Pamela Hanson, Untitled, London, 1988

Ci vuol passione / Molta pazienza / Sciroppo di lampone / E un filo di incoscienza / Ci vuol farina / Del proprio sacco / / Sensualità latina / E un minimo di stacco / Si fa così / Rossetto e cioccolato /
Che non mangiarli sarebbe un peccato / Si fa così / Si cuoce a fuoco lento /

Mescolando con sentimento…. 
(Oscar Avogadro, Ornella Vanoni, Roberto Pacco, «Rossetto e cioccolato», 1995)
Nella mia prima Accademia avevo una collega a fine carriera che era una gran signora.
Allieva di Roberto Longhi, il più grande storico dell’arte italiano di ogni tempo, lei sfidava tutti i trenacci (dico: i trenacci) che prendevamo insieme al ritorno con i suoi tailleur di taglio superbo.
In vista di Roma, più o meno, diciamo, all’altezza di Ciampino, lei tirava fuori dalla borsa il rossetto e se lo metteva.
Raccontava spesso la storia della scialuppa dei naufraghi che avevano perso la speranza.
Fra loro c’era pure un’infermiera, che a un certo punto aveva preso dalla tasca della divisa un rossetto sopravvissuto alla catastrofe e si era dipinta le labbra.
Tutti avevano ritrovato il coraggio.
E io presi dunque l’abitudine, ogni volta che il treno si avvicinava alla Stazione Termini, di pescare il rossetto dal mio astuccio e di usarlo.
Come in un rituale, non sono mai venuta meno a questa abitudine, certe volte arrivando anche a fare una visita ai truccatori della profumeria della stazione per salutarli, farmi dare una sistemata se avevo un appuntamento, provare un nuovo colore.

Qualche tempo fa, qui noi avevamo già parlato di labbra.

Lee

Per la precisione di quelle di Lee Miller, che ossessionavano Man Ray.
Poi eravamo, letteralmente, scesi, le donne sono piene di labbra, sopra e sotto, grandi e piccole, e avevamo messo sul tavolo altri argomenti, fra i quali anche il trucco.
Che ritorna, insolente, con un libro appena uscito, che fa la storia del rossetto.
Lo ha scritto una giovane donna, una giornalista che plana senza alcuna fatica sul campo della letteratura, visto che scrive benissimo, e che ha vissuto e vive in posti che a me dicono molto: Londra e Tel-Aviv, che è una delle città dove vorrei andare.
Ora si è stabilita a Parigi.

Rebecca

Rebecca Benhamou è una bella mora con gli occhi intensi, è una molto moderna, attiva sui social e ha un suo sito personale.
Da ieri è la mia nuova amica.
È incredibile quante nuove amiche mi sia fatta negli ultimi tempi, io che sono così poco interessata all’amicizia, ecco che mi arricchisco giorno dopo giorno di presenze che mi accompagnano.
Anche questa è una cosa molto moderna.
A questo punto non si capisce perché uno (una) debba incontrare qualcuno a cena per parlare delle conoscenze comuni o dei progetti imminenti.
Spesso inesistenti.
Mille, mille volte meglio un’amica che scrive, che racconta, che ti dà indicazioni preziose.
Chi trova un amico trova un tesoro.
E qui svaniscono la lontananza e la differenza di età.
(Quanto sono brave queste ragazze, quanto sono brave).

Ho già raccontato che mi trucco da quando avevo dodici anni.
Andavo da Bertozzini a via Cola di Rienzo a comprarmi il correttore Erace della Max Factor.

Erace, Max Factor

È probabile che mia madre mi desse i soldi di nascosto, ma questo è un dettaglio che al momento mi sfugge.
Poi sono passata al fondotinta.
Al rossetto sono arrivata con molto ritardo, non lo sentivo come una cosa mia, adesso lo porto regolarmente, però, se dovessi rinunciare a tutto e conservare un solo cosmetico, mi terrei il correttore.
Primordiale.
Originario, insostituibile, efficace, funzionante.
Risolutivo.

Rebecca Benhamou ha scritto una storia del rossetto, per la precisione quella che si estende dalla fine del sec. XIX ai nostri giorni, quando esso comincia a essere presentato in un tubo che sta in un astuccio, che è una trovata geniale.
Bastava pensarci.
Come sempre.
Infatti.

