Differenti temperature di tifo calcistico.
Il mio amichetto del supermercato della via dove abito, quello che gioca a calcetto il mercoledì sera e spesso perde o si fa male, è romanista e poco interessato alla Nazionale.
Il mio tecnico del pc, juventino, al quale racconto la storia, mi dice che i romanisti sono così.
Il mio tappezziere, romanista, fa un’analisi sottile, che manco quando si è trattato di decidere la lunghezza delle tende della camera da letto, al momento le più importanti a casa mia.
Al momento, perché presto avrò di meglio di cui parlarvi.
Ma, dicevamo, il tappezziere romanista: che esulta se la Nazionale segna; però esulta un po’ di più se segna un romanista; però esulta un po’ di meno se segna un laziale.
Fratelli coltelli.
Il mio falegname dice che l’Italia è una bella squadretta, giovane e dinamica.
Il mio pittore, chiameremo così l’imbianchino, che gioca a pallone nel ruolo di attaccante, è d’accordo con lui.
Il mio medico di riferimento, un uomo molto elegante nonostante la catenella d’oro al collo con attaccato un lupetto, sottolinea che ci sono state critiche all’Italia perché poco interrazziale.
In effetti, a guardarla, la Nazionale italiana schiera in campo tutte facce da italiano.
Proprio come all’opposto fa la Francia, che ha giocatori di tutti i colori, anche nerissimi, sembra proprio di stare in un quartiere di quelli rimescolati di Parigi.

(Se pensate che io stia facendo lavori in casa e che mi consulto con gli artigiani che frequento non solo sui materiali e sui tempi, ci avete preso perché è vero).

Non capisco il tennis.
Capisco poco il calcio, ma siccome trovo sempre qualcuno che me lo spiega, fra l’altro senza nemmeno farmi pesare la mia insipienza, essendo inoltre io una donna di buona volontà, sommando tutto riesco a godermi una partita.
La mia teoria è presto detta: essendoci in campo almeno ventidue uomini giovani e sportivi, finisce che qualcuno che svolga il ruolo di belvedere si trova.
Mica sempre, però, visto che alcune squadre sono fatte di uomini che da guardare non hanno praticamente niente.
D’accordo che l’aspetto fisico non è la dote principale di un atleta, ma certi esagerano nell’altro senso e poi, come sappiamo, pure l’occhio vuole la sua parte.
E la parte che preferisco nelle partite è la telecamera che fruga negli spogliatoi e si capisce che i giocatori sono tesi e nervosi, io farei lo stesso.
Poi mi piacciono gli inni, perché si vedono le facce, e sono facce bianche e nere, nordiche, mediterranee, slave, l’Unione europea in campo si legge molto bene, è meglio di un atlante, è meglio di un viaggio.
Per non parlare di quanto sia interessante vedere, quando ci stanno, i tagli di capelli, nemmeno nella discoteca più alla moda, dove del resto non conto di mettere piede, si vede un tale assortimento di tendenze.
Poi mi piacciono i primi piani sui giocatori quando tirano in porta, il trionfo quando segnano, la disperazione quando fanno cilecca.
Mi dispiace quando i calciatori si fanno male.
I calciatori non mi piacciono quando sputano.
Invece mi piacciono quando si tirano su la maglia per asciugarsi il sudore perché quello che si intravede sotto è finalmente un belvedere.
Ne parlavo l’altro giorno per strada con il mio elettrauto, che è anche il mio meccanico, con la bottega sopra il mio garage. Lui è uno piccoletto e asciutto, sempre in movimento, va in bicicletta e spesso si occupa della bicicletta mia.
Mi ha detto che si era stancato andando per funghi, gli ho detto ma andiamo su, un uomo come te, non hai neanche un filo di pancia, sembri un calciatore.
Lui è stato proprio contento.
Gli uomini dovrebbero avere un po’ più cura del loro aspetto fisico, in estate sono tutti sbracati e indossano maglie niente affatto compiacenti, una camicia già sarebbe più adatta a contenere quelle escrescenze che guastano la linea.
Gli uomini dovrebbero prendere esempio dai calciatori.
Lo dico sempre, i modelli bisogna sceglierseli alti, uno mica può voler diventare come gli uomini che si vedono in giro.

Finora di questi Europei col décalage, che sono datati all’anno scorso, ho visto poche partite, ma conto di applicarmi.
Tifo ondivago, come sempre.
Insomma, prima do un’occhiata a quello che c’è in campo.

Mi piace Cristiano Ronaldo.
Mi sono chiesta il motivo.
Un mio collega dice che è per via del fascino mediterraneo.
Ma per me il fascino mediterraneo è tutt’altro.
Quindi mi sono messa a pensare: che cosa ha di magnetico quest’uomo.
Perché di magnetismo è carico, anche senza i tagli di capelli con la scriminatura rasata che aveva in passato, le ultime volte che l’ho visto.
(Anni senza vederci, poi ci ritroviamo).

