Gaetano Gravina, Nerone, Colonnese Editore, 2019

Lui ha tutte le carte in regola per essere un artista.
Fuma, ragiona diversamente da come ragiona il mondo, pensa in termini di libertà e poesia.
Seduce.
Glielo dico sempre: quando una donna parla con lui si sente avvolta da un filo di seta.

Da bozzolo si trasforma in farfalla, e se campa una sola settimana, non fa  niente. Intanto ha provato che significa trasformarsi.
Non è forse questo che vorrebbero fare continuamente le donne?
Gaetano Gravina, di Napoli, è artista e grafico pubblicitario.
Si è misurato anche con la scrittura, pubblicando racconti e due romanzi, uno giallo, Alter Egon, e uno nero, Animali fragili.
Sempre, con lui, il colore.
Stavolta ripassa dal nero, ma diversamente.
Si occupa, infatti, di un gatto firmando per Colonnese Editore un librino che pesa 57 grammi.
Lo so perché l’autore me l’ha mandato via corriere e, nonostante i capricci del corriere, il librino è arrivato e io l’ho pesato sulla bilancia della cucina.

Per prima cosa, la carta, materiale nobile caro all’artista, che qui è bellissima e che ti dà piacere a toccarla.
(Come sempre dovrebbe essere e come non sempre le riesce).
Nerone esce nella collana Lo specchio di Silvia, che include tascabili raffinati e che, nella presentazione, parla del libro come «manufatto prezioso e semplice». E già così siamo su un crinale di equilibrio difficile, qui pienamente raggiunto. Bisognerebbe forse inventare un termine che vada oltre al libro da tasca, questo è un libro da scrigno, da cofanetto, se uno lo mette in cartella, lo perde, l’idea che dà è quella del gioiello.


Il Nerone del titolo è un gatto nero che al momento ha tre anni. La sua vicenda viene raccontata in una pagina. Di provenienza ignota, approda in una scatola da scarpe davanti all’ingresso della clinica della veterinaria Gemma.  Seguirà il salvataggio, l’adozione, l’imposizione del nome da parte di una bambinetta e il suo ingresso nel mondo.

Il librino di Gaetano Gravina, nelle sue dimensioni esili di lettura che vanno giù in un sorso, è complesso e articolato. C’è la narrazione di un risveglio in casa, c’è il programma per la giornata e, soprattutto, c’è lo spostamento del punto di vista.
Voi fateci caso, con un artista è sempre così, lui prende le cose e te le fa vedere girate da un’altra parte.
Tu lo ascolti e pensi ma come ho fatto a non pensarci.
È così che noi impariamo come pensa un gatto: l’artista si è messo nei suoi panni e ha rovesciato il discorso.
Nerone ha nella vita relazioni diverse, ha un’amica gattara che gli prepara manicaretti, una sua forma di innamoramento per una micetta di razza con campanellino, una rivalità con un soriano di nome Streep, che ha provato a invadere il suo territorio e mal gliene incolse.

Se avete mai osservato un gatto in libertà, quando non è chiuso in un appartamento e non passa la giornata fra cibo e sonno, ritroverete in Nerone la progettualità dell’avventuriero.
Ha molto da fare, fra l’andarsene a spasso e praticare la caccia, quest’ultima ai danni di un canarino che gli fa gola da un pezzo.

Oltre al racconto, che rimane sospeso e misterioso, come giustamente si addice a un gatto, per cui noi non sapremo mai come andrà né con il canarino, né con la micetta, né tantomeno con una certa pipa di porcellana, proprietà preziosa del padrone di casa, all’incolumità della quale Nerone sta attentando per puro dispetto, nel librino ci sono squisiti aforismi.
Ne conosciamo alcuni, ne scopriamo con gusto altri.
Come sanno tutti coloro che apprezzano i gatti, grandi e meno grandi personaggi hanno cercato di sintetizzare in una formula il fascino di questa creatura, in certi casi riuscendoci, in altri, porgendo un omaggio.
Passiamo così  in rassegna il carattere di questo animale scettico e gentile, contemplativo, notturno, abitudinario, capace di camminare su una nuvola e di stendersi su un pavimento come acqua, di trasformare un ritorno in una casa vuota in un vero ritorno a casa, di incantare, di frequentare senza scomporsi salotti e grondaie, straordinariamente fotogenico, inutile, si fa per dire, in natura, ma, proprio per questo, in grado di spiegarci che non tutto deve avere uno scopo.

