L’INVENTARIO, 22. PICCOLO ARTICOLO MANCANTE

Qui frappe?

Gli uomini, si sa, non maturano mai.
Figuriamoci i fratelli più piccoli (ora, più giovani), quelli, poi.
Ho un fratello più giovane (una volta, più piccolo), avevamo stanze contigue, con scrivanie separate solo da una porta a vetri, mai utilizzata perché nelle nostre camere c’erano altre porte.
Lui faceva il liceo scientifico, era molto bravo in matematica, però faceva temi sdutti e secondo me pure miserabili e io, che facevo il liceo classico e facevo temi bellissimi, ero un’intellettuale, frequentavo solo intellettuali e sapevo che avrei fatto una vita da intellettuale, consideravo lui e i suoi compagni di scuola dei deficienti.
Soprattutto quando qualche amichetto veniva da lui a fare i compiti.
A un certo punto si sentivano dalla stanza accanto dei colpi alla porta, poi delle risate sgangherate.

Non solo mi disturbavano perché stavo studiando, ma il motivo di quelle risate era capace di infastidirmi ancora più del disturbo.
Ora vi racconto.

I ragazzini studiavano francese e il professore di Francese, immagino con l’intento di far capire dinamicamente a quella classe di limitati mentali la lingua, usciva dall’aula, bussava alla porta, rientrava come un razzo e chiedeva «Qui frappe?».
Cioè, il professore domandava a se stesso chi stava bussando.
Questa cosa, nel pomeriggio, gettava nell’ilarità i deficienti, che a un certo punto smettevano di fare i compiti e cominciavano a rifare il verso al professore.
Ridendo sgangheratamente.
Il motivo delle risate che disturbavano la mia concentrazione era sempre il medesimo.
La cosa sarebbe andata avanti per anni, il «Qui frappe?» era diventato una specie di parola d’ordine, io sono sicura che se quella classe lì dello scientifico Augusto Righi di Roma si ritrova per una di quelle serate alla Verdone, con tutti i compagni di scuola che non si capisce che cosa abbiano ancora da dirsi, uno bussa, casomai sopra al tavolo, tutti, in coro, fanno «Qui frappe?» e si mettono a ridere come deficienti, tutti, pure quelli che occupano posti di responsabilità, gente seria, padri e madri di famiglia, insomma, si sa come vanno le cose a scuola, non si dovrebbe ridere, quindi si ride con ancora più gusto.
E si ride per anni.

Non solo, quando anch’io cominciai a insegnare, capii ancora di più la delicatezza della situazione, ma come, il professore si fa in quattro perché voi capiate quello che vi sta spiegando, esce, entra, si scapicolla, crea un’ipotesi quasi surreale sdoppiandosi e voi lo prendete in giro?

Comunque, la faccenda del  «Qui frappe?» non è mai venuta meno e il contagio mi ha coinvolta, per cui finisce che pure io, se qualcuno bussa, avendo interiorizzato il disturbo e le risate durati, l’uno e le altre, un sacco di tempo, mi ripeto nella testa «Qui frappe?».

Stamattina sono andata a comprare i detersivi in uno dei quei negozi superspecializzati che fanno la gioia delle casalinghe, quindi fanno anche la gioia mia.
Mentre controllavo il design dei flaconi, i colori, gli odori, i prezzi, due dei commessi, un ragazzo e una ragazza, hanno messo su una specie di sceneggiata, per cui lei ha bussato su uno di quei cartelloni pubblicitari dove le casalinghe sono ritratte sempre felici, un po’ come negli anni ’60 nella Pop Art americana, e ha detto «Chi è?».
Lui, che stava a un metro di distanza, proprio dietro il cartellone, è scoppiato a ridere.
E loro stavano ridendo e allora figuriamoci se io sono riuscita a trattenermi, mi sono avvicinata e ho raccontato loro tutta la storia del «Qui frappe?», facendo anche la traduzione perché il francese, pure quello più semplice, non lo sa più nessuno, figuriamoci i ragazzi che fanno i commessi all’acqua e sapone.
È finita che abbiamo riso tutti sgangheratamente, gli altri clienti del negozio devono aver pensato guarda ‘sti deficienti.

Ho pagato alla cassa e sono ritornata alla mia macchina, abbracciata ai miei detersivi.
(Ci vuole così poco per confortare una donna).
In quei cento metri che ho coperto mi sono ricordata che un paio di anni fa, in Accademia, dopo un Consiglio insopportabilmente noioso, stavo in Direzione con alcuni colleghi e stavamo parlando di altro.
Sarà stato perché la porta era aperta o perché ero esasperata per quelle quattro ore passate a discutere di leggi e ordinamenti, fatto sta che mi è venuto in mente di alzarmi e di chiudere la porta, per ritrovare i colleghi e fare più intimo.
E lì, di botto, mi sono ricordata, allora ho cominciato a ridere e ho raccontato di mio fratello più giovane (una volta, più piccolo), delle scrivanie contigue, della porta a vetri, del professore di Francese e dei ragazzini che facevano i compiti.
E ho fatto vedere come è che andava, sono uscita, ho bussato, svelta, sono rientrata e ho chiesto a voce alta: «Qui frappe?».
Sarà stata la noia pregressa, sarà stato che i napoletani sono simpatici, insomma, hanno attaccato a ridere pure loro e le risate sono montate sempre di più, era uscito fuori il dada e il surreale, gli studenti ingrati e la fatica di insegnare, abbiamo riso talmente tanto che un bidello è venuto a vedere che succedeva.
Niente, noi, chiuso il Consiglio Accademico e volendo un attimo distrarci, stavamo, semplicemente e come solo a scuola riesce così bene, ridendo.
Proprio come dei deficienti.

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