André Derain, Femme nue couchée, 1940

Mentre Francesco mortificò tutta la vita il corpo fragile e malato con penitenze da lui stesso giudicate in seguito eccessive… (chiamava spesso il corpo «frate asino», da maltrattare senza troppi riguardi), fu invece sempre molto comprensivo e indulgente verso i compagni e il prossimo.

Chiara Frugoni, Vita  di un uomo: Francesco d’Assisi

Omelette al pomodoro, vitello all’orientale, besciamella con capperi, mostarda, quattroquarti, bigné al cioccolato e una torta che chiamava «la mia torta», che era pesante e carica di zucchero.

Maria Callas, prima

Maria Callas nutriva una passione segreta per le ricette di cibo, che collezionava e passava al suo cuoco personale.
Poi, a mangiare erano i suoi ospiti.
Lei, no.
Anche questa è una soluzione.
La sua carriera comincia nel 1947 ed il suo peso è kg 108 per m 1,73 di altezza.
I numeri in questo post compariranno poco, i numeri sono crudeli e implacabili, quindi su di essi la discrezione è una consegna.
Del resto qui noi ragioniamo non sui numeri ma sul corpo.

Anzi, per la precisione, sul corpo delle donne.

Quando Luchino Visconti dice al grandissimo soprano che lavorerà con lei solo quando lei avrà perso trenta chili e quando la sarta Biki le fa sapere senza mezzi termini che la considera «spropositatamente grassa» e che quindi non potrà mai vestirla, la Divina prende drastici provvedimenti.

Maria Callas, dopo

Nel 1952 alla Scala pesa kg 92; a Trieste nel 1953 arriva a 80; nel 1954, di nuovo a Milano, è scesa a 64.
Il risultato non le basta e lei arriva a sfiorare i 54.
Pochini, data l’altezza.
Però, questo voglio dire: si può.

Come si fa nei temi: il cappello.
Ovvero: da che pulpito viene la predica.
Dal mio. (E da quale altro).
Sono di quelli che considerano il corpo un tempio.
Guardo inoltre con eguale e geometrica diffidenza coloro che il corpo lo profanano e coloro che ne hanno il culto.
Ovvero, da una parte quelli che lasciano sul proprio corpo impronte indelebili (tatuaggi, espansioni, piercing), dall’altra quelli che vanno in palestra cinque volte a settimana e si guardano continuamente allo specchio.
Credo che con il corpo si debba avere un rapporto quanto più equilibrato possibile, se non altro perché ci abitiamo dentro.
Sono entusiasticamente favorevole a ogni intervento estetico che si reputi utile per fare il corpo più bello, o, almeno, più gradito.
Di me penso che non sono mai stata così bene in vita mia, nemmeno a venti o a trent’anni: certo, ho perso qualcosa, però ho guadagnato talmente tanto in esperienza e equilibrio, che non c’è confronto e non c’è gara.
Questo perché sono abituata a considerarmi nell’insieme, a non farmi a pezzi, cosa che le donne fanno di solito in abbondanza.
Le donne sono delle virtuose della frammentazione di sé.
Resta che nella considerazione di una donna il corpo è sempre prevalente e che io in tutta la mia vita non ho mai visto un progresso in questo senso.
Nella valutazione di una donna, pure se ha una testa così, si parte sempre dalla carne.
Essendo la mia prima regola esistenziale quella di partire da quello che c’è, partiamo allora dalla carne e vediamo dove andiamo a parare.

