SÌ NO NON SO

Geoffrey Roberts, La Ruota dei Sentimenti

Forse non è un caso, che abbia cominciato a sognare la mia casa.
Non sogno più treni, che pure ho sognato per anni, anche se come fai ad aver buttato fuori una volta per tutte tutti quegli anni di andirivieni.
Sogno la mia casa, che però non è la mia casa.
L’altra notte era una casa più grande, che in comune con la mia aveva le mezze finestre, che però io ho solo in  cucina e in bagno, come si usava nelle case vecchie.
E da quelle mezze finestre, che io mi rimproveravo di non aver chiuso a dovere, da tutte loro, sono cominciati a entrare uomini armati fino ai denti, quelli con i caschi, i mitra, i guanti, i passamontagna, mi hanno invasa e io ho cominciato ad avere paura.
Ho capito che era accaduto qualcosa nella casa vicino alla mia e che loro si stavano appostando e io ho cominciato a dire «ho paura», ma nessuno di loro mi rispondeva e si sono tutti acquattati in una stanza, protetti da un tavolo, che forse era il mio perché io in salotto ho un grande e bellissimo tavolo déco che una volta volevo vendere e meno male che un’amica mi ha chiesto se ero diventata matta e sotto al tavolo hanno trascinato anche me e io li sentivo violenti ed estranei.
Fino a quando non ho guardato oltre la maschera e lo schermo facciale l’uomo che mi era acquattato vicino e non gli ho detto «ho paura» e allora lui ha allungato e strisciato  una mano sul pavimento ed era una mano normale di uomo, non aveva guanti, non impugnava armi e me l’ha tesa e allora io mi sono fatta coraggio e ho allungato la mano mia, che si è andata a depositare in quella mano come un uccello nel nido.
E lui la mano me l’ha stretta.
Mi sono svegliata di botto.
Proprio sul più bello.

Per tanto tempo ho sognato che il treno mi lasciava lontano dalla mia città e non sapevo come fare, non avevo altri mezzi per rientrare.
La notte scorsa non c’era il treno ma stavo lontano da casa mia e volevo farvi ritorno e allora è cominciata una visione faticosa e complicata di strade e palazzi e poi mi sono accorta che non avevo le chiavi e mi sono detta allora citofono e, dopo che avevo fatto una grandissima parte di strada e stavo finalmente sotto casa, ho visto che però non era casa mia, ma era la casa di mio padre.
E sembrava quella ballata di Poe in cui c’è l’angelo, che poi è la sua anima, che trascina le ali nella polvere e gli dice non andare da quella parte e lui insiste e continuano a camminare insieme e lui a un certo punto si accorge che è davanti alla tomba dell’amata perduta.
Solo che Poe pensa di sognare,  «This is nothing but dreaming», mentre io invece ero sicura che fosse tutto reale.
L’angoscia dell’incubo addolcita dai riferimenti letterari.

Irina è tornata in Romania perché ha avuto un lutto.
Loro sono numerosissimi, fanno battesimi con cinquecento persone e se al matrimonio ci sono solo centotrenta invitati, è una cosa intima.
La domenica si vedono a pranzo in dodici e dicono che c’era poca gente e se uno si mette a fare un po’ di conti, capisce che si può passare l’intera vita a piangere i morti, perché più parenti hai, più probabilità ci sono che qualcuno muoia.
È una questione matematica.
Dunque, io pensavo che il dolore, suddiviso, diminuisse, invece no, si moltiplica e questa faccenda dei numerosi parenti ti fa passare la vita fra matrimoni, funerali e battesimi.
Comunque ho detto a Irina guarda che tu, con questa situazione sanitaria, rischi di rimanere là mesi, se non addirittura di non potere più uscire.
Infatti.
Ritorno alla casella di partenza.
Ci prepariamo a un nuovo confinamento.
Florentina, che mi aveva mandato Irina per sostituirla,  è venuta tre volte e ha due figli piccoli.
Le scuole chiudono tutte.
Dunque viene Marlena, che è già venuta ad agosto.
Ricomincia la girandola del qui stanno i detersivi e del come si accende l’aspirapolvere.
Ormai è così per tutto, anche se non credo che ci abbiamo fatto l’abitudine.
Stamattina sono andata a comprare due vasche per i pesci rossi.
Francesco mi ha detto che avevo avuto una buona idea, loro rimarranno aperti ma potranno vendere solo il cibo.
E se ti si rompe la vasca.
Dove li metti, i pesci rossi, in un catino.
Così finisce tutta la loro bellezza.

