Raphaelle Peale, Venere che sorge dall’acqua – Un inganno (Dopo il bagno), 1822

Selvaggi.
Ma se siete dei selvaggi.
Dalla vetta (dall’abisso) dei miei duemilaottocento anni di storia vi guardo e vedo la vostra inezia, la vostra pagliuzza, questa specie di bagatella che avete prodotto.
Con qualche eccezione, ben inteso.
Trovo divertenti i cocktail, che solo dei selvaggi avrebbero potuto inventare; mi commuovono i grattacieli, che, anche di fronte a ciò che abbiamo eretto noi, hanno comunque una loro bellezza; finché ho fumato, e fumavo Marlboro rosse dure, ho pensato che foste in gamba a fare sigarette, anche se ogni tanto un pacchetto di Gitanes faceva douce France; qualcuno dei vostri scrive molto bene, Hemingway sopra a tutti; fate in modo eccellente il cinema, che, del resto, è una cosa nuova, ma che hanno creato i francesi; i ponti, sì, i ponti, a dirla tutta i vostri ponti sono una meraviglia, non dico meglio di quelli che hanno fatto gli antichi Romani, ma, insomma.
Però.
Cappuccino dopo gli spaghetti e spaghetti mangiati con forchetta e coltello.
Ma fatemi il piacere.
Benvenuti nel mondo di chi sa stare al mondo.
Però, poi.

Parliamo un momento di arte.
Fino alla Seconda guerra, quando i nostri artisti in fuga dall’orrore sono venuti da voi, gli artisti vostri erano venuti da noi.
Anche se avevate generato qualche eccezione, che so, O’ Keeffe, Pollock, che però, come detto, sono dei selvaggi; il secondo, a una signora perbene che gli chiedeva «Ma perché non dipinge la natura», aveva risposto «I’m nature», figuriamoci, se, mettiamo, a uno come Manet sarebbe mai venuto in mente di rispondere che lui era la natura.
Ma a frugare nel vostro passato, nel passato dell’arte Made in USA, trovo sempre qualcosa e qualcuno che mi commuove.
Per esempio questo Charles Willson Peale, «un Leonardo di provincia», un «do-it-yourselfer», inventore, imprenditore culturale, non il più grande artista americano del Settecento (un altro, Copley, ha questo posto), ma certamente il più americano di tutti.
Voleva creare musei.
E artisti che li riempissero. Dieci figli, otto dei quali, con un fratello e otto nipoti (ho fatto il conto come zio e come nonno), intrapresero una carriera d’arte.
I nomi? Rembrandt, Rubens, Tiziano, Raffaello, Angelica Kauffmann, Sophonisba Anguissola, Tiziano II.
Quando si dice avere le idee chiare.

Charles Wilson Peale, The Staircase Group, 1795

Vi presento Charles Wilson Peale alle prese con The Staircase Group, dipinto ultra-illusionistico, diciamo meglio, mozzafiato, in cui compaiono, là in alto che sbircia, Tiziano e, più in basso, Raffaello, con la tavolozza, i pennelli e la stecca, simboli della sua professione.
Lui sarebbe diventato il primo pittore americano professionista di nature morte.
Un virtuoso, un meticoloso, capace di elencare tutti gli accidenti della buccia di un’arancia, più scarno dei colleghi olandesi del Seicento, quasi austero, come era giusto che fosse visto che si proponeva a un pubblico di tradizione quacchera, quindi, calvinista, quindi asciutta e frugale.

Il mio dipinto prediletto è quello che vi ho messo in apertura e che mi è venuto in mente con tutta questa gente che vedo continuamente in costume da bagno.
Ma, come dicono Oltralpe, dove si mangia e si beve secondo cultura, il y a quelque chose qui cloche  e questo qualcosa che suona strano è che io sono in una situazione molto urban, dove il costume da bagno c’entra tanto quanto il kayak nel fiordo norvegese; la gondola in quello di Furore, fiordo più nostrano e accanto al quale si produce un vino di tutto rispetto; un dirlnd  addosso a una signorina che fa le vetrine in via Condotti.
Sto dicendo che vedo continuamente foto di gente in costume da bagno e che trovo questa pratica fuori posto, anche se qualche mia studentessa, interpellata in proposito, mi ha detto ma io stavo al mare, sì, però, poi ti vedono a Natale oppure dal telefono che si portano dietro fin nell’igloo, quando vanno a trovare gli Inuit, che, guarda tu come sempre tutto si tiene, sarebbero a rigore i legittimi utilizzatori del kayak.

Vi propongo, dunque e però, la mia bellezza al bagno.
Un gioco.
Un piacevole inganno.
Una Venere che sorge dall’acqua, lo dice il titolo.
Di lei vediamo tuttavia solo il piccolo piede grazioso e il braccio, sollevato ad acconciare i capelli.
Il corpo nudo (Venere non si mette mai in costume da bagno, altrimenti che Venere sarebbe) è nascosto (protetto?) da una specie di asciugamano dipinto magistralmente.
Asciugamano, forse è troppo. Meglio, un fazzoletto, vista la dimensione degli spilli che lo tengono sul filo della biancheria.

Mai bucato fu più squisito.
Mai desiderio di strappare il sipario fu più intenso.

Poco ci importa se il Raffaello americano qui sia sceso a patti con la censura o abbia proposto un’alternativa al nudo che riempie tutta l’arte europea dai suoi inizi.

Ciò che ci delizia è l’inganno, la giocosità delle proporzioni, l’evidenza di poter proporre nientemeno che la dea dell’Amore e della Bellezza senza mettere tutto troppo in chiaro.

Questa come indicazione di massima.
E, per chiudere, una marea parecchio americana di belle ragazze in costume da bagno.
Ma in un film, che tutti ci rinfresca.