Il mio ritorno a Roma dopo anni trascorsi altrove ha causato, inevitabilmente, qualche retrouvaille.
Altre ce ne sono regolarmente via internet, perché se uno cerca una recensione o un articolo, succede di vedere la foto di una persona che si era persa di vista da un pezzo.
Rimango sempre stupita davanti al cambiamento di alcune colleghe, che hanno fatto il percorso opposto a quello della Callas, ovvero che hanno preso peso invece di perderlo.
Ma preso peso fino al punto di essere irriconoscibili, di diventare un’altra persona, di mettersi addosso il doppio della carne che avevano prima.
Uno dice ma che te ne importa.
Infatti.
Però, a parte che, come dice Don Giovanni a Donna Elvira che lo rimprovera, avranno avuto le loro ragioni («E che ragioni forti!», chiosa Leporello), siccome le donne sono tutte legate fra loro e qualunque responsabilità diventa collettiva e ricade sul genere, alla fine e sommando tutto, certo che mi importa.

Una blogger, blogeuse, che seguo, che da giornalista specializzata in cosmetici (cosa che a me piaceva molto) è diventata insegnante di yoga kundalini, ha avuto molto successo con un libro che si chiama La Réconciliation (La Riconciliazione).

Lili Barbery, La réconciliation, 2019

Di che parla il libro. Indovinate un po’.
Il sottotitolo è «Dall’odio del corpo all’amore di sé».
Io ancora devo fare il lutto delle sue cronache di bellezza puntuali e molto ben scritte, però quello che lei dice in questa lunga confessione non può non toccarmi, fosse solo per la profondità dell’analisi e per la lucidità dello sguardo che porta su se stessa.
«Odiavo le mie cosce. Detestavo le mie ginocchia. Avevo orrore delle mie caviglie, gonfie di acqua. La sola parte del mio corpo che tolleravo ancora si situava al di sopra del mento, con una predilezione per le mie orecchie microscopiche».
Già è qualcosa.
Con tutto che, mettiamo, se uno detesta il proprio naso, il problema è più facile da risolvere rispetto a un investimento di odio di tutto il corpo.
Anche se secondo me i nasi, comunque siano, stanno bene su quella faccia e sottoporli a revisione spesso toglie carattere.
Ma con Lili, che si è fatta una splendida donna, e che a me sembrava molto graziosa anche durante e prima, siamo ancora, diciamo così, nella media.

Dalla media usciamo se andiamo a vedere che cosa pensano del loro corpo le modelle oversize.
Punto di vista totale, assoluto, violento, del freak che non è conforme, di colei che non trova mai un abito come lo desidera perché negli abiti prodotti dall’industria lei non entra dentro, di chi, volente o nolente, fa quotidianamente i conti con modelli che non la riguardano.

Stéphanie

Con spostamenti, metafore, giochetti mentali, esercizi di stile, pratiche che applichiamo normalmente all’esistenza, tutto questo riguarda chiunque perché chiunque può riconoscersi nell’ostracismo, nell’odio, nella solitudine e nell’abbandono che esprimono queste creature.

Lei è una svizzera naturalizzata francese.
Lei è alta quanto me e dieci anni fa, prima di avere due figli, pesava due volte quello che peso io.
Lei fa studi di medicina dentaria.
Perché non abbia fatto studi classici, che in Svizzera ci saranno senz’altro, ancora me lo chiedo.
Lei scrive benissimo.
Scrive sul suo blog, che si chiama Big Beauty, e dentro il titolo, come sempre, c’è già tutto.
E racconta di sé.
Da un suo post nemmeno recente, oltre che dal suo Profilo Instagram, prende l’abbrivio questo post mio.
Stéphanie Zwicky  a dodici anni viene definita «obesa» da un medico.
Torna a casa e piange tutte le sue lacrime.
Dopo averle piante, intraprende una strada di diete, ossessione del cibo, interventi chirurgici, fallimenti, trattamento psichiatrico.
La prima cosa che viene in mente leggendo la sua storia è che meglio sarebbe per una donna non avere una madre.
(Anche per un uomo, che c’entra, però qui ci stiamo occupando di altro).

