Sentite questa, ché è bellissima.
Ed è pure in due tempi, tale e quale a una partita di calcio.
Primo tempo: esco da casa e trovo in terra una moneta da un euro.
A proposito delle monete trovate, ci sono due scuole di pensiero: chi dice che portano fortuna; chi dice che la miseria va lasciata dove sta.
Non considero un euro una miseria, quindi raccolgo la moneta.
Che è molto sporca, alla quale do una prima passata e che, quando la giro, si rivela essere spagnola.
Dove stava la faccia di Juan Carlos. Sotto.
Vado al garage a prendere la macchina e racconto tutto al garagista.
«Vinciamo», mi fa lui.
Martedì l’Italia gioca in semifinale contro la Spagna.


Secondo tempo. Vado a comprare la mia rivista francese in via Veneto. Racconto il fattarello al signor Francesco, che si mette a ridere, contento.
Gli do dieci euro e lui mi dà il resto: una banconota da cinque euro e una moneta da uno. Guardo la moneta prima di metterla nel portafogli, la giro ed essa si rivela essere spagnola.
Dove stava la faccia di Juan Carlos. Sotto.
La mostro al signor Francesco.
«Vinciamo due a zero», mi fa lui.

Vado al supermercato e racconto tutto al mio amichetto Samuele, mostrandogli la moneta dell’edicola, che mi ero messa in tasca.
Fatica un po’ a riconoscere l’euro spagnolo, però poi si illumina.
Gli ho dovuto spiegare la circostanza, cosa che è stata un po’ come spiegare una barzelletta: la circostanza ha perso un po’ del suo sapore.

Però alla fine Samuele era contentissimo.
«Due a zero per noi», ha chiosato.
Quello, volevo dire io.

E quello voleva dire il Caso.
Ora non ci resta che giocare la partita.

Il mio medico estetico sostiene che deve esserci qualcosa nella birra.
Altrimenti non si spiega come possano gli inglesi, che sono così belli da bambini, diventare così brutti da grandi.
Ora, il mio medico estetico è un uomo di gusto ed eleganza, con il quale si conversa molto bene sia di arte che di stile, quindi non mi sento di contraddirlo, anche se a proposito della cessata venustà degli inglesi a un certo punto della loro vita, qualche dubbio ce l’avrei.

David, Wembley

Ma procediamo con ordine.
L’Inghilterra ha tutti giocatori con la faccia da inglesi.
E, almeno nella formazione che ho visto io, un solo giocatore nero.
Cosa che fa un po’ portachiavi portafortuna, e non rimescolamento di genti, come per la Francia.
E l’Inghilterra ha anche un coach, stavolta si può dire al posto di allenatore, con una faccia davanti alla quale rimango siderata.

Gareth, 1

Gareth Southgate potrebbe fare l’attore, questa carriera gli riuscirebbe meglio che a tanti altri. Ha una incredibile ossatura, come intagliata nel legno, talmente espressiva che non te ne fai più niente della bellezza.

Lo dico al mio medico estetico, che concorda, anzi è stato lui ad aggiungere il confronto con altri attori.
Do un’occhiata a com’era il coach da ragazzo e ne deduco che è di quelli che il tempo ha messo in valore.

Gareth, 2

Per uno di quei tanti casi sconosciuti a noi donne, c’è la possibilità che una faccia sia interessante pure quando non rispetta alcun canone di levigatezza o simmetria, acquistando caratura con il passare degli anni.
Su questo dovrebbero riflettere le donne, sulla loro mancata scalata a quest’altra concezione di bellezza.
Invece di stare a perdere tempo sulla lingua, ultimamente coprendosi sempre più di ridicolo, declinando al femminile la parola personaggio (qualcuno mi dica, per favore, se al plurale fa personaggie o personagge perché da sola non ci arrivo), avrebbero potuto da un pezzo dispensare le loro energie in quell’altra, ben più interessante impresa.
Anche ben più ardua, d’accordo, perché vorrebbe dire scardinare secoli di un punto di vista univoco, che riguarda solo le donne, che devono essere sempre e per sempre giovani e belle.

Picasso, Demoiselles d’Avignon, 1907, part.

Laddove però l’arte ci sta dicendo da un pezzo che la cosa non sta del tutto così, che è possibile fare a pezzi una donna, massacrarne i lineamenti e tirarle fuori una sensualità che prima non c’era.
Tutte le volte che ho chiesto a un’aula mista se le Demoiselles di Picasso erano brutte, mi sono sentita rispondere di no dai maschi.
Che, anzi, le trovavano erotiche (anche se un po’ preoccupanti).
Vuoi vedere che nei più giovani si annida qualche speranza.
Ma perché non provo io a scardinare questa impalcatura, che ci tiene tutti prigionieri dentro.
Perché da sola non posso farcela. Infatti faccio tutto quello che posso per lisciarmi la pelle e per levigarla.

Ammetto che dall’ultima volta che ho visto uno svizzero dotato di sex appeal è passato un po’ di tempo.
Da quando, cioè, in vacanza al mare, ballai tutta la sera e un pezzo della notte con un ragazzetto di Zurigo, del quale devo avere ancora il nome sepolto in qualche parte della memoria.
Andavo in quinta ginnasio, quindi avevo quindici anni.
Lui mi disse con aria tristissima «Tomorrow you leave» ed io, tristissima, il giorno dopo partii.
Insomma, come si sarà capito, finì lì.
Fino a che non mi è ritornato in mente quest’altro fattarello l’altro giorno, accorgendomi dell’esistenza del portiere della Nazionale elvetica.
Pure questa volta, finì lì.

