse una volta che su Topolino, che leggeva da piccolo, c’era una foto di un suo coetaneo con gli occhi bianchi, che era drogato e che gli faceva paura. Ciò lo avevo salvato da brutte esperienze.
I miei studenti raccontano a me che si informano sui forum, non mi sembrano degli sprovveduti, dico loro buttatevi un po’ via in tutto, ma fate in modo di non buttarvi via completamente.
Ne ho viste di tutti i colori.
Belle persone, bellissimi cervelli che non hanno combinato più niente.
Quanto all’alcol, bevo certamente più io di loro. Non solo. Siccome considero il vino una magnifica espressione culturale del nostro territorio e uno dei sistemi migliori, morbido e variato, per rendere una serata liscia e indimenticabile, metto sempre in programma la degustazione di una bottiglia locale. Quindi, finché sono stata a Napoli, vini campani. A Roma, vini laziali.
E voglio le prove.
La volta, questo è successo a Napoli, che ho visto al bar un drappello di miei studenti che accarezzavano un calice di Falanghina bella fredda tenendolo per lo stelo e chiacchierando come se fossero stati sul set di un film, ho capito che stavamo sulla buona strada, quella di una ricreazione esistenziale alternativa e coltivata.
Ragazzi miei, cin cin.

Maschi & Femmine. I maschi sono mediamente più simpatici delle femmine.

E sono pure più creativi. I motivi non sta a me trovarli, sono femmina e qualche idea in proposito ce l’avrei; casomai, un’altra volta.
Le femmine dicono che i loro coetanei sono infantili.
Le tranquillizzo, sono infantili pure i coetanei miei e sono infantili quelli un po’ più giovani e pure quelli un po’ più vecchi di me. Dunque, rassegnatevi.
E mettetevi in testa che questo è uno dei lati più belli degli uomini: non crescono mai del tutto, continuano ad avere giocattoli, che, solo, diventano più grandi, a essere nel fondo del cuore fantasiosi e irresponsabili e a credere, più delle femmine, nelle favole.

Il futuro. Nei confronti dei miei studenti sono catulliana. Certe volte li odio, penso che sono mediocri, che non hanno talento, che nella migliore delle ipotesi finiranno a lavorare in un supermercato, mettendo la placchetta antifurto nella busta del prosciutto e girando continuamente le scatole di pomodoro dalla parte delle etichette. Si chiama facing, è un espediente marketing e i clienti, un secondo dopo che tu hai finito di applicarlo, arrivano e ti scombinano tutto.
Certe volte li amo, mi fanno tenerezza, mi commuovono, vorrei dar loro di più, lo dico spesso, io credo nella Scuola, «S» maiuscola, io già vi do l’anima, se volete la pelle, eccovela. E faccio il gesto di levarmela.
Vorrei abbracciarli tutti, quando finisce l’anno comincio a star male e comincio a sentire nostalgia.
Insomma, a dirla tutta, i miei sentimenti dipendono dall’umore. E dipendono dagli studenti.

Vent’anni. I miei studenti hanno vent’anni. Pure io ho vent’anni, fosse pure da un sacco di anni. Non ho mai pensato che avere vent’anni sia una cosa bella, c’è un sacco di letteratura in proposito, però, vi assicuro, avere vent’anni quando non ce li hai più da un pezzo, è una sensazione bellissima.
E allora si fa così. Io vi do quello che ho: cultura, preparazione, esperienza, riflessione, conoscenza, ascolto, disponibilità, i miei libri, i miei film, i miei artisti.
E voi date a me quello che avete o, almeno, me lo date in parte: mi date un po’ dei vostri vent’anni e io mi gioco questa carta, la carta dell’incoscienza, dell’inconsapevolezza, dell’essere pronti a tutto perché tutto può ancora succedere.

Io mi gioco la carta della giovinezza.

