E soprattutto ricordarsi che far poesie è come far l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa.

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 17 novembre 1937

Ci sono quelli che scrivono bene ma che non hanno niente da dire.
Ci sono quelli che hanno delle cose da dire ma che scrivono male.
Ditelo con i fiori. Se fosse possibile, come per i suddetti, fare degli innesti, saremmo a posto.
Quelli che scrivono bene ma non hanno niente da dire riscriverebbero gli scritti di quelli che hanno delle cose da dire ma scrivono male e saremmo tutti contenti.
Ma non è così facile.
Più volte nella vita mi è capitato di sentirmi chiedere di leggere qualcosa che qualcuno aveva scritto.
La volta più surreale fu quella in cui mio fratello, prima più piccolo, ora più giovane, mi mise sulla scrivania i due tomi appena rilegati della sua tesi di laurea e mi disse: «Leggi».
L’unico problema è che era una tesi in Ingegneria dei trasporti e che dovetti stare attenta a non confondere le virgole della grammatica con quelle della matematica.
Tutta la tesi era fatta solo di formule e di qualche frasetta qui e là, sulla quale mi concentrai.
Per un paio di decenni ho riletto tutto quello che scriveva una persona a me molto vicina, che faceva ricerca.
Chissà le cose che avrai imparato.
No.
Il diritto costituzionale è una disciplina super sofisticata e super specialistica, praticamente fra il diritto costituzionale e l’ingegneria dei trasporti c’è poca differenza.
Di senso.
Ma ho letto tutto e tutto corretto quando c’era da correggere.

La responsabilità del primo lettore è grande, quindi il lavoro va fatto responsabilmente.

Io sono di quelli che si rileggono da soli, un po’ perché sono gelosa di quello che scrivo, un po’ perché non mi fido di nessuno.
Non sono l’unica e c’è chi sostiene che noi siamo i migliori giudici di noi stessi. Ma io non sono d’accordo, perché soprattutto sulla scrittura è quasi impossibile giudicarsi.
Anche se è pieno di tecniche di revisione che funzionano: dormirci sopra, rileggere al rovescio, parola per parola, far passare ulteriore tempo.
Le cose che non mi piace rileggere sono quelle scritte dai cianfruglioni, da quelli che si impancano, dai paludati che ti devono far sapere quanto sono bravi.
Soprattutto in fatto di arte i cianfruglioni mi indispongono. Ce ne è in giro una quantità industriale, non si capisce mai niente di quello che vorrebbero dire, se glielo fai notare, si offendono.
In realtà, loro volevano solo dei complimenti.
Se non glieli fai, che lettore sei.

Come è noto, non c’è più la critica.
Non facendo io il critico letterario, me ne accorgo benissimo, ma faccio teorizzare gli altri.

Gilda

Guardate qui, per esempio, che cosa scrive Gilda Policastro, poetessa e bella mente.
Sintetizzo e riferisco che la critica è «ridotta a divulgazione e mera promozione all’interno di un circuito chiuso e inaccessibile ad autori, o meglio a scritture irregolari, anticonvenzionali».
Lei si occupa anche di scrittori che si occupano di critica, però secondo me la musica è la stessa: non leggi da nessuna parte e nessuno ti dice come è quel romanzo sul serio.
Se ti interessa davvero, te lo leggi e lo capisci.
Non solo per questo motivo, ma questo motivo ha il suo peso, io leggo di rado romanzi contemporanei.
Con tutto quello che è stato scritto in passato e che non ho ancora letto.
Leggo invece e molto volentieri poesia dei nostri giorni.
Soprattutto se scritta da donne che mi sembra facciano una vita autentica.
Anche la vita mia la considero autentica, però faccio sempre tanta fatica a viverla.
Loro, chissà.
Ma l’erba del vicino, lo sappiamo.

Non mi farei mai operare da una donna, né mai da una donna mi farei tagliare i capelli, però leggo le donne molto volentieri, tanto quanto gli uomini, che scrivono da sempre.

La domanda è come si fa a scrivere bene.
Ciascuno ha la sua formula e la mia è quasi magica: per scrivere bene devi conoscere a fondo la grammatica e devi avere il dono della scrittura.
Un requisito senza l’altro non serve a niente.
Per conoscere a fondo la grammatica, te la devono insegnare a scuola, a costo di fartela sembrare una tortura, anche fisica.
L’ho già detto da qualche parte, io a scuola ho fatto sette anni di analisi, quella che serve, grammaticale, logica e del periodo.