Cicogna e bambina, anni ’50

Meglio sarebbe per una donna nascere orfana, oppure essere portata dalla cicogna.
Voi pensate che bello, ma che sono tutte queste storie di gravidanza, parto, dipendenza fino alla morte, somiglianza, medesimo parrucchiere, otto telefonate al giorno per non dirsi niente di niente, Iomammeta e tu, ti vedi come sarai fra trent’anni, la gelosia, un fidanzamento illecito, la finzione del genero accolto come un altro figlio, in realtà il desiderio, nemmeno censurato, di sopprimerlo, visto che lui è il responsabile della crescita della loro bambina.

Una cicogna, essendo quello che è, un uccello con un fagotto nel becco, mai riuscirebbe a fare tutto questo.

Ma, stavamo dicendo: Stéphanie.
La cui madre, appunto, è obesa come lei e allora lei ingoia delle spugne che si gonfiano nello stomaco, proprio come fa la sua mamma, sperando che le tolgano la fame.
A quindici anni è alla sua decima dieta.
E aveva solo cinque chili di differenza rispetto alla sua amica del cuore.
E qui arriva l’altro dato, così moderno: il narcisismo.
Per cui lei dichiara di avere seni e fianchi, che l’amichetta non aveva.
Dunque, gli uomini la guardavano.
(In questa vicenda gli uomini non c’entrano niente. Gli uomini mandano giù tutto, hanno loro gusti, loro percorsi, loro perversioni, insomma, non sono gli uomini, il riferimento. Il riferimento è lo specchio. E il riferimento sono le altre donne).
Stéphanie ama la madre. Questo sentimento a me, vista la situazione, risulta incomprensibile.
«Io le rimandavo la sua immagine, le assomigliavo talmente che capisco come tutto questo ha dovuto essere inquietante anche per lei».
Ma Stéphanie non ha un solo cedimento, anzi, racconta con gusto che la madre comincia a iscriverla a concorsi di bellezza.
E meno male che a lei piace posare, fare la starlette.
Viene eletta Miss OK.
(Non stiamo a indagare).

Ma le cose vanno male e dopo la fase medicalizzazione (Xenical e Reductil, se vi interessa), un medico le promette di toglierle di dosso kg 63.
La magia avviene grazie a un intervento chirurgico, la messa in opera di un anello intorno allo stomaco che è legato a un contenitore (e che altro è lo stomaco, se non un dispositivo che contiene), che si può chiudere e aprire a proprio piacimento.
Lei perde trentadue chili in sei mesi.
Come le Callas.
Ma lei continua a contare le calorie, anche quelle delle Tic Tac.
(Come si possano mangiare le Tic Tac, io me lo chiedo sempre. Mi ricordo pure una pubblicità con Schumacher prima del botto, ma come si fa, andiamo, su).
Voglia di scomparire.
Depressione.
Trattamento psichiatrico, che dura tre anni.
Accettazione di sé.
Chili perduti che ritornano, come gli zombi, i fantasmi e i revenant.
Ma che fatica.
Trasferimento in Francia, scoperta della possibilità di fare del proprio corpo un atout, anche commerciale.
Successo.
Non so dirvi se la modella oversize mi stia simpatica.
Vi dico solo che non seguo il suo account Instagram, almeno per ora.
Quello che so, è che lei suscita in me un sacco di sentimenti.
Il corpo, la madre, l’orrore di sé, la possibilità di affermazione nonostante.
L’ammirazione per il coraggio e la bellezza della sua scrittura.

Chiudo questo post, così provvisorio, ma del quale spero che si capisca il senso, con le regole che lei si dà per la sua alimentazione.
Visti i risultati, ma lasciamole perdere.
Però, occhio al loro rigore e alla loro sensatezza.
Fosse che la vita è fatta di cose che confliggono, di contraddizioni, di bestialità, di suggerimenti che fanno ridere pure i polli, di corpi di donne che come sono, sono.
L’importante è che siano.

  • Mangiare un boccone alla volta e posare le posate sulla tavola, mentre inghiotto tranquillamente.
  • Mangiare quando ho fame (e solo quando ho fame).
  • Non finire il mio piatto se non ho più fame.
  • Il mio pasto deve durare minimo 20 minuti.