Yann

Svizzera-Spagna 2-4.
E senza manco un ballo.

Che cosa abbiano fatto i belgi di male, ancora devo capirlo.

Charles

«La questione dei vini.
Il vino in pubblico; in famiglia, la birra. Bevono del vino per vanità, per avere l’aria francese, ma non lo amano».
E ancora:
«La questione della cucina.
Niente carni arrosto.
Tutto è cotto al vapore.
Tutto è accomodato col burro rancido (per economia o per gusto).
Verdure esecrabili (sia naturalmente, sia per il burro)…
I cuochi belgi credono che una cucina molto condita sia una cucina piena di sale…
Tutto è quattro volte più costoso che a Parigi, dove di costoso c’è solo l’affitto».
Quando Charles Baudelaire muore è il 31 agosto del 1867.
Ha quarantasei anni e, fra le varie promesse non mantenute della sua vita (peraltro una delle vite più eroiche e suggestive che io conosca), c’è anche quella di raccontarla.
E di vendicarla.
La sua collera, di sapore confessionale, si esprime per frammenti, relativi a progetti di tre opere, una delle quali si intitola La Belgique déshabillée, Il Belgio spogliato, un «povero Belgio», del quale il grande letterato parla male, anzi, malissimo, perché lo prende a pretesto per parlare male di tutto il genere umano.
Magari chi parla male di qualcosa o di qualcuno lo facesse in questi termini, così profondi e feroci da rasentare, e raggiungere, vertici altissimi.
La Nazionale del Belgio che abbiamo visto, con il Rosso e il Nero che hanno giocato, aveva il sapore di Stendhal.

Kevin il Rosso, Romelu il Nero & Compagni

A me il Belgio non ha fatto niente.
E manco all’Italia.
Dunque, si può essere magnanimi.
E comunque a me il Belgio sta simpatico.
A Bruges ho mangiato la sogliola migliore della mia vita, una sogliola incredibile, grossa che non stava nel piatto, carnosa come una spigola, altro che quelle cose piatte come sogliole che si vedono dalle nostre parti.
L’albergo era elegante, il ristorante all’altezza e, con buona pace di Baudelaire, pure il vino non era male.
Certo, era vino francese.

Michelangelo, Madonna di Bruges, 1501, part.

In Belgio c’è il mio Michelangelo prediletto, quella Madonna, di nuovo, di Bruges un cui dettaglio, quello della mano del Bambino incastonata in quella della madre, è in una foto Alinari bene in vista sul moodboard del mio ingresso, insieme a qualche altra piccola cosa di ordine morale, motti, avvertimenti, che, per forza di cose, avendoceli messi io stessa e stando, essi, sempre sotto gli occhi, mi riguardo spesso.
E accanto a una foto di Beckham versione Real Madrid, la mia prediletta.
Se pensavate che nella vita ci sono bellezze diverse, ci avete preso.
Lo penso anch’io.

E poi è belga anche Tintin, che leggo regolarmente quando ho voglia di avventura.

Tintin & Milou

E Tintin ha il cane più simpatico del mondo, quello che certe volte parla e sempre pensa, apprezza l’alcol, cosa che non condivide con il suo padrone, tragicamente astemio (l’unico suo difetto) e che, in tutte le storie, è il filo rosso che a tutto dà un senso, anche nelle situazioni più fantascientifiche o improbabili.

Lascio perdere l’arte belga, altrimenti non ne usciamo più.

Fernand

Non prima, però, di aver rivolto un pensiero al mio preferito, Fernand Khnopff, il dandy più dandy di tutti, la scoperta del quale, in realtà più un incontro che una scoperta, è stata una delle pietre angolari della mia esistenza, non solo dal lato professionale.

Il Subbuteo. Ci giocava mio fratello da ragazzino e certo non pensavo che ci fosse ancora qualche appassionato.
Ma, a una rapida occhiata, trovo campioni, tornei, anche un giocatore di Subbuteo in solitario, che dice cose bellissime, per esempio che Il calcio è la più bella imitazione del Subbuteo e che Il campo del Subbuteo è il mio giardino Zen.
Partita dall’idea che il dare schicchere a un giocatore incollato su una mezza sfera superati i sette anni di età fosse un’attività da dementi, devo ricredermi e riconoscere il mio sentimento di ammirazione nei confronti degli appassionati.
Che, è vero, hanno tratti infantili nel loro comportamento, ma, sarò molto chiara: non ho mai incontrato un uomo adulto in vita mia.
Nemmeno fra quelli più (apparentemente) seri,  nemmeno fra i nevrastenici consumati da professioni importanti, nemmeno fra quelli intellettualmente gravi, e con questo termine intendo dire vecchi.
Nemmeno fra quelli che di essere adulti sono convinti.
Essi fanno finta.

Ed è questo uno dei veri motivi del fascino di un uomo, uno dei tratti che più invidio, insieme ai preziosismi nel parcheggiare la macchina e alle scarpe stringate (io non ne trovo mai di belle come le loro), nel genere maschile.
Questa capacità di mantenere un legame fisso e costante con l’infanzia, a oltranza e oltre ogni possibilità logica: questo continuare a giocare.
A Subbuteo, come a tutto il resto.

E l’Italia, in tutto questo?
Come, non ve ne siete accorti. L’Italia è in semifinale, quindi avremo modo di tornare sull’argomento.
Sto dicendo che l’Italia ci chiama.

E io, che sono italiana e che, dunque, amo la pizza, gli spaghetti, Raffaello e, a questo punto di splendore e di speranza, amo pure la Nazionale, se l’Italia chiama, che cosa volete che faccia.

Rispondo.