Analisi grammaticale, anche oggi si può

Dopo sette anni, non scappi e sei in grado di montare e smontare una frase. Contrariamente a tanti cianfruglioni che, avendo fatto una scuola meno severa della mia, quando io dico questa è un’interrogativa indiretta, quindi qui ci sta meglio un congiuntivo, mi guardano interdetti, ma questa che dice e perché piuttosto non mi dice quanto sono bravo.
Comunque anche oggi ci sono insegnanti che torturano gli studenti con l’analisi, facendo benissimo.
E non si capisce perché debbano torturare le anime e i corpi solo gli psicoanalisti e gli psicologi.

Poi ci sono quelli che scrivono sudando e buttando sangue.
E quelli che scrivono come se andassero a passeggio, eleganti e in accordo con il mondo.
Non è detto che i primi scrivano peggio dei secondi.
Certe volte, anzi.

Ovvio, che si intuisce che cosa penso delle scuole di scrittura creativa.
Qui pure trovate una disamina che mi sembra ben fatta.
Resta che non sai mai chi scrive che conti abbia in sospeso con l’argomento.
Ho conosciuto una persona che frequentava uno di questi corsi e che ne parlava bene. C’era uno scrittore, un maestro, che dava l’inizio di un racconto e c’erano gli allievi che dovevano proseguirlo.
In quel caso, c’erano due ragazze che, mi pare, per un guasto alla macchina, si trovavano da sole nel deserto e non sapevano che fare.
L’idea, per me, violentissima, era quella che io avrei cominciato a fare un sacco di domande come fa Leon in Blade Runner durante il test cui lo sottopone Holden.

Blade Runner, Leon & Holden, test

Mutatis mutandis: perché queste due sventate stanno nel deserto; che sono sceme, se partono senza una guida e senza aver controllato la macchina; ma perché dovrei occuparmi di un soggetto come questo.
Poi avrei tirato fuori una pistola e avrei sparato al docente.
Che forse, post mortem, avrebbe apprezzato il mio svolgimento.(Comunque, quello che penso io è che è meglio frequentare una scuola di scrittura che una in cui si insegna a giocare a burraco. Gioco al quale non so giocare e che i giocatori stessi considerano cretino. Poi, chissà se si sbagliano).

Ma tutto questo, perché.
Perché sto leggendo il libro della blogger blogeuse che parla del suo rapporto con il corpo e sono percorsa da un interrogativo: questa è o no letteratura?
Lei scrive bene, infatti la leggo, ma sono arrivata a pagina 47 e ho avuto un’illuminazione, che in effetti mi era arrivata già a pagina 3.
No, questa non è letteratura, questo è altro, è una confessione narrata bene di una donna con grossi disturbi alimentari, tutto sommato insopportabile e ossessiva come tante donne che conosco, certamente più brillante della media, però, stringi stringi.
Lei ha la medesima scrittura dappertutto, laddove un libro non è un blog, anche se, d’accordo, il suo non si presenta come un romanzo e mi chiedo perché non abbia tentato il passo, rimanendo su una raccolta di note sue personali, molte delle quali interessanti, intervallata da interviste.
Comunque, un grosso lavoro.
Lo dico sempre, cerchiamo di capirci: una lezione compiuta è una lezione compiuta; una lezione in embrione, deve ancora svilupparsi ma ha la sua logica; ti posso invitare a prendere un caffè oppure a cena, l’invito nella sostanza cambia.
L’importante è che non si scambi l’inaugurazione minimale di una mostra (traducendo: dove non ci sono soldi) con un banchetto di gala.

In conclusione.
Un romanzo è una cosa seria.
Esso è uno dei massimi raggiungimenti della scrittura, è una narrazione magistrale, è qualcosa che ti cambia la vita e che non ti dimentichi.

Vediamo chi arriva a scriverne uno che sia tale.
Che sia qualcuno di coloro che stimo, a me sta benissimo.
Anzi, me lo auguro.

Un post scriptum. Deliziosa, l’immagine di apertura, non trovate?
«L’uva piace a tutti e fa bene. Il vino no».
Io, però, da prima lettrice attenta, dopo il vino avrei messo una virgola
«Il vino, no».
Anche se non sono d’accordo con il concetto.