Rebecca Benhamou, Sur la bouche, Une histoire insolente du rouge à lèvres, 2021

Fra l’altro il libro è un bellissimo oggetto, presentato com’è dall’illustrazione di copertina di un’altra giovane donna, Maya Palma, bravissima.
Ho deciso che quando avrò finito di leggerlo, avrà un suo posto fisso nella mia stanza da bagno, sull’armadietto dove ho tutti i cosmetici o, poco più in là, sullo scalino di marmo che è poi il motivo per cui la casa in cui vivo mi è piaciuta da subito.
Dovrò decidermi a parlarvi dello scalino e dovrò tornare a parlarvi della mia casa, in questi giorni incerti e minacciosi di quarta ondata di pandemia Covid, in Francia, la quinta, loro, si sa, stanno sempre avanti, diventata ancora di più il centro del mondo.
(Siamo nell’era del nomadismo sedentario).
(Stiamo dentro, ma pensiamo al fuori. A me questa pratica sta benissimo).

Questi miei sono appunti sparsi, messi insieme per il gusto di parlarne con voi, tutti da rivedere.

Il rossetto è politico?
Certo, come tutto.
E ha una storia agitata, fra «visione conservatrice  e simbolo di emancipazione».
Quando nel 1912, a New York, ventimila suffragette sfilarono per richiedere il diritto di voto, quasi tutte portavano il rossetto, fino ad allora riservato alle ragazze di vita.

Elizabeth

Quando il corteo passa sulla Fifth Avenue, Elizabeth Arden, che aveva appena aperto il suo salon di bellezza, scende in istrada e offre a tutte le donne bracciate del suo Red Door, oggetto iconico, simbolo di potere, gesto che mette il femminile in primo piano, con tutte le sue ambiguità e le sue incertezze.
Allora: indossare un rossetto è una trappola?
Ovvero, riportare le donne al lato frivolo della loro anima e della loro esistenza, corrisponde alla loro eterna alienazione, dalla quale chissà se mai riusciranno a liberarsi?
Dai suoi esordi, il rossetto significa tutto e il suo contrario: «Quando il morale si abbassa, il rossetto resiste».
Coco Chanel: «Se siete tristi, aggiungete più rossetto e attaccate».
Attaccate.

Coco

Una per cui la guerra non è mai finita.
Inoltre.
Il rossetto è di destra o di sinistra.
A me, francamente, della domanda.
Ma posso capirla.
E mi affascina anche, e parecchio, la deputata progressista Alexandria Ocasio-Porter, quando ha giurato nel 2019 in abito bianco e rossetto molto rosso, citando Helena Rubinstein: «Le bellezza, è il potere».

Alexandria, 3 gennaio 2019

Fra l’altro, lei piace molto anche all’altra mia giovane amica scrittrice Blandine Rinkel, della quale vi parlo spesso da queste parti, che l’apprezza per l’impegno politico e il resto.

Un uso, quello del rossetto, questo è sicuro, mai lineare.
(Come le storie d’amore, io lo dico sempre, che esse non vanno mai in una sola e unica direzione).
Rosso, il colore per eccellenza, dalla sua radice, adam, il primo uomo, adom, che rosso significa, con continui ritorni, impigli, ingombri, oddio, fino a un certo punto, casomai certi ostacoli ti liberano la strada, arrivando al galoppo agli umori nostri, ma voi avevate notato quanto rosso c’è in Pedro  Almodóvar, scusate, ma a che serve un’amica, se non (anche) a farti notare quello che hai sotto i naso e di cui non ti eri accorta.

Promesso, torno sull’argomento, che mi sta tantissimo a cuore.
Ma, intanto, vi invito a guardare con occhi nuovi e diversi il vostro o l’altrui rossetto.

Una nota sulla foto di apertura.
Che non è esattamente nel mio stile, diciamo che è un po’ troppo morbida e artefatta.
Ma voi dovete sapere che io ho alcune scatole con dentro delle cartoline che ho raccolto qui e là negli anni e che ieri, quando ho pensato di scegliere il segnalibro per la mia nuova amica Rebecca, dalla scatola n° 1 ne ho tirate fuori alcune.
E queste si è imposta.
Meno potente di altre, un po’ più flou, però eloquente: lei, le gambe allargate e ben piantate sulla toletta, che si mette il rossetto.
Lui, che se la guarda.

Quello che hai messo nel rossetto mi fa effetto…

(Simonetta, Lucia, D’Amico, De Marinis, «Mille», 2021)