E poi ci sono le illustrazioni, di mano dell’artista, senza le quali il librino sarebbe altro. Testo e immagini si compenetrano e si spiegano a vicenda, capiamo che Gaetano Gravina osserva molto i gatti e che sa trarre da loro l’essenza.

Il tratto rapido ce li racconta tracotanti, sornioni, in caduta libera, da soli basterebbero per allestire una mostra, sarebbero capaci anche di far fuori le parole.

Ho conosciuto Gaetano Gravina quando insegnavo a Napoli attraverso le sue cartoline, che vedevo qui e là e che erano bellissime.
L’ho cercato.
L’ho trovato.
Siamo diventati amici.
In lui amo l’eleganza, la generosità, la capacità di leggere la vita con leggerezza, l’uso magistrale del colore, anche quando, come nel caso di Nerone, il colore non c’è.
Ma si intuisce che sta sotto ogni tratto e ogni ragionamento, si intuisce che lui pensa in termini cromatici, oltre che di pieno e di vuoto, con un’abilità descrittiva che, a vedere il risultato, esalta nella fluidità il lato atletico del gatto.
E poi e come sempre, rimango stupefatta davanti alla sua sapienza: con niente lui ti tira fuori un’immagine.
Quando, invece, non la lavora fino a farla esplodere di segni.

Non ho mai sentito Gaetano Gravina dire male di qualcuno.
Gli piace il calcio e dal calcio ha appreso a dribblare tutto ciò che nel mondo è triviale.
Tu ti avvicini a lui e lui ti ammalia.

Dietro questa faccenda di Nerone e del ritratto senza impegno che l’autore fa di una simpatica canaglia, però, c’è altro.
E, nella fattispecie, c’è un altro gatto.
Io non l’ho mai incontrato di persona, ma conosco tutta la vicenda. Del resto essa è narrata a qualche pagina dalla fine, quando ormai il filo di seta ci ha avvolti e noi stiamo lì in attesa di vedere che succede quando diventiamo farfalla.

Dark era un gatto nero a pelo lungo, «armonioso e possente», che riempiva le giornate dell’artista «con la libertà di esserci».
Io sapevo di questo loro rapporto, maschio e pieno di pudore, una relazione, se si può dire, virile, fra due esseri che si somigliano.
Dark è ora sepolto in cima alla collina che era quella dalla quale lui dominava il suo territorio, era un vero monarca, «fiero e incontrastato», degno protagonista di una leggenda.
Quando morì ne parlammo al telefono in termini che mescolavano al dolore l’asciuttezza, sappiamo che gli uomini soffrono diversamente dalle donne, o, meglio, che gli uomini, quando soffrono, diversamente lo danno a vedere.
Casomai conservando su WhatsApp come propria immagine l’immagine di un altro. Ce l’ho qui davanti: Dark è fotografato su un tavolo su una terrazza, nero come la notte, gli occhi verdissimi con due fessure scure.
E la lingua di fuori.
Che stavamo dicendo, che l’artista è un artista del colore, dunque, tutto quel nero andava interrotto.

L’altro modo di ricordare Dark è di trasformare il dolore della sua perdita in un tributo.
Da tutto questo è nato Nerone con il suo ritratto, dalla gentilezza d’animo di un artista che ha pensato bene di raccontarci una storia apparentemente lieve, capace, nella sua leggerezza, di aggiungere un altro tassello a quel puzzle che dovrebbe rappresentare il gatto, messo a punto da affannati esseri umani che ancora non hanno capito che un gatto non può essere rappresentato e che, quindi, per il puzzle non esiste soluzione.