Sono stata in Portogallo e i suoi connazionali non gli somigliano, del resto lui non somiglia a nessuno, sembra un alieno, starebbe bene con la tuta spaziale in missione su un pianeta lontano.
Per prima cosa è un uomo alto. Ronaldo fa un metro e ottantasette, superando così di due centimetri l’altezza che in un uomo ritengo limite per avere un portamento elegante. Ma lui non ha nessuna delle goffaggini così frequenti negli uomini che svettano: lui, mi viene da dire, sa che cosa fare delle sue gambe.
Poi è sempre composto, pure quando si sbraccia, pure quando sputa, pure quando esulta.

O quando piange.
Quanti uomini ho visto piangere in vita mia?
Pochissimi. E la penuria nemmeno mi dispiace, sono talmente piagnona io, che mi ci manca di vedere piangere gli uomini per avere la conferma che la vita è una valle di lacrime.
Inoltre, e qui credo che stia il punto, Cristiano Ronaldo interpreta alla perfezione la metafora dello strabismo, dell’ambiguità in senso alto, della dissociazione, dello sdoppiamento: il suo corpo dice una cosa, il suo viso ne dice molte altre.
Il corpo di Cristiano Ronaldo racconta il riscatto e l’ossessione, l’accanimento, la volontà, che immagino, e non ci vuole molto a immaginarla, di ferro, l’applicazione, il rigore, l’alienazione, appunto, ma anche qui in senso alto, io non appartengo a questo mondo e a queste vostre vite.
E ve lo dimostro.
Il viso di Cristiano Ronaldo è come se sfuggisse al suo controllo: sulla sua faccia si legge tutto, il timore, la felicità, l’esaltazione, la disperazione, l’orrore del vuoto che può succedere.
Tecnicamente, il volto di Cristiano Ronaldo è un volto bello: è regolare, lui ha ottenuto un sorriso irresistibile, ha pure, nonostante la stazza, orecchie piccole.
Una mia domestica filippina diceva che le orecchie grandi sono segno di lunga vita.
Ma, detto fra noi, della vita lunga, chi se ne importa.
E che orecchie grandi hai!”. “È per sentirti meglio”. Cappuccetto Rosso).
(«Più tardi ancora, quando si lasciano dinanzi alla casa di lei, la Laide raccoglie dal sedile di dietro la rivista, gli fa vedere la copertina, esclama raggiante “Dio che bel topolino che hai”. Lui giurerebbe che la bella bagnante non è lei, guardando meglio si è accorto che anche la forma delle orecchie è diversa…», Dino Buzzati, Un amore, 1963).
(Prima o poi dobbiamo tornare a parlare delle orecchie, per quanto esposte, luoghi delicati e segreti del corpo).

Cristiano Ronaldo, in quella faccia che abbiamo detto, ha occhi molto espressivi, laddove quegli occhi potrebbero esprimere solo una volontà di guerra.

Una volta alla Stazione Termini, mentre aspettavo il mio treno per Napoli, incontrai una mia già studentessa, che mi abbracciò e mi raccontò che, non mi ricordo come, era finita a lavorare a Milano per una squadra di calcio.
E che aveva deciso di chiudere, perché tutti i soldi che giravano da quelle parti le davano la nausea, non riusciva a scendere a patti con quel sistema di esistenza.
Posso capire.
In vita mia ho conosciuto una valanga di calciatori che definisco qui dilettanti, ma forse solo uno che stava a un altro livello, anche se la sua particolare situazione di sostituto di uno che non andava mai sostituito non prometteva bene.
(Immagino che i calciatori a quel livello frequentino ambienti diversi dal mio, ammesso che io ne abbia uno, di ambiente, da frequentare).
Provo a capire e posso esser d’accordo.

Ma non mi disturbano i guadagni dei calciatori, se mi devo far disturbare, mi faccio disturbare da altro, certo non da quelli che hanno un talento originale e che lo esprimono su un campo da calcio.
Figuriamoci, nemmeno sto a farmi disturbare dagli usurpatori della storia dell’arte, che mai hanno sudato su niente che la riguardi. Tutto sommato, continuo a pensare che la differenza sia vistosa e visibile, certo, per chi sa intendere e vedere.

Tutto il resto, come diceva Montale, è murmure d’arnie.
Da una rapida occhiata non ho capito se a lui interessasse il calcio.
Al collega Umberto Saba, «Il portiere su e giù cammina come sentinella…», forse.
Ma non è nemmeno sicuro.

E pure a me il calcio non è che interessi molto.
Anche se i discorsi per strada, il senso di appartenenza, l’entusiasmo davanti allo schermo, l’Italia che s’è desta, e pure altre squadre forse non è che stiano dormendo, anche se tutto questo, come sempre è successo, mi sembra bello e percorso da violenti fiotti di vita.

E poi la mia televisione nuova non ha ancora compiuto un anno.
E la mia relazione con lei ha totalizzato prima degli Europei quarantacinque minuti di visione.
Quarantacinque minuti di televisione in quasi un anno.
Lo capisco da sola, non è che qualcuno me lo debba dire: se mi ci applico, se qualcuno mi spiega, qui finisce, non dico che mi rimetto in pari, non sarebbe mai possibile, ma che almeno do un senso a quello schermo che sta nel mio salotto.

Non solo film, i miei film, ma anche il calcio.
E fra breve, applicandomi e vedendo un po’ più di partite, deciderò pure per chi tifare.