5 Comments

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  1. Bello

  2. Nei suoi articoli mi perdo sempre, nei suoi infiniti mutamenti di discorsi e digressioni, dove i temi fanno dei giri immensi e poi ritornano, come gli amori di Venditti.
    Non credo che tutti i ventenni siano così, certo, forse siamo figli di una cultura “fast” veloce, fatta di anglofonismi e dove voluttà diventa “chill” e andrebbe pure bene, ma Matisse lo capiremmo solo 2/3.
    E spesso facciamo gaffe, come le volte a volta (che a volte sono a volta e a volte no).
    Dell’amore è vero, io per farmi in treno Battipaglia-Napoli mi sono innamorato 2 volte, quindi le invidio Lorenzo, che fossi stato nel corso l’avrei seguito come Gustav von Aschenbach chissà cosa immaginando tra noi.
    Ah! Come mi manca, parlo di lei a tutti al Foqus, e chi non la conosce gli urlo “non conosci la Gallo?” e parto di racconti, aneddoti e della sua risata.
    È rimasta, qui, a Napoli, anche se è partita, perché lei a Napoli ha dato tutto, e tutto le è tornato. Sono felice che nei suoi articoli ci siamo.
    Mi sto dilungando troppo per un commento, ma è soltanto un modo per restare ancora insieme.
    È strano avere vent’anni, io ne ho 22 e spesso o mi sento troppo vecchio o troppo giovane.
    Le mie cuffie si sono rotte, ho imparato ad andare in giro senza, anche se ogni tanto metto la mano al collo ed ho paura di averle perse.
    Sono ritornato al San Carlo, stavolta Wagner e mi sono innamorato per la 3 volta. Ieri ho dato storia dell’arte contemporanea ed ho avuto 30 e lode, ma l’avrei rifiutato mille volte per ancora un esame con lei.
    Come sa le parlerei per ore, ma mi devo fermare.
    Le auguro tutto dei nostri vent’anni.
    Salvatore.
    Grazie.

    • Rosella Gallo

      3 luglio 2019 — 9:44

      Salvatore carissimo, ho avuto la notifica di questo messaggio mentre stavo uscendo per gli esami. Mi sono un po’ guastata il trucco appena fatto. Ti rispondo stasera, rientrando e con calma, ho il gestionale sul pc grande e voglio godermi la risposta oltre al commento. Grazie a te. Sempre per via del trucco, spero solo di non sciogliermi in lacrime di nostalgia tutto il giorno. A più tardi

    • Rosella Gallo

      3 luglio 2019 — 21:24

      Salvatore, eccomi di ritorno. Complimenti per il tuo esame di Storia dell’arte contemporanea, va bene, non penso nemmeno che avremmo potuto fare il corso insieme perché questo pensiero, da solo, mi fa stare male. Le persone sono diverse una dall’altra, dunque, mi mortifico da sola quando generalizzo, ma so pure che voi siete stati un’eccezione luminosa, non replicabile in laboratorio, con quella faccenda della volta, che a volte è a volta e che a volte non lo è, che ha dato inizio a tutto. Tu devi ammettere che non è frequente. Io devo rassegnarmi all’evidenza che un corso così non lo avrò mai più e che gli altri corsi, pure quelli al’Accademia di Belle Arti di Napoli, sono diversi. Storia impicciata, sentimenti in caduta libera. Dico sempre che bisogna cercare di lasciare un buon ricordo, l’ho imparato a un certo punto della vita, e noi il bel ricordo accademico lo abbiamo lasciato, l’uno all’altra. Già è qualcosa. Mi dispiace per la cuffia, che si ricompra, laddove sono, invece, felice per il San Carlo, se hai affrontato Wagner e se lui è stato di tuo gradimento, è fatta. Per me è stata la scoperta della meditazione, tu non lo sopporti per i primi venti minuti, poi, se resisti, entri in un’altra dimensione e il tempo non ha più né significato, né senso. Ti saluto Lorenzo, chissà se in questi giorni gli fischiano le orecchie. E auguro a te sempre e solo il meglio, tutte le cose bellissime che ti meriti e che sai come procurarti. Con grande affetto e stima, simpatia e tanto altro, grazie della lettura, grazie del commento. Grazie di tutto.

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