Prima della partenza, abbiamo ragionato con Irina sul fatto che l’idraulico fosse sposato con una biologa, cosa, in Italia, non frequente (altrove non ho idea).
Lei non capiva, diceva ma l’amore, rispondevo guarda che nel matrimonio l’amore è più o meno l’ultima cosa, sembra che siamo diventati tutti romantici, poi però il matrimonio è una cosa simbolica, con risvolti sociali e amministrativi.
Concetto, lo ammetto, difficile da spiegare, forse anche da digerire.
Poco tempo fa ho chiesto a due uomini diversi, che però avevano similitudini, la quarantina bien sonnée, professionisti, una bella macchina, liberi, se sarebbero usciti con una fruttivendola.
Ho detto fruttivendola perché shampista mi faceva troppo anni ’80.
Uno non ci ha nemmeno pensato e mi ha risposto «Certo», l’altro si è quasi risentito, mi ha detto ma perché mi fai questa domanda, adombrandosi.
Perché ho sotto mano te, vorrei vedere che cosa mi risponderebbe una tua omologa.
Mi chiederebbe se mi ha dato di volta il cervello.
Oppure direbbe come Irina ma l’amore, fino a che, però, dalla teoria non passasse alla pratica.
Anzi, secondo me alla pratica l’omologa manco ci arriva.
Perché le donne cercano l’upgrade, visto che, evidentemente, non si bastano.
Mi chiedo da un pezzo se sia un problema culturale, cioè che ti dici con uno distante anni luce da te o, appunto, simbolico, con risvolti sociali e amministrativi.
Sono arrivata alla conclusione che sia un misto di tutto, che la parte culturale la superi (per esempio, io non frequento mai i miei omologhi perché mi annoiano), però tutto il resto pesa, e pure parecchio.
Sto parlando di matrimonio, non di amourettes, coquineries de bar, coucheries, attività diverse che stanno tutte sotto il medesimo segno e che, come gli uomini sanno benissimo, e ormai pure le donne, sono un po’ il sale dell’esistenza.
Comunque, a me la biologa che sposa l’idraulico mi fa strano.
Fermo restando che per capire come funziona la cosa, dovrei conoscere la biologa.
E invece conosco solo l’idraulico.

Dopo l’ubriacatura che mi sono presa con l’ultima serie, quella francese, bellissima, delle identità segrete, non ho acceso il televisore per venti giorni.
Per rompere l’incantesimo, perché io poi sono capace di non accendere il televisore per anni, sono andata a comprarmi due film nella libreria grande vicino a casa mia.
Dove non trovo mai niente, né da leggere, né da vedere.
Non sono affatto d’accordo con quelli che dicono che non si devono comprare libri e film in internet perché manca la sorpresa dell’incontro imprevisto. A me succede esattamente il contrario, dipende da come usi internet.
E dipende dalla libreria.
Sono uscita con due film che, alla fine, si sono rivelati entrambi brutti.
1. Quello delle donne matematico nere degli anni ’60 che facevano i conti alla NASA: tutto finto, retorico, oleografico. Ho resistito quaranta minuti.
2. Il film del regista-miracolo canadese che racconta la storia del giovane scrittore che torna dopo dodici anni di assenza a casa dalla madre e dai fratelli perché vuole annunciare loro di persona che sta per morire. Un gruppo di attori bravissimi trattati come caricature;  belle donne nelle quali mai avevo visto tanti difetti: i denti a paletta da coppetta di gelato dell’una;  una gravidanza che aveva lasciato troppi chili in più nell’altra; noiosissimo; teatrale, cosa al cinema insopportabile; privo di ritmo; verboso a sprazzi, che è ciò che deve essere piaciuto ai critici, perché così si sono sentiti intelligenti. Anche se, chi cerca trova, un paio di recensioni lo dicevano: sopravvalutato, inguardabile. Dopo trentacinque minuti il dvd è finito al secchio.
Voi pensate solo che con Amazon restituisci quello che non ti piace comunicando semplicemente che non corrisponde alle tue aspettative.
E ti ridanno il denaro che hai speso praticamente subito.
Andate a dirlo voi a quelli della Feltrinelli.

Bisogna leggere i classici. «È strano, l’avete notato?…Si trova sempre qualcuno che vi paghi da bere, non si incontra mai nessuno che vi paghi da mangiare».
Émile Zola, Il Ventre di Parigi.
Il grande scrittore lo riconosci dal rapporto che ha con l’alcol e dal senso della formula, che in Zola è potentissimo.

Tempo fa ho sentito alla radio un’intervista a un’attrice che raccontava un episodio legato agli esordi della sua vita amorosa.
Una volta, quando era adolescente, ricevette da un compagno di classe un biglietto sul quale c’era scritto: «Ti vuoi mettere con me?». E poi c’erano tre caselle da barrare, nelle quali, come in un test di quelli seri, c’era scritto: «SÌ»; «NO»; «NON SO».
Delizioso. Discreto. Interlocutorio. Tenero.

Forse un po’ vigliacco.

(In fundo. Ho trovato la Ruota dei Sentimenti in una Newsletter alla quale sono abbonata. Non tutte le Newsletter sono interessanti, però alcune non vengono per nuocere).

4 Comments

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  1. Giulia spalla

    13 marzo 2021 — 21:41

    Con la frase “Perché le donne cercano l’upgrade, visto che, evidentemente, non si bastano” mi fai sognare.😂

    • Rosella Gallo

      13 marzo 2021 — 21:53

      Già siamo a buon punto. Sognare è bello e fa bene. Poi, bisogna vedere che ci facciamo noi donne, con i sogni. Sempre con grande e calda simpatia, Giulia mia

  2. Giulia spalla

    14 marzo 2021 — 18:42

    Parole sante !
    Grande Prof.😊

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