Loïe Fuller

Mi sono mortificata.
Mi sono mortificata perché non avevo mai capito quanto fosse difficile e pesante.
Mi sono mortificata come spero sempre che si mortifichi qualcuno quando capisce che mi è successa una cosa difficile e pesante e quello magari manco se ne era accorto.
Figuriamoci.
Forse ci vuole un film a raccontarlo.
Infatti.
Loïe Fuller nasce Marie Louise Fuller e io l’avevo sempre e solo vista danzare su un palcoscenico, dove si esibiva in abiti che la trascendevano, con maniche lunghissime che coprivano il trucco che c’era sotto: dei bastoni che erano l’anima portante dei suoi movimenti e che, insieme a un sapiente gioco di luci, la facevano sembrare un’apparizione, qualcosa che atteneva al soprannaturale, forse un fenomeno simile a quello incarnato da Nijinsky, che dava l’impressione di levitare.
O forse levitava sul serio.
Questa era per me Loïe Fuller.

Per me la sua era sempre stata una presenza costante.

Henri de Toulouse-Lautrec, Loïe Fuller, 1893

Visto che si esibiva alle Folies Bergère, lei compare nei ritratti di Toulouse-Lautrec, che, come sempre fa con l’inafferrabile, l’afferra al volo, stavolta è proprio il caso di dirlo. Una volta, alla bella mostra qui a Roma all’Ara Pacis dedicata al grande artista, c’era anche un breve filmato, nel quale lei appariva in un gioco di luci colorate, che la trasfiguravano.

Non solo, nel secondo volume, il mio prediletto, dell’autobiografia di Simone de Beauvoir, avevo sottolineato e ho ritrovato subito «des éclairages à la Loïe Fuller», che lei vede in un ristorante raffinato di Berlino, dove la porta Sartre durante una vacanza.
Il ristorante si chiama Le Rêve ed è probabile che quella illuminazione avesse qualcosa a che vedere con questo oggetto, una lampada Art Nouveau disegnata da Raoul Larche e dedicata alla danza serpentina dell’artista.

Raoul Larche, Lampada Loïe Fuller, 1900

Pensavo che quella danza fosse facile. Sapete, quando vedete il grande calciatore o il grande ballerino fare una delle loro prodezze e pensate e che ci vuole.
Forse è questo il senso intimo del talento: far sembrare un miracolo un evento naturale.
Ma dicevamo, il film.
Visto per caso, pensando speriamo che non sia brutto, ma gli attori erano fra i miei prediletti, male che vada – mi sono detta – mi guardo loro.
E invece è un film bellissimo.
La storia di Loïe Fuller, nata Marie Louise, ci sta tutta, da quando lei sta in un ranch in America, con un padre che la lascia presto, passando dalla ricerca della madre, che definire timorata di Dio è un po’ troppo poco, fino ai primi passi come ballerina che scopre di potersi far crescere le ali, facendole diventare sempre più lunghe.
E qui è nata la mia mortificazione, dalla descrizione minuziosa della preparazione del suo numero, dai disegni, dalla ricerca delle stoffe nelle quali avvolgersi, dai macchinari di cui indaga sempre più scrupolosamente il funzionamento.
Ecco, questa è la principale caratteristica del film, che è un oggetto flou che mette in scena giovani donne dai corpi leggiadri senza mai fare Hamilton, che racconta l’ambizione, il viaggio sull’oceano, Parigi, gli amori e, soprattutto e qui sta il punto, il dolore e la fatica fisica.
Le spalle sempre dolenti, i bagni nell’acqua colma di ghiaccio, l’esercizio fisico per irrobustire le braccia, gli occhiali scuri alla Robespierre per proteggere la cornea, divorata dalle luci elettriche, che ogni tanto esplodono pure.
Una pioniera.
Un’eroina.
Una creatura in sofferenza.
Come ho potuto non accorgermene.
Mi ha fatto tornare il mente la mostra bellissima di Caravaggio a Roma per il quarto centenario della morte, quando dovetti fare una sosta e un passaggio alle tolette per ripulirmi perché non vedevo più niente.
Mi scendevano le lacrime, mi ero commossa, avevo finalmente scoperto (pensato di scoprire) il segreto del grandissimo maestro: la meccanica.
Quella dell’azione e della tortura, per esempio nell’Incoronazione di spine, che vi mostro nella versione di Prato, in cui la corona da sola non basta, dunque il carnefice la ficca ancora di più sulla testa facendo leva con un bastone.

Caravaggio, Incoronazione di spine, 1603

E Cristo, mansueto come un animale portato al macello che sa di non avere scampo, compie solo un gesto minimo, non di ribellione, ma di dolore, con le mani che si aprono come ali nonostante le corde che l’altro tirapiedi bada a tenere belle strette, perché sia netta la sensazione di vie di fuga tutte ostruite, tutte inaccessibili.

La protagonista del film La Danseuse è una cantante, che scrive le sue musiche e che recita e danza.
È perfettamente nella parte.
Ma è me è piaciuto molto anche il suo mecenate, il conte Louis Dornay, eteromane, dandy fino al midollo, un aristocratico fin de race, che vuole Loïe ma fino a un certo punto, che si immerge tutto vestito nella vasca nella quale lei cerca sollievo dalle contratture che la tormentano, finisce con il suicidarsi e lascia in noi il rimpianto di non averlo incontrato di persona.


Devo a lui il titolo di questa Newsletter, che è la frase che lui scrive a lei quando le fa recapitare una stoffa adatta all’abito di scena in una fastosa scatola portata da un valletto.
E la scatola da sola vale una storia.

Per il resto, quello che sto facendo.
Oltre a vedere film, occupazione sempre in cima ai miei pensieri, sulla scia di Loïe Fuller mi esercito a farmi venire più muscoli alle braccia (il buon esempio); fra due Episodi avrò portato in porto anche la barchetta della Miniserie American Beauty, alla quale sto lavorando alacremente; mi dedico, come sempre con gusto, a confezionare Sorbetti, che sono le mie creature più recenti, quelle alle quali tengo tantissimo e che spero di dotare sempre più di ali per farli sempre più volare in alto, al di sopra delle convenzioni della storia dell’arte, del calendario che volge pericolosamente ai mesi estivi, dell’incertezza, che continua a essere tale, del momento, dei progetti per la stagione autunnale che per forza di cose stagnano, senza che questo sia peraltro un problema, perché poi le cose si fanno sempre da sole e vedremo le cose come saranno capaci a farsi.
State bene e fate pure voi cose bagnate di luce, piene di colori cangianti, ricolme, se vi fa piacere, di bellezza stravagante.

* Il film La Danseuse è uscito nel 2016 ed è di Stéphanie Di Giusto. Oltre che da Soko, è interpretato da Gaspard Ulliel, Mélanie Thierry e da Lily-Rose Depp, che veste i panni liberi e volanti di Isadora Duncan
** L’illustrazione di apertura, con una delle Pupazzine, e poi il pieno, il vuoto, la notte stellata e la luna, è di Lorenzo Rocco
*** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi. Il più delle volte che ho un guaio digitale, sono contenta perché ho l’occasione di sentirlo per farglielo risolvere
**** Sul mio blog  c’è una sezione che si chiama Arte e Cinema, insieme perché si occupano entrambi di immagini e perché arte e cinema, nella mia esistenza, fanno bon ménage. Come bon ménage dovrebbero fare nell’